Tutti i principali leader di partito italiani si sono confrontati oggi in un dibattito organizzato al Meeting di Rimini, l’incontro annuale organizzato dal movimento cattolico Comunione e liberazione.

Si tratta di un incontro «senza precedenti», come è stato definito da organizzatori e partecipanti. Erano presenti quasi tutti i principali leader di partito: Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, presente in collegamento, Matteo Salvini della Lega, Enrico Letta del Pd, Giuseppe Conte, del Movimento 5 Stelle, Antonio Tajani di Forza Italiana e Ettore Rosato, presidente di Italia Viva.

Sul palco c’era anche Maurizio Lupi, deputato di Noi con l’Italia e da lungo tempo membro di Comunione e liberazione e Giorgio Vittadini, professore di Statistica e storico organizzatore del Meeting che nella sua introduzione ha spiegato il tema dell’incontro: i partiti e la democrazia, messa in crisi, ha detto, dagli squilibri causati dalle storture della globalizzazione, che hanno contribuito a generare un «nazionalismo vendicativo».

Ma l’incontro è stato rapidamente dominato dal tema del reddito di cittadinanza, attaccato duramente da tutti i leader del centrodestra presenti, al punto che gli organizzatori hanno concesso al leader del Movimento 5 Stelle Conte una risposta in più rispetto agli altri partecipanti, per difendersi dagli attacchi. 

L’incontro è stato moderato da Michele Brambilla, direttore di QN.

Il dibattito: l’Afghanistan

Il primo giro di domande è sull’Afghanistan. Letta è il primo a rispondere e inizia ringraziando gli organizzatori del Meeting, che lo hanno invitato anche quando «non contavo nulla». «Mi sono sempre sentito a casa mia e mi sento a casa mia», conclude.

Sull’Afghanistan dice che l’Italia deve esportare il metodo di evacuazione che sta utilizzando in Afghanistan. «Noi siamo la foto del console italiano a Kabul che aiuta un bambino. Noi siamo questo». Inoltre, prosegue, bisogna ritardare il ritiro per dare più tempo all’evacuazione.

Nel frattempo è arrivato Giuseppe Conte che affronta subito il nodo di questi giorni: la sua dichiarazione sul «dialogo» con i Talebani. Il dialogo, spiega con un po’ di fiatone, è necessario perché «un’altra guerra è impensabile». Sull’evacuazione dice che presto le operazioni termineranno e quindi bisognerà occuparsi di aprire «corridoi umanitari».

Maurizio Lupi cita Tony Blair, il primo ministro britannico della guerra in Afghanistan e Iraq, che ha scritto in questi giorni «non possiamo prenderci una vacanza dalla storia». I paesi Nato hanno fatto del bene in Afghanistan, sostiene, e devono difendere quelle conquiste.
Giorgia Meloni parte attaccando la gestione dell’amministrazione di Joe Biden che sarebbe stata «disastrosa, una fuga disordinata». Si è trattato di una «umiliazione per gli Stati Uniti e l’Occidente che avranno conseguenze geopolitiche imprevedibili». Tra le conseguenze che cita: estremisti islamici che si «fomentano», espansione dell’influenza cinese, rischio che il Pakistan «unico paese islamico con armi atomiche» finisca «sotto controllo dei talebani». Meloni conclude dicendo che in ogni caso la soluzione per «30 milioni di afgani e duecento milioni di islamici che vivono in paesi fondamentalisti non può essere venire in Italia».

Ettore Rosato dice che il mondo è fortunato ad avere come coordinatore del G20 in questo momento delicato.

Matteo Salvini inizia dicendo di essere d’accordo con quasi tutto quello che ha detto Letta, in particolare sui corridoi umanitari e sulla necessità di ritardare il ritiro definitivo, fissato per il 31 agosto. Dice di non essere invece d’accordo con Conte. «Coi terroristi islamici non si dialoga», e suscita un applauso del pubblico. Un secondo applauso arriva quando cita le «radici giudaico cristiane d’Europa». 

Antonio Tajani dice che gli sforzi per l’evacuazione devono proseguire perché ci sono ancora molti afgani che hanno aiutato l’Italia e che vogliono lasciare il paese perché «li stanno andando a prendere casa per casa». Tajani prosegue attaccando anche lui Conte sul tema del dialogo: «Bisogna confrontarsi, parlare – dice – ma non dialogare con i terroristi». Conclude dicendo che dobbiamo preoccuparci della Cina perché «ha mire egemoniche».

Il dibattito: i partiti

La seconda domanda riguarda il tema dell’incontro. Partiti e democrazia: dopo la lunga crisi iniziata nei primi anni Novanta, «oggi ci siamo accordi che in parte ci mancano», dice il moderatore, Michele Brambilla.

Conte dice di essere d’accordo. Movimenti e forze politiche una funzione ce l’hanno ancora, «non più come portatori di visioni complessive, ma di progetti sul futuro». Nel caso del Movimento 5 stelle, prosegue, i progetti sul futuro sono mantenere alta l’etica pubblica, gestire la transizione energetica verde e impedire che la globalizzazioni sia declinata in senso di maggior giustizia sociale. 

In conclusione, Conte torna a difendere le sue parole sul dialogo in Afghanistan e dal pubblico parte un grido contro il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

Letta dice che questo è un incontro straordinario e che lui non ha mai avuto occasione di fare un dialogo simile con i suoi colleghi capi di partito, anche se si rammarica che Giorgia Meloni sia l’unica donna. «La politica in Italia è troppo maschilista», dice.

«La nostra democrazia è malata – prosegue suscitando un applauso – tre governi in una sola legislatura non è normale. È la legislatura che ha avuto il più altro numero di cambi di casacca, oltre 200».

Letta conclude dicendo che ciò che fa arrabbiare gli elettori con i partiti è non poter scegliere i propri parlamentari. In mezzo a un nuovo applauso, Letta dice di essere disponibile ad accordarsi per eliminare questa stortura. 

Lupi attira un mezzo applauso quando dice di essere contrario all’obbligo vaccinale «ma non perché i vaccini non siano fondamentali». Gli italiani già si stanno vaccinando, prosegue, «perché abbiamo fatto appello alla responsabilità e alla libertà, non perché li abbiamo spaventati». 

Meloni riprende criticamente le parole di Conte per dire che «i partiti esistono se hanno una visione del futuro». Secondo Meloni, la violenza nel dibattito pubblico è figlia di partiti con visioni e identità deboli. Prosegue dicendo che i partiti devono essere «pesanti, con sedi fisiche presenti sul territorio: non si può fare politica soltanto da dietro lo schermo». L’intervento viene accolto dall’applauso più lungo fino a questo momento.

Infine, Meloni fa un’apertura a Letta, dicendo che Fratelli d’Italia è da sempre favorevole alle preferenze elettorali.

Anche Salvini approfitta dell’occasione per mandare un’altra frecciata a Conte. «Non credo alla politica online – dice – uno non vale uno, per andare in parlamento bisognerebbe prima aver fatto un’esperienza amministrativa». 

Salvini prosegue attaccando il «potere giudiziario» che decide «a nome e per conto di tutti». Secondo il leader della Lega «non c’è equilibro di potere nel nostro paese», sono i giudici a decidere tutto. Quando parla dei temi dei referendum sulla giustizia, come la responsabilità civile dei magistrati, viene interrotto un paio di volte dagli applausi.

Nuovi applausi per il suo attacco frontale contro il reddito di cittadinanza, l’unica legge che «non rivoterebbe» e che invece «crea solo lavoro nero e disoccupazione. Ogni giorno rispondo a imprenditori che mi dicono togliere il reddito di cittadinanza perché sta creando un deserto economico e morale». 

Tajani invece attacca le nuove norme in discussione nella maggioranza per ostacolare le delocalizzazioni. «Le imprese non vanno punite», dice. Anche lui, terzo relatore di fila, ne approfitta per una stoccata a Conte per dire: «Uno non vale uno. Il reddito di cittadinanza mortifica i giovani del sud».

Il dibattito: Il dopo crisi

L’ultima domanda è su cosa faranno i partiti dopo la fine della crisi causata dal Covid-19.

Il primo a rispondere è di nuovo Conte che dice che per il Movimento i pilastri saranno imprese e lavoro. «Personalmente io sono a favore dell’abolizione dell’Irap», dice. Per quanto riguarda i lavoratori, dice invece: «Dobbiamo aggiornare lo statuto dei lavoratori ed estenderlo ai lavoratori autonomi e precari». 

Letta torna sulla legge elettorale: non coglie a pieno l’apertura di Meloni sulle preferenze, ma dice invece che bisogna puntare ai collegi uninominali senza paracadute (cioè una legge elettorale maggioritaria di diverso tipo rispetto a quella che prevede le preferenze).

Prosegue dicendo che su green pass e vaccini «non si può accettare qualsiasi ambiguità. Esportiamo ovunque il modello Meeting di Rimi» (al meeting è obbligatorio il green pass e la sua registrazione sull’app degli organizzatori).
«Mi impegno a chiedere a Draghi che sia il nostro presidente del Consiglio almeno fino al 2023», conclude.

Meloni propone invece una riforma costituzionale che trasformi l’Italia in una repubblica presidenziale, un vecchio cavallo di battagli del centrodestra. Anche Meloni ne approfitta per attaccare il reddito di cittadinanza. «Metto a confronto i volontari del Meeting con i percettori col reddito di cittadinanza. Qual è il messaggio educativo che diamo col reddito di cittadinanza?».

La parola torna a Salvini: «Abbiamo trovato una maggioranza per abolire il reddito di cittadinanza», dice. Prosegue: «Non mi interessa un paese digitalizzato e green, ma senza figli», «la droga è morte, sempre». 

Tajani conclude non sul reddito di cittadinanza, ma con un netto attacco ai no-vax e ai contrari al green pass, che sono tutelati solo perché altri si sono vaccinati, dice riscuotendo uno dei suoi primi applausi della giornata.

Il moderatore Brambilla concede un ultimo intervento a Conte per difendere il reddito di cittadinanza su cui è stato messo in «netta minoranza». Conte parte ricordando che l’Italia era uno degli ultimi paesi Ocse a non avere uno strumento di lotta alla povertà come il reddito di cittadinanza. Conte aggiunge che il Movimento 5 Stelle intende comunque riformare la parte di politiche attive del reddito.

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