«È tempo che la sanità pubblica torni a occuparsi del benessere del cittadino nella sua totalità». Un anno fa, Giorgia Meloni ha introdotto così i sette punti del suo programma di governo per la sanità pubblica. Un piano che andava dallo sviluppo della medicina territoriale, all’aumento del numero dei dottori in corsia, fino al superamento della pandemia di coronavirus, attraverso il «ripristino di prestazioni ordinarie, procedure di screening, e abbattimento delle liste d’attesa». Da spendere ci sono i 7 miliardi di fondi Pnrr. Una manna dal cielo in un contesto di decennali tagli a ospedali e cure imposte da governi di ogni colore politico.

Il piano ambizioso della maggioranza di governo è stato affidato a un tecnico: Orazio Schillaci, 56 anni, rettore dell’Università di Tor Vergata. Oltre a essere un medico, Schillaci gestisce un ateneo con un prestigioso ospedale universitario. Quindi chi meglio di lui può operare sui mali della sanità italiana? Avrà pensato questo Giorgia Meloni quando il cognato Francesco Lollobrigida le ha sussurrato il nome del rettore, per un incarico ancor più centrale dopo la pandemia di Covid-19 nella gestione di fondi e potere.

La sfida è difficile, ma a differenza di tanti suoi colleghi che siedono in Consiglio dei ministri, Schillaci per il momento non ha commesso gaffe che hanno imbarazzato la premier, ma non si distingue dai suoi predecessori nel tagliare fondi alla gestione della sanità pubblica. Le risorse però non mancano quando si tratta pagare il suo nutrito staff di collaboratori. Un esempio: al ministero della Salute c’è un capo di gabinetto che è più pagato del presidente della Repubblica. Si chiama Arnaldo Morace Pinelli e lavora alle dirette dipendenze del ministro.

Orazio mani di forbice

Va detto che in fatto di soldi Schillaci ha seguito alla lettera il mandato affidatogli dal capo del governo. «Superare la pandemia», questo l’obiettivo indicato da Meloni. E il ministro lo sta facendo nel modo più veloce: riportando la spesa a livelli pre-covid. Dopo anni di tagli, operati da governi di ogni colore politico, il coronavirus ha imposto un maggiore budget per affrontare l’emergenza prima e gestire l’uscita dalla pandemia poi. Nel 2020 i fondi per la salute pubblica sono cresciuti di quasi 20 miliardi, ma ora il ministro ha ripreso le forbici. E nel primo Documento di economia e finanza del 2023, il primo del governo Meloni, la diminuzione di budget continuerà fino a portare nel 2025 al superamento nella pandemia. Nel senso che si tornerà a un rapporto spesa/Pil del 6,2 per cento: l’ultimo anno prima del Covid era del 6,4 per cento. Un passo indietro che lascia stupiti se si considera che in Italia la popolazione è sempre più anziana: un residente su cinque (oltre 12 milioni) ha più di 65 anni, nel 2050 saranno il 35 per cento, 19 milioni. E pensare che la pandemia ha dato maggiore risalto ai problemi della sanità italiana, che in dieci anni ha subito tagli per 37 miliardi di euro.

Il nostro paese investe nel settore il 38 per cento in meno rispetto alla media Ue: per recuperare servirebbero 25 miliardi in più l’anno, ha scritto l’Ocse in un report della scorsa primavera. Forse anche qualcosa di più, visto che tra 2021 e 2024 solo l’inflazione si è mangiata circa 15 miliardi del fondo sanitario nazionale. Il budget del fondo per il 2023 era di 128 miliardi, da spartire tra le regioni: a dire dei governatori sarebbero mancati almeno 5 miliardi. Sul Pnrr invece il ministro non accetta di sentirsi dire che è in ritardo: dopo la denuncia della Fondazione Gimbe di metà luglio su progetti in stand by e fondi non spesi, Schillaci ha risposto con una nota piccata in cui affermava che il suo ministero è in linea con quelli dei colleghi. Di certo al ministro servono quindi con urgenza nuove risorse. E non avrebbe difficoltà a spenderle.

Come fosse Tor Vergata

Nel frattempo Schillaci non ha avuto problemi a riempire il ministero di fedelissimi, possibilmente con un passato all’università. La sua, ovviamente: Tor Vergata, il secondo ateneo romano. A partire dal suo capo di gabinetto, Arnaldo Morace Pinelli. Avvocato dal curriculum sterminato, tra docenze, pubblicazioni e incarichi vari, Morace esercita anche per lo studio capitolino Leading Law. Insegna a Tor Vergata dal 2005, dov’è ordinario dal 2017. Forse proprio per il prestigiosissimo curriculum che Morace é riuscito a portare a casa uno stipendio di 204mila euro all’anno: enorme, se si considera che è di 50mila euro superiore a quello del ministro, e di 25mila a quello del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (che ha deciso di tagliarselo da 239mila a 179mila euro l’anno). Nessuna dichiarazione, ma una curiosa polemica è nata quando nel tavolo “per lo studio delle criticità per l’attuazione del regolamento per l’assistenza ospedaliera e territoriale, istituito con un provvedimento a suo nome a inizio luglio, non era presente nessuna donna sui 18 membri. Il ministro Schillaci va su tutte le furie, così i componenti passano da 18 a 52 in un primo momento, per arrivare a 76 il 20 luglio. Fortunatamente Schillaci non ha fatto lo stesso con il suo gabinetto, dove i membri sono 8 (9 se si aggiunge il capo segreteria del sottosegretario Gemmato) per una spesa di circa mezzo milione di euro.

A capo dell’ufficio legislativo c’è Massimo Lasalvia, già viceprocuratore generale della Corte dei Conti e presidente della Corte generale d’Appello: anche lui è passato per l’università del ministro, dove dal 2021 è stato presidente del collegio dei revisori dei conti. Un ruolo importante a Tor Vergata lo ha avuto anche Marco Mattei, stipendio da 154mila euro, capo segreteria tecnica di Schillaci: dal 17 gennaio 2022 è direttore sanitario della Fondazione Tor Vergata. Mattei ha una lunga carriera nell’amministrazione sanitaria locale, avendo diretto numerose Asl. Ma ha anche una datata attività politica: è stato per 10 anni sindaco di Albano Laziale, nei territori del ministro Lollobrigida. Con lui ha condiviso l’esperienza (e il siluramento) dalla Regione Lazio: entrambi assessori – Mattei all’ambiente, “Lollo” ai trasporti – vennero mandati via dall’allora governatrice Renata Polverini. Esperienza che forse si ricorda Francesca D’Avello, capo ufficio stampa del ministero per 70mila euro, che per Polverini aveva ricoperto lo stesso ruolo 10 anni fa.

Grande conoscitrice del Palazzo della Regione è anche Rita Di Quinzio, che iniziò a frequentare Schillaci già ai tempi di Francesco Storace: Di Quinzio è capo della segreteria del ministro, con una busta paga di 80mila euro. Nelle scorse settimane è stata nominata anche – in quota Schillaci – nel cda di Sport e Salute, società pubblica con budget di centinaia di milioni di euro. Non è la prima volta che Di Quinzio frequenta i palazzi di governo: nel 2008 è stata tra i componenti di una commissione per la sicurezza stradale voluta dall’allora ministra alle attività giovanili Giorgia Meloni. Commissione che viene ricordata – si può leggere nelle cronache dell’epoca – più per l’assegnazione dei fondi a società di persone vicine alla destra che per le iniziative promosse.

Sempre da Tor Vergata, invece, arriva Antonella Tolu: è segretaria particolare di Schillaci, per 80mila euro, stesso incarico ricoperto per anni all’ateneo.

Una premier per amica

Se volete fare una visita specialistica o un’analisi particolare a stretto giro, rivolgetevi al sottosegretario Marcello Gemmato. Per lui il taglio delle liste di attesa previsto nel programma è un mantra. Farmacista pugliese, deputato alla seconda legislatura, Gemmato è amico di Giorgia Meloni dai tempi della comune militanza giovanile in Alleanza Nazionale. A conferma di un rapporto consolidato negli anni, il sottosegretario nei giorni scorsi ha condiviso qualche giorno di relax in Puglia con la premier e i suoi familiari stretti.

Gemmato è stato soprannominato “Mr. Boh Vax” dopo che, mesi fa, mise in dubbio l’efficacia dei vaccini nel contrastare la pandemia di Covid-19. Il sottosegretario però è l’uomo giusto nel caso si volesse saltare la fila per una visita in ospedale. No, non mette buone parole per chi lo conosce. Basta andare nella clinica di cui è socio al 10 per cento, la Therapia di Bari, e aprire il portafogli. Come si legge sul sito, si può avere «un quadro completo della situazione clinica di un utente, senza dover attendere i lunghi tempi del servizio sanitario pubblico». Tempi lunghi che fanno ricco Gemmato. Il farmacista pugliese si è portato al ministero, come capo segreteria, Ettore Ruggi D’Aragona, anche per lui 80mila euro annui.

Collaboratore di Gemmato già nella scorsa legislatura, Ruggi D’Aragona ha lavorato come consigliere ai rapporti con il Parlamento di Gianni Alemanno, ministro dell’Agricoltura nel governo Berlusconi II.

Nel 2008, in qualità di lobbista, Ruggi D’Aragona ha collaborato anche con British American Tobacco, la multinazionale del tabacco, mentre tra 2006 e 2008 è stato all’Istituto sperimentale per il tabacco. Tra il 2019 e il 2022 è stato invece in Federfarma. Infine, dal 2020 Ruggi D’Aragona è anche cavaliere del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta. Al ministero della Salute, qualche stanza più in là, lavora anche il presidente del Tribunale dei Cavalieri di Malta. É Morace Pinelli, il capo di gabinetto di Schillaci, quello con lo stipendio da record.

© Riproduzione riservata