Al secondo turno delle elezioni a Torino vincerà con ogni probabilità il candidato del centrosinistra, Stefano Lo Russo. Ma dal giorno successivo, il nuovo sindaco, anche se dovesse vincere il suo avversario Paolo Damilano dovrà, parafrasando Franz Kafka, trovare la sua «ascia per spaccare l'oceano di ghiaccio», il mare di scetticismo e astensione che si allunga al di là dei portici che chiudono il centro.

Una passeggiata a Torino

Alle ultime elezioni in città ha votato il 48 per cento degli aventi diritto, il dato più basso nella storia della città. Nella cintura nord, e in particolare l'asse di corso Vercelli e corso Giulio Cesare, si ascoltano parole che paiono copioni di un film di Mathieu Kassovitz, il regista della rabbia delle periferie parigine.

Borgo san Paolo, via Dante di Nanni, eroe partigiano ucciso dai nazifascisti nel 1945. Dove la via pedonale termina e si affaccia sulla chiesa ottocentesca di san Bernardino, c'è il Caffè dell'amicizia, nato negli anni Venti come le case circostanti. Il locale ha un ampio dehors pieno di clienti e all'interno è un gioiello vintage con poster originali della Juventus ancora in bianco e nero.

«È un bar popolare – dice il titolare, Gianluca Torcetta, un torinese sulla quarantina dalla parlantina sciolta – Da questo bancone ha visto la trasformazione della città. La politica? No, quella no, non se ne parla più. Forse gli anziani qualcosa, ma i giovani proprio zero».

A cinquanta metri dall'entrata del caffè quattro militanti del Pd con due bandiere distribuiscono volantini a un mondo distratto che li mette in borsa senza nemmeno guardarli.

«La politica è andata giù come il calcio, anche se questo un po' meno: in generale non ci sono più argomenti catalizzatori come tanti anni fa e ho l'impressione che si voglia evitare ciò che può essere divisivo».

Da Borgo Vittoria...

Mimmo Quirino è un parrucchiere di via Chiesa della salute, nel quartiere multietnico e popolare di Borgo Vittoria. Dal 1958, qui si sono tagliati i capelli i dirigenti del Pci: Pajetta, Chiamparino, Fassino. Quirino non dice «il Pci», ma «il partito».

Il partito per trent’anni ha avuto sede di fronte al negozio e oggi al suo posto ci sono alloggi e una banca. Seduta sul marciapiede lì di fronte, c’è una donna che sembra senza fissa dimora.

«Il quartiere ha molto patito quando il partito se ne andato: è rimasta una piccola sezione, ma non è la stessa cosa». E dove se ne è andato il partito? «In piazza Castello», cioè in centro.

Sparita la politica dal palazzo di fronte è sparita anche dal negozio. «I clienti ne parlano pochissimo, molto meno che in passato: è un argomento che si è perso».

Daniela Ghione, titolare della cartolibreria di fronte al negozio, racconta che da lei il libro più venduto dell'anno «è quello della Meloni». Il suo negozio si trova nel palazzo che fu del Pci. Nelle recenti amministrative il centrodestra qui ha vinto con il 42 per cento.

...a Borgo Aurora

Nel giorno dell'assegnazione della finale dell'Eurovision 2022 a Torino, l’evento musicale che per una notte porterà in città turisti da tutto il mondo, buona parte del popolo dell'oceano di ghiaccio ignora il calendario di grandi eventi prossimo venturo. A partire dalle Atp Finals di tennis su cui tanto si sono impegnati sindaci e candidati sindaco.

Luca Spano, trent’anni, disoccupato - «scrivi disoccupato, non è una colpa, scrivilo» – lo dice chiaramente: «A me cosa interessa se si fanno le finali del tennis? E' un passatempo per quelli del centro, io non esco dal mio quartiere: quello è un altro mondo, non il mio. Se ho votato? Ovviamente no».

Siamo in via Cuneo, poco distante dal bar Hong Kong di borgo Aurora e di fronte allo stabilimento che fu Fiat di corso Vercelli, oggi un rudere che pare appena uscito da un bombardamento a tappeto. Il bar si trova nel mezzo dell'oceano di poveri, italiani, cinesi, africani, disoccupati, spacciatori, volontari che si inventano progetti di riqualificazione, muri luridi e meraviglia architettonica della Torino di inizio Novecento.

Il signor Antonio, anziano, poche parole, uno di quegli esseri umani ignorantissimi e sapientissimi, seduto fuori dal bar dice: «Il quartiere è andato giù giù, su sono andati i ricchi del centro. Io votavo Pci, ora voto Pd, io ci lavoravo lì dentro – dice indicando lo stabilimento – era bello: non si può andare avanti così».

Il solco

Nei cinque anni di amministrazione di Chiara Appendino, lo spazio tra centro e periferia si è allargato. L'abbandono dopo quell'amore smodato, sincero e travolgente sbocciato nelle elezioni 2016, ha generato collera.

La vicenda di Cristina Seymandi, organizzatrice e animatrice di comitati di quartiere, parte dello staff di Appendino e passata con il candidato del centrodestra Damilano a poche settimane dal voto, è esemplare.

Seymandi era una delle figura più importanti e più simboliche dell'impegno a favore delle periferie del M5s. Alle elezioni del 3 e 4 ottobre ha preso appena 318 voti e non è stata eletta.

Qualcuno prova a resistere sul fronte dell'impegno politico e sociale. Al bar Balby, quartiere Vallette, il proprietario non vuole parlare: è furibondo per come sono andate le elezioni.

Si avvicina Sandro Toso, cinquanta anni: «Non ti offendere, è incazzato perché qui ci abbiamo provato sul serio. Forse siamo l'unico bar di Torino dove abbiamo fatto politica come si faceva una volta». Qui è nato un comitato popolare, stretto intorno a Deborah Montalbano, candidata di Dema (il movimento del sindaco di Napoli Luigi De Magistris) ed ex Cinque stelle. Montalbano è stata eletta in circoscrizione per il rotto della cuffia ma la sua coalizione ha avuto un risultato negativo. Una delusione atroce per tanti.

«Il cinque stelle da noi ha preso nel 2016 il 74 per cento – dice Toso – Poi sono spariti e oggi anche qui, nonostante quello che abbiamo fatto in questo bar, ha vinto la destra e l'astensione. Le periferie, i poveri, non dimenticano e non perdonano».

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