«Cari tutti, voglio rassicurare la mia famiglia, i miei amici e la mia fidanzata che sono in buona salute».

Comincia così la lettera che Patrick Zaki ha consegnato al suo avvocato, Hoda Nasrallah, durante il colloquio che si è svolto oggi al carcere di Tora.

«Vorrei congratularmi con i miei colleghi all'università per la loro laurea. Auguro loro buona fortuna per quello che faranno in futuro», scrive il giovane ricercatore, riferendosi ai suoi compagni del master Gemma che la scorsa settimana si sono laureati a Bologna.

«Riportami in Piazza Maggiore. Grazie alla città all’università e alle bandiere gialle», il riferimento è alle bandiere della campagna di Amnesty per liberare il ragazzo.

Intanto, mancano tre giorni alla ripresa del processo che si terrà al tribunale di Mansoura.

Zaki era stato rinviato a giudizio lo scorso 6 settembre. La prima udienza si era svolta il giorno dopo nel tribunale della sua città natale. Zaki era apparso in aula in manette, i capelli raccolti da un codino e la casacca bianca, quella che in Egitto è indossata dai detenuti in attesa di giudizio.

Il processo e l’agonia

La difesa aveva chiesto il suo rilascio o almeno di poter avere il fascicolo processuale perché a differenza, di quanto detto durante il periodo di custodia cautelare, l'accusa sembrava non reggersi più su i 10 post di Facebook ma su un articolo scritto da Zaki nel 2019 sulla minoranza dei cristiani in Egitto. Inizialmente, sembrava essere caduta anche l'accusa di «propaganda eversiva e terroristica», e questo avrebbe fatto diminuire significativamente la pena massima di condanna. Ma in realtà tutto ciò non è accaduto.

In queste due settimane gli avvocati della difesa hanno avuto modo di consultare le carte e come affermato dalla stessa Hoda Nasrallah ieri all'Ansa, i capi di imputazione più gravi a carico di Patrick Zaki non sono stati archiviati.

«Il rinvio a giudizio è avvenuto con tutte le accuse e ci sono altri atti che verranno aggiunti», ha detto l'avvocato precisando che al momento non è possibile prevedere quale sia la pena massima che la corte potrebbe infliggere a Patrick.

Come capita spesso per tutti i reati di opinione, e per tutte le indagini che coinvolgono i prigionieri di coscienza, le carte delle indagini sono confuse e approssimative.

Opacità dall’Egitto

«C’è enorme preoccupazione, sin dal rinvio a giudizio sospettavamo che le accuse più gravi fossero state solo congelate ma non annullate. Le dichiarazioni dell’avvocata rendono del tutto vuote quelle parole di grande ottimismo pronunciate all’indomani della prima udienza come se tutto fosse risolto o in via di risoluzione grazie a una presunta attività diplomatica del nostro governo», ha commentato Riccardo Noury di Amnesty International. «Il precedente della storia gemella di Patrick, quella di Ahmed Samir Santawy, arrestato un anno dopo Patrick e condannato già a quattro anni, ci spaventa. Ci auguriamo che non finisca allo stesso modo».

I legali egiziani di Patrick non erano mai riusciti a visionare le carte. Per 19 mesi, periodo in cui Zaki è stato in custodia cautelare, non erano riusciti neanche a visionare i 10 post di Facebook che erano alla base del mandato di arresto del giovane ricercatore.

Gli unici documenti che erano riusciti ad ottenere erano pochi fogli dove la Procura negava le torture che il giovane ricercatore ha subito nelle 28 ore successive al suo arresto.

Per quei maltrattamenti, i legali di Eipr avevano presentato un esposto di fronte alla giustizia egiziana chiedendo anche le telecamere di sorveglianza dell'aeroporto del Cairo. Richieste, che sino a ora, non hanno mai ricevuto risposta.

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