Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado sul processo Montante.


Lo stesso Montante ritiene di essere stato "lo stupido idiota", perché incentivato ad assumere una tale posizione e assecondato nel mantenerla e nell'accrescerla da ambienti, che poi in effetti nemmeno lui ha voluto meglio precisare.

Ma dal suo racconto è evidente che comunque da lui partì l'iniziativa, egli si propose e progressivamente riuscì a formare attorno un clima di consenso nei vertici di Confindustria e via via in tutti i vertici istituzionali. E il fatto che egli annotasse anche le volte in cui alte autorità o rappresentanti delle istituzioni lo citavano nominativamente nei loro interventi (e talvolta componenti dei loro staff lo avvisavano preventivamente dalla specifica circostanza che sarebbe stato citato proprio il suo nome) è indice di una sua piena adesione a questa operazione che gli attribuiva un ruolo di primo piano nell'orizzonte dell'imprenditoria impegnata per la legalità e contro la mafia.

Dal contenuto della sua audizione alla Commissione antimafia del 16.3.2010, da Montante peraltro richiamata negli atti predisposti a sua difesa, emerge come già allora in maniera inequivoca egli tendeva a concentrare l'attenzione sulla sua azione attribuendole effetti unici e innovativi, rispetto ad un territorio nel quale in realtà, nonostante la ancora forte presenza della criminalità organizzata e la sicura opportunità di ulteriori e qualificanti iniziative, da tempo e ben prima delle prese di posizione pubbliche della locale Confindustria, si erano registrate fin dagli inizi degli anni "90 del secolo scorso operazioni di contrasto e forme di resistenza attiva alle prevaricazioni della criminalità nella società civile, talvolta funestate anche da omicidi, tentati omicidi e gravi attentati in danno di imprenditori che non avevano voluto pagare il pizzo, nonché, dall'operazione "Leopardo" (quella che coinvolse Paolino Amone, padre di Vincenzo, indicato come rappresentante dalla famiglia di Serradifalco) a seguire, da una stagione giudiziaria intensissima nella quale le serrate indagini delle forze dell'ordine diedero luogo ad un numero altissimo di processi a carico di esponenti di "cosa nostra" e della "stidda" (e invece così si esprimeva Montante dinanzi alla Commissione antimafia nel 2010: "La cosa strana è che in quel periodo -sto parlando del 2004 - dalle nostre parti nessuno diceva che la mafia esiste.

Anche qualche magistrato aveva detto che la mafia non esiste, ma sicuramente si sarà ricreduto dopo che decine e decine di pentiti hanno dimostrato il contrario. Le Forze dell'ordine e la magistratura si avvicinarono a questo modello [il modello di Confindustria Caltanissetta di cui Montante si era fatto promotore; n.d.r.] e capirono che era arrivato il momento di sposare questa causa e di cogliere questa opportunità (perché anche per loro era un'opportunità) ... Ho dimenticato di dire che era il 2004 e che sono diventato presidente nel 2005; contestualmente alla mia presidenza, sono stati arrestati il presidente dell'associazione industriali di Caltanissetta che mi ha preceduto e il presidente di quella di Enna; subito dopo sono stati assunti dei provvedimenti restrittivi nei confronti di componenti dell'associazione industriali di Palermo, ma non ricordo esattamente se ci sono state sospensioni e sequestri preventivi di aziende").

Già scorrendo l'ampia allegazione di articoli giornalistici, di interventi e dichiarazioni pubbliche di autorità e personalità di rilievo, che Montante ha fatto confluire in questo giudizio, unitamente a quelli già acquisiti nel corso dell'indagine, si può apprezzare che nella proposizione di questa sua immagine egli fu a vari livelli (e soprattutto ai più alti) ampiamente assecondato.

Da questa convergenza di fatti ripercorsi anche alla luce del racconto che di sé ha fatto Montante, con lessico talvolta allusivo ma comunque sempre generico, emerge che egli volle, e al contempo che univocamente gli fu consentito, anche sorvolando sulle proporzioni da lui rappresentate degli effetti della sua azione, che la sua figura si stagliasse come quella di personaggio centrale di una vicenda ben più complessa di quella assai ridotta oggetto di questo giudizio.

Nella quale appunto la Corte si deve limitare a valutare la sussistenza di un gruppo strutturato di soggetti disponibili a commettere reati su richiesta o nell'interesse di Montante e la commissione di specifiche e ben circoscritte condotte corruttive.

Una vicenda che, pur nella dimensione ridotta sin qui delineata, aveva una funzione assai rilevante e, nelle strategie di Montante, irrinunciabile.

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