«Il funzionario del consolato mi venne a trovare in ospedale il giorno prima di partire per la Sicilia. Un giovanotto con gli occhiali, molto educato: “Signora, lei è venuta in Germania per esercitare la prostituzione, e questo è vietato. Ora cosa intende fare…?”. “Voglio tornare a esercitare la prostituzione in Sicilia!” Mi strinse la mano tutto contento: “Brava!”»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo le inchieste de “I Siciliani”, ringraziando la Fondazione Fava che ci ha concesso la divulgazione
Cercavo una donna che fosse emigrata all’estero da sola ed avesse una vera storia da raccontarmi. E stato difficile, ma alla fine ho trovato Gaetana M., anni 33, altezza un metro e 65, capelli neri lunghissimi, professione prostituta. E questa è la sua storia, esattamente come essa l’ha raccontata, a patto che io tacessi il suo cognome e non le fotografassi il volto.
Mi avevano dato il suo indirizzo e sulle prime la discussione era stata un po’ strana, forse anche un po’ sordida da parte mia, ma Gaetana M. alla fine aveva rifiutato con molto garbo il denaro che volevo offrirle: «No, che c’entra? Qui non è questione di soldi…».
Pallida, un po’ guasta nei lineamenti, con gli occhi troppo infossati, ma ancora lucenti, quel manto di capelli neri, il corpo giovane, Gaetana M. fa ancora una certa impressione. Una certa grazia forse derivava, mentre parlava, da un’impercettibile forma di balbuzie.
Il suo racconto comincia: «L’idea me la fece venire un cliente, diciamo così, un giovanotto di Aidone che si chiamava Pasquale, un tipo con i capelli rossi e quattro denti di ferro come quello del film “Bella di giorno”. Cominciò a raccontarmi che lui era stato emigrato sette anni in Germania e in Svizzera, si guadagnava bene, altro che Italia, la gente spende e spande, per divertirsi. Ad un certo momento mi disse: “Ma tu perché non te ne vai in una città tedesca, per esempio Colonia oppure Duisburg, una città di elegantoni? Puoi fare i quattrini a palate!”. Figurati risposi io bell’affare che ci faccio. In Germania un uomo che vuole andare a donne, si piglia la prima che passa, altro che pagarla! E lui cominciò ad arrabbiarsi: “Non capisci niente! La donna tedesca è un cetriolo, senza arte, senza scaltrezza di femminilità: invece il tedesco, soprattutto quando è ricco, diventa vizioso, gli piacciono donne che conoscono tutti i trucchi, lo fanno impazzire, queste cose tu le dovresti capire!”. Figurati se le capivo! E lui continuava: “In Germania ci sono prostitute di cinquant’anni che ancora guadagnano un sacco di soldi! Un italiano, non ci andrebbe nemmeno per cinquantamila lire…”. Pareva una cosa cominciata per scherzo, le solite bestialità che un uomo dice mentre si fuma una sigaretta, sapessi quante ne ho sentite io… ma alla fine mi convinsi. Pensavo: e se questo sta dicendo la verità? E se veramente esiste la possibilità di guadagnare tutti questi soldi? Che differenza c’è se gli uomini sono tedeschi oppure italiani? Dai Gaetana, che ci rimetti?
La bella presenza ancora ce l’hai e trucchi per deliziare un uomo ne conosci uno più del diavolo. Gli dissi: “Senti tu, come ti chiami, Pasquale, e se io volessi andare in Germania a provare, che cosa dovrei fare…”. Si entusiasmò: “Davvero? Ti ci porto io fra quindici giorni, partiamo insieme, tu non ti devi preoccupare di niente, basta che ottieni il passaporto e al resto ci penso io!” Così partii per la Germania, l’unica preoccupazione era la bambina, mia figlia di otto anni, che non avrei visto per tanto tempo, pensavo sempre: e se mi capita qualche cosa, e se mi viene una malattia…? Tu ora ti metti a ridere, puoi anche non credermi, ma io mi convinsi che dovevo tentare anche per il bene della bambina, per guadagnare quanto più denaro possibile… Insomma partii.
Mi feci il passaporto, andai all’ufficio provinciale del lavoro e alla fine ottenni un ingaggio come operaia in una fabbrica di bottiglie. Mi crearono un sacco di difficoltà, la questura aveva dato le mie informazioni e l’impiegato cominciò a farmi domande con la scusa che i tedeschi vogliono sapere anche i peli dei capelli: “Scusi, ma lei all’estero che ci va a fare?”. “A lavorare, perché?”. “Sa, noi abbiamo saputo che lei ha avuto diverse relazioni…”. “Ma ora non ce n’ho più!”. “Però lei guadagna qui anche quarantamila lire al giorno col suo lavoro, e in Germania guadagnerà solo ventimila lire. Come si spiega che vuole partire…?”. “Sono diventata onesta! Mi sono fatta la comunione!” “E chi ci garantisce la verità?”. “La verità è questa! Oppure in Italia una che non vuole fare più la puttana deve continuare a farlo per forza. Guarda che bella! Io faccio una lettera ai giornali!”.
Venne anche il direttore: “Brava, complimenti, guardi che lei però si assume la responsabilità…”. Mi fecero fare una visita medica a Vicenza. mi fecero anche un esame e dopo due mesi mi arrivò il foglio di chiamata per quella fabbrica di Colonia. La cosa più buffa fu che per le prime tre settimane lavorai veramente nella fabbrica delle bottiglie. Mi davano sette marchi l’ora, in un mese seicento, settecentomila lire. Un lavoro facile, quasi quasi mi ci stavo abituando. In quelle prime settimane abitavamo in due stanze di periferia con Pasquale. Già, l’avevo dimenticato… era stato Pasquale che aveva organizzato tutto, mi aveva consigliato di scegliere quel lavoro. avevamo fatto il viaggio insieme, e infine aveva affittato quelle due stanze. Che tipo, sempre allegro, educato, mi trattava come un innamorato, mi portava al cinema e mi teneva delicatamente la mano. Una sera gli dissi: “Senti Pasquale restiamo insieme, lasciamo perdere tutto il resto, tu lavori nella fabbrica dei mobili e io in quella delle bottiglie. Io non dico che ci dobbiamo sposare…”.
Si spaventò: mi guardava come se fossi pazza: “Ma come, che ragionamenti sono questi? Io ti voglio bene, lo sai… ma qui c’è una miniera d’oro a portata di mano, che fa, stiamo impazzendo?..”. Mi spuntavano le lacrime, l’imbecille che ero, mi ero affezionata, capisci, mi ero fatta una illusione, e lui mi carezzava adagio adagio sui capelli e mi parlava con una vocina: “Che fa, ti vergogni perché sono tedeschi…”. Cominciò anzittutto a portarmi uomini italiani, emigranti anche loro. Arrivavano la sera a due o tre. mi davano dieci marchi per stare un pochino con me, oppure quaranta se volevano stare tutta un’ora, Pasquale diceva: “Devi trattarli bene perché sono amici miei, sai quant’è che non vedono una donna. Ancora non sanno bene la lingua e perciò qui non riescono a concretare con le ragazze”.
La maggior parte erano vecchi, voglio dire di quarantacinque anni, cinquanta anni, venivano tutti complimentosi. stringevano la mano, si prendevano il caffè: buono questo caffè! E che siamo, a Catania? Poi quando restavano soli con me cambiavano, come posso fare un paragone… sai uno che gli abbiano messo un vestito che non è il suo, gli sta stretto e quando se lo leva respira… come ti posso dire, uno che è stato in carcere, uno che gli hanno messo il bavaglio e improvvisamente glielo levano… Così! Ridevano, si divertivano… Nei primi tempi continuavo a lavorare anche nella fabbrica, ma poi non ce la feci più, mi tremavano le mani, cadevo continuamente dal sonno e così decisi di non lavorare più.
Tanto a che serviva? Era una specie di imbroglio con me stessa. Figurati che cosa potevano rappresentarmi quei ventiquattro marchi che perdevo. Invece potevo dormire tutta la mattina, ero sempre fresca, riposata, mi mantenevo carina e potevo ricevere almeno quattro o cinque clienti di più. Il pomeriggio uscivo a fare una passeggiata, mi facevo guardare anche per strada, sai… Ogni tanto facevo un regalo a Pasquale.
Lui non mi diceva niente, ma io lo capivo. Una volta gli regalai centomila lire, un’altra volta duecentomila. Poi lui mi chiese mezzo milione, per fare un grosso affare, disse, un semplice prestito per qualche settimana, ma dopo due giorni tornò a casa e non parlava, fumava in silenzio senza rispondere, alla fine mi confessò che gli avevano truffato quel mezzo milione, smaniava, gridava che li avrebbe uccisi, alla fine riuscii a calmano e gli regalai cinquantamila lire. “Che c’entra” diceva lui “Così faccio la parte del magnaccio…”
Hai capito? diceva che faceva la parte del magnaccio! Ma io oramai mi ero affezionata a lui, stavamo insieme, mi portava al cinema, mi faceva ridere, una volta che ero malata mi curò per una settimana, e poi debbo essere sincera?… io sentivo per lui anche un trasporto dei sensi. Era un uomo tenero, la notte voleva dormire sempre abbracciato con me. Inoltre gli affari andavano bene. Gli italiani infatti cominciavano a portarmi anche qualche amico tedesco.
La cosa più impressionante era la differenza: ogni italiano quando stava con me si comportava come se mi avesse conquistato per amore, non so come spiegarmi, parlava a bassa voce, mi carezzava, pareva che stessimo facendo una cosa che, né io, né lui, avremmo fatto poi con nessun altro. Alla fine dicevano: domenica torno, con il tono di uno che dice: so che non puoi vivere senza di me, perciò domenica ti faccio contenta di nuovo. Invece i tedeschi anzitutto arrivavano sempre con le bottiglie di vino o di birra e cominciavano a ubriacarsi, volevano farmi ubriacare con loro, e poi mi trattavano come una cosa, voglio dire proprio una cosa pagata che ha l’obbligo di fare quello che dicono loro. Io avevo l’impressione che non si accorgessero nemmeno se ero bella o ero brutta.
Ero italiana, ecco, la sola cosa eccitante era questa. Gridavano, comandavano, tutti così, anche i più timidi, sai quei tedeschi che camminano in mezzo alle strade e ti sembrano tanto minchioni, tutti rispettosi. Pagavano però di più: c’era anche questa differenza: l’italiano cerca sempre di fare flanella, ti dà metà dei soldi, si sente sempre capace di farti innamorare di lui in modo da non pagare. I tedeschi niente: quant’è? Quaranta marchi! Iawol! Zac, zac il denaro senza nemmeno guardarti in faccia. In due mesi guadagnai due milioni e mezzo.
Però più di un milione se l’era preso Pasquale, un altro milione ce lo mangiammo e mi rimasero solo trecentocinquantamila lire. Su per giù avevo risparmiato quanto risparmiavo in Sicilia, e mi sentivo malata, non vedevo la bambina da tanto tempo… Una sera vennero tre giovani tedeschi un poco strani. Biondi, alti, con gli stivali di capretto. Sembravano simpatici, ma ridevano troppo, parlavano a voce alta, si sdraiarono sul divano con i piedi sul tavolo, vollero caffè, cognac e sigarette, facevano carezze ruvide. Però erano eleganti, con gli orologi d’oro, le camicie di seta.
Il primo che venne con me parve soddisfatto e lo disse anche ai compagni: “Bravissima italiana!”. Guarda che tipi pensavo debbo fargli pagare la tariffa di lusso. Infatti vennero anche gli altri e parevano anch’essi soddisfatti. Grida e risate. Vollero altre sigarette e cognac, mi contagiarono l’allegria. Improvvisamente uno di loro mi dette uno schiaffo tremendo che mi fece traballare i denti: “Senti italiana, che ti è venuto in testa? Fai la professione in questo quartiere e non ci paghi le tasse. Non lo sapevi che qui comandiamo noi…? Ogni mese devi preparare una busta con mille marchi!”.
Mi dette un altro schiaffo così violento che caddi a terra con la faccia piena di sangue. In quel momento rincasò Pasquale: “Aiuto Pasquale, mi stanno ammazzando…”. Lui si avventò, ma che poteva fare? Lo abbatterono subito, mi trascinarono per i capelli addosso a lui e ci picchiarono a pugni e calci per cinque minuti. Fracassarono tutto, tagliarono le poltrone, ruppero gli specchi. Alla fine si aggiustarono i capelli e le cravatte: “Italiana, ricordati: duemila marchi ogni fine di mese!”.
La cosa più ridicola fu che l’unico specchio intatto lo ruppe Pasquale con un pugno, pareva pazzo. Piangeva, si mordeva le mani, voleva procurarsi una pistola: “Appena vengono gli sparo dentro la bocca!”. Ma come potevamo rovinare la vita così? Mi vennero tre giorni di febbre, non mi potevo muovere per i dolori in tutto il corpo, non potevo nemmeno aprire la bocca. Che potevamo fare? Andare alla polizia e dire: “Ci sono delinquenti che mi impediscono di fare la prostituta…”.
Dopo una settimana partimmo… Andammo a Monaco di Baviera, prendemmo un appartamentino nella Leopoldstrasse una strada piena di locali pubblici, di dancing, una cosa mai vista. Pasquale però non riuscì a trovare i suoi amici, passarono dieci giorni senza nemmeno un cliente, una sera Pasquale mi portò a ballare io agganciai un italiano, un milanese, fece cose da pazzi, mi portò nel migliore ristorante, aveva una macchina lunga dieci metri, alla fine ce ne andammo nel suo albergo, ogni tanto rideva, mi abbracciava, mi baciava come una furia. “Ma chi me lo doveva dire stasera, guarda là nel cuore dell’Europa, proprio una siciliana. Fatti vedere: occhi neri, capelli di velluto…”.
Immagina quello che successe alla fine, alle tre di notte quando gli spiegai com’era la situazione, non si capacitava, non ci voleva credere. “Mondo boia, guarda che succede! Allora era tutta una truffa: qua c’è il gonzo, l’imbecille milanese che paga… Ti amo, mi diceva la siciliana, tesoro, dolcezza… Puttana sei! Ma io ti faccio andare in galera, qui la polizia non scherza sai? Mica sono i carabinieri…”; alla fine mi voleva regalare diecimila lire, faceva persino lo schifiltoso, me le porgeva con due dita come se avesse ribrezzo a toccarmi, perciò cominciai a gridare come so gridare io quando mi offendono. Bestia d’un milanese, e come potevo immaginare che eri così babbeo! Tu ora mi dai cinquantamila lire oppure sveglio mezzo albergo, scappo nel corridoio nuda come sono…!” Una cosa da ridere ora a raccontarla, ma intanto i clienti ogni sera me li dovevo procurare così, in un night o in un caffè, dovevo stare attenta che la situazione fosse chiara fin dall’inizio: “Me lo fai poi un regalino…?”.
I tedeschi in queste cose sono più svegli degli italiani, afferrano subito il personaggio: “Ich kein ghelt”, niente denaro, e se ne andavano senza nemmeno chiedere come e perché. Sai le prostitute che stanno sui marciapiedi…? Mi sentivo peggio di loro… Pasquale cominciò a dirmi che voleva insegnarmi dei trucchi: “Sai cosa fai? Tu vai a ballare in un ristorante e agganci un uomo, ma deve essere una cosa elegante, come fa una signora che viene sedotta. Poi quando ti porta nella stanza ti metti a piangere: ho mio fratello malato, non lo posso aiutare… oppure gli dici che hai la madre che sta morendo e devi partire.. . ti fai dare cinquantamila lire!” Io questi trucchi però non li so fare, mi viene da ridere, che ci posso fare? Ci provai due volte, ma i tedeschi non si fanno commuovere, magari un italiano forse, ma i tedeschi… subito dicevano: “Ah, tu puttana, capito…!”
Andava male, non riuscivo a guadagnare nemmeno quaranta marchi al giorno, ero sempre piena di nausea, mi venne di nuovo la bronchite, poi finalmente Pasquale mi trovò il lavoro in una casa privata: pareva una caserma, anzi una clinica, appena arrivate tutte la doccia, poi la visita medica e la colazione di marmellata e burro. Dovetti fare una settimana di prova gratis per controllare se piacevo e come sapevo lavorare. Otto ore di lavoro al giorno dalle sei del pomeriggio alle due di notte, stipendio fisso, cinquanta marchi al giorno, ventimila lire, meno duemila lire di spesa per la colazione, un pacchetto di sigarette e la visita medica. Se volevi un caffè dovevi pagarlo un marco.
La domenica era vacanza per tutta la giornata. La governante della casa era una donna anziana, alta, magra, con i capelli grigi e gli occhiali. Ogni domenica mi contava i soldi, mi faceva firmare la ricevuta. Ci metteva anche le marche da bollo.
Diceva sempre: “Tu italiana tieni troppo i clienti. Troppa passione!”. Mi contentavo, potevo dormire fino a mezzogiorno, la domenica andavamo a visitare i laghi nell’Austria, riuscivo a risparmiare anche centomila lire al mese. Ma Pasquale non era soddisfatto e smaniava: “Ma che sei cretina? Ma che sei un barbiere, un muratore…? Almeno i barbieri e i muratori hanno la previdenza sociale, se cadono malati gli danno le medicine gratis, a sessantanni gli tocca la pensione e se ne stanno a pancia all’aria. E tu fra dieci anni, quando cominciano a caderti i denti, che fai? Ti vengono i dolori reumatici, cominci a diventare brutta. Che fai, ti metti a domandare l’elemosina in Germania? Qua i mendicanti li chiudono obbligatoriamente nell’ospizio…”.
Mi fece spaventare, cominciò a dire che avevamo sbagliato a venire a Monaco di Baviera. “Questo è il sud, come Napoli, come Catania dalle nostre parti, una città di ubriachi e spilorci. Almeno a Napoli vedi gente allegra, qua sono ottusi, non li vedi come si vestono, sono tutti contadini. I tedeschi del nord disprezzano i bavaresi proprio perché hanno l’animo miserabile!” All’inizio dell’inverno ci trasferimmo in una città del nord, Gelserkirken, vicino alle miniere, una città piena di italiani e di turchi. Trovai lavoro in una birreria che si chiamava gasthouse ed era una specie di bordello, cioè era combinata così: di sotto c’era il locale della birreria, al primo piano un salone con l’orchestra e al secondo piano le stanze da letto. La gente prima si ubriacava nella birreria, poi saliva al primo piano per ballare, e qua c’eravamo noi. C’era un’orchestra che suonava, i tavoli, la pista per ballare e un fetore terribile di fumo e di birra.
Gli uomini salivano e scendevano, cadevano ubriachi sotto i tavoli, si addormentavano, ogni tanto sceglievano una donna e salivano nelle stanze di sopra per mezzora. La tariffa era di venti marchi. Ogni sera bastonate fra italiani, turchi, spagnoli e tedeschi. Lavoravo come un animale, ero così stanca che non capivo più niente, avevo sempre la febbre, un mal di testa continuo, ma avevo però la forza di lavorare anche la domenica per conto mio, con i clienti che Pasquale mi portava a casa. In due mesi riuscii a guadagnare novecentomila lire ma mi sentivo morire, tutto quello che mangiavo aveva il sapore del carbone, anche l’aria, anche i corpi degli uomini, mi facevano vomitare.
“Io sto morendo” pensavo “io non arrivo nemmeno a vedere la mia bambina. Ma chi lo dice a Pasquale…? Qua debbo scappare prima che mi leva questi quattro soldi…” Una sera, invece di tornare a casa, andai direttamente alla stazione e fermai un poliziotto con la divisa azzurra e il berretto bianco: “Ich wollen zug nach Palermo given, voglio andare direttamente a Palermo… ; sorrideva gentile e io piangevo, avevo la febbre a quaranta: “Brutto cretino biondo, lo capisci quello che ti dico, devi solo indicarmi un treno per Palermo, ti prego…”.
Mi portarono prima al posto di polizia, poi per una settimana in un ospedale, mi lavarono, mi pulirono, mi fecero passare la febbre e infine mi accompagnarono fino ad un treno per la Sicilia…» «E Pasquale?» «Scomparso! Non l’ho visto più…! Non era un tipo malvagio, era solo ingenuo, un poco stupido, non era mestiere suo…! Ci vuole crudeltà, intelligenza. Qui in Sicilia abbiamo invece i re dei magnacci… Per fare taluni mestieri ognuno deve restare al suo paese. Anche il funzionario del consolato me lo disse…» «Che disse?». «Mi venne a trovare in ospedale il giorno prima di partire per la Sicilia. Un giovanotto con gli occhiali, molto educato: “Signora, lei è venuta in Germania per esercitare la prostituzione, e questo è vietato. Ora cosa intende fare…?”. “Voglio tornare a esercitare la prostituzione in Sicilia!” Mi strinse la mano tutto contento: “Brava!”»
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