Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo le inchieste de “I Siciliani”, ringraziando la Fondazione Fava che ci ha concesso la divulgazione


Stavano tutti stretti l’uno contro l’altro: il marito, la moglie ed i cinque bambini e la loro famiglia fu proprio la prima ad essere chiamata: si avviarono rapidamente verso la scaletta della nave, senza nemmeno voltarsi. L’appello continuò velocemente e da ogni parte della banchina gli emigranti cominciarono ad affluire a piccoli gruppi verso la nave bianca. Salii con loro e, sulla tolda della classe turistica, intervistai il terzo personaggio il quale, finalmente, mi raccontò una storia. Era un uomo di età indefinibile, vestito di marrone, con una faccia ossuta sormontata da un cappellino di velluto grigio. Aveva un aspetto un po’ buffo.

Si chiamava Sebastiano Passanisi e veniva da Agrigento. Quella che segue è la sua storia narrata con le sue stesse parole: «Scusi, lei che lavori ha fatto?»

«Io ho fatto tutti i lavori! Ho fatto il contadino, il muratore, il manovale, il tagliatore di legna, ho lavorato nei cantieri delle strade ed ho fatto anche il venditore di cartoline illustrate e il gelataio. Ora non mi posso ricordare tutti i lavori che ho fatto… Per esempio in Germania sono stato nelle miniere di carbone vicino Bochum, ho fatto anche il contadino in una fattoria di Dusseldorf a raccogliere fieno, concime o patate secondo le stagioni…»

«Ha girato il mondo?»

«Se è per questo sono stato a lavorare anche in Africa orientale ai tempi del Duce, nelle piantagioni vicino Gondar. Sono stato anche in Libia a fare il colonizzatore: ci fecero vestire tutti da fascisti con gli stivali e il fez, allineati sul fianco della nave e il Duce ci passò in rivista con una corazzata in mezzo al mare. Poi ci fu la guerra…»

«E se ne tornò a casa?»

«Nossignore! Prima mi fecero prigioniero per cinque anni. Quando tornai c’erano i comunisti: “Passanisi stai tranquillo” dicevano “Ora ci dividiamo i feudi. le case e il bestiame! Voi che siete cinque di famiglia vi toccano almeno dieci ettari di campagna e dieci muli!” Li avete visti? Non è che io potevo aspettare la rivoluzione.,, mi dissero che nel Venezuela si potevano guadagnare un sacco di soldi ed io ci andai come manovale».

«Spaccavo le pietre, costruivo le strade. C’erano anche tanti altri siciliani che costruivano strade in mezzo alla foresta, la cosa terribile era il caldo, gli occhi si squagliavano, venivano piaghe sotto le ascelle ed alla pianta dei piedi. Scusando il termine molti se la facevano addosso per la dissenteria. Mi feci quattro soldi, ma improvvisamente mi venne una malattia, gonfiai tutto, lo stomaco mi diventò quanto un pallone, dopo una settimana mi portarono in un ospedale di Caracas dove i medici mi dettero due tubetti di pillole e mi dissero di tornare in Italia. Sono morto pensai re quiescat caro Passanisi, hai appena il tempo di tornare a casa e rivedere la tua famiglia!» 

«Da una parte mi piaceva avere il tempo di tornare a casa, dall’altra mi faceva rabbia non essere morto con un colpo. Le malattie lunghe sono una cosa schifosa. Pensavo: il destino era che questi quattro soldi se li dovevano mangiare i dottori. Invece appena tornai al paese la malattia mi passò, diventai magro, mi sentivo bene, mangiavo e bevevo, perciò decisi di comperarmi un pezzo di terra e cominciai a coltivarla. Ma che si può fare con due soli ettari di seminativo? I tempi erano cambiati! Poiché mi avevano detto che nel Canadà si poteva lavorare come taglialegna, partii per il Canadà: tagliavo alberi, tagliavo la legna, ma c’era sempre la neve alta un metro, alla fine mi congelarono i piedi e dovetti andare nella città di Ottawa dove cominciai a lavorare nella costruzione dei grattacieli. Ma non conoscevo la lingua, non capivo niente». 

«Mi avevano detto che nel Canada si parlava solo inglese, macché, si parlava francese… In Africa avevo imparato il dialetto degli abissini, in Libia avevo imparato a parlare un poco anche arabo, durante la prigionia avevo imparato a parlare inglese e infine nel Venzuela mi arrangiavo anche con lo spagnolo… siento mucho molestarle… Ma guarda che razza di cose: i professori di università no, e io che ero un contadino avevo dovuto imparare a parlare quattro lingue… Il francese però non fui capace! La verità era che ero stanco, quattro soldi li avevo risparmiati e perciò me ne tornai in Sicilia…»

«E che ha fatto in Sicilia?»

«Il contadino, grazie a Dio!»

«E come se la passava?»

«Male, male! Il frumento oramai non ha valore, per potere campare con la terra bisogna possedere almeno dieci ettari con la casa, l’acqua, il bestiame e il trattore…»

«Perché parte di nuovo?»

«Come perché? lo ho due figli emigrati in Australia. Mia moglie è morta e allora mi hanno fatto l’atto di richiamo… ho venduto la campagna, mi sono tenuto solo un ettaro di terra e la casa perché non si sa mai quando torniamo… I miei figli dicono che il lavoro è quello di tagliare le canne. La cosa non mi convince molto: non ho capito a che cosa servono le canne. Basta che mi pagano…» Fece un sospiro e un gesto: «Certo lavorare la terra è un’altra cosa, dà più soddisfazione, ogni cosa che fai resta nella terra…»

«Si sente molto triste in questo momento?»

«Uno che parte non può essere allegro. Ormai ho paura di partire. tornare, partire… Nella vita ho provato tutto quello che un uomo poteva provare, voglio dire un uomo della mia condizione… nell’Africa i serpenti mi camminavano sul letto, in Marmarica presi il tifo, in Canadà mi tagliai mezza mano nella segheria, quando lavoravo nelle miniere tedesche ci fu un crollo e quattordici persone nella mia squadra rimasero seppellite nella galleria sotto il carbone. Ce n’era uno che gli era rimasto solo la testa fuori dalle pietre, ma era ancora vivo, uno spagnolo di venticinque anni che abitava nella mia stessa baracca, José Sebastiano Barcella».

«Mi chiamava: Passanisi, Passanisi, non mi fare morire. Amigo, amigo…! Bastava però togliere.una pietra e crollava tutto il resto della galleria. Chi si muoveva? Io non avevo nemmeno il coraggio di respirare… allora lui cominciò a insultarmi: Passanisi bastardo, Passanisi italiano vigliacco! Gli usciva sangue dalla bocca, sotto le pietre doveva essere tutto rotto, spezzato. Ma come potevo fare…? Jose Sebastiano” gli dissi “Perdonami! Oramai sei morto. Se muovo una pietra sono morto anche io.»

«Io ho tre figli: che faresti tu al mio posto? Se riesco a uscire vivo di qua, mando la catenina a tua madre. Te lo giuro!” Gli sfilai la catenina dal collo, lui cercava di mordermi le mani, continuava a gridare ma sempre più adagio e infine morì. Mi salvarono dopo diciotto ore e la catenina la spedii alla madre di Josè Sebastiano la quale mi mandò anche una bella lettera di ringraziamento… Io ho provato tutto nella vita, che impressione volete che mi faccia andare in Australia a tagliare le canne…»

Lo lasciai affacciato alla murata. Laggiù dalla banchina lo distinguevo in mezzo agli altri. A poppa della nave era comparsa una orchestrina di otto persone vestite di azzurro. Suonò a lungo la sirena e l’orchestrina attaccò festosamente: «Partono i bastimenti, ‘ppe terre assai luntane…» ed allora tutte le donne che erano affacciate lungo le gallerie dell’immensa nave o che stavano laggiù lungo il molo, cominciarono a piangere. L’orchestrina continuava a suonare ed apparve anche un cantante, un giovanotto con i capelli lunghi, e vestito anch’egli di azzurro, che salì quasi sul parapetto, cantando con la mano sul cuore: «Cantano ppe tramente, u sole già scumpare, e a luna a mmienzo o mare, nu poco ‘e Napoli me fa vedè…».

La nave bianca cominciò lentamente a staccarsi dal molo, un metro, due metri.., una specie di montagna che cominciava a galleggiare in mezzo al mare e in quel momento preciso l’orchestrina cominciò a suonare l’inno nazionale: «Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta…» i carabinieri sul molo e gli ufficiali a poppa della nave fecero il saluto militare, ed allora per uno di quei misteriosi imbrogli dell’anima umana, anche gli uomini, i braccianti, i contadini, i manovali, si misero a piangere. L’Italia se ne andava, e per alcuni se ne andava per sempre. L’Italia con i suoi trucchi, le sue infamie, i debiti, la terra arida, gli attentati, le bombe, i fascisti, i comunisti, i democristiani, le brigate rosse, le truffe, le corruzioni, i giorni amari della miseria e della disperazione… L’Italia se ne andava, vecchia puttana traditrice, così disperatamente odiata, così disperatamente amata

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