La destra è minoranza al 43,8 per cento (46,7 per cento includendo Gianluigi Paragone con Italexit). Gli altri (49,8 per cento) sono un arcipelago di naufraghi su zattere divise e votate, in primo luogo, contro il fronte opposto. I prossimi cinque anni diranno se dal corpo elettorale (da dove altrimenti?) arriverà una pressione culturale e morale capace di fondere i particolarismi senza respiro del Movimento 5 stelle, frazioni del Partito democratico e di terzi poli vari.

Generazioni ed elezioni

Se all’interno del corpo elettorale è davvero latente una domanda politica diversa, è probabile che la si trovi più pressante e reattiva nell’ambito delle generazioni che, con maggiori percentuali, respingono la destra: dai 18 ai 44 anni (con percentuali a favore degli sconfitti che variano dal 68,8 per cento (18-24 anni), al 56,4 per cento (25-34 anni), 49 per cento (35-44 anni), 49,8 per cento (65 e oltre). Tra gli adulti maturi, nati tra il 1958 e il 1977, la percentuale di preferenza per la destra è invece prevalente: 43,9 per cento contro 41,7 per cento (45-54 anni) e 46,7 contro 45,7 (55-64 anni).

Il campione da cui l’istituto Ixe ha tratto questi dati non è abbastanza esteso da “reggere” una lettura differenziata da territorio a territorio, o secondo sesso, lavoro o professione. Solo investendo nei sondaggi, si potrebbero conoscere meglio i collegi uninominali in cui non si è ottenuta la vittoria. E se fossimo Enrico Letta, per far chiarezza prima del Congresso, concentreremmo in questa spesa ogni spicciolo rimasto in cassa.

Media e voti

Nel frattempo ci siamo rivolti anche allo Studio Frasi, specialista di indagini sull’Auditel, per verificare se fra le scelte elettorali e quelle televisive si possa intravedere una qualche correlazione.

Il dato più eloquente è che i nati nel ventennio 1958-1977 sono sia il nerbo elettorale della destra sia il cuore (il “target commerciale”) della platea di Canale5. Insomma, Silvio Berlusconi da decenni scuote l’albero, dapprima per sé stesso, poi a vantaggio di Matteo Salvini, finché la frutta non l’ha raccolta Giorgia Meloni.

Come se la scelta di votare a destra derivasse, oltre che dai tangibili interessi e dal tradizionalismo di maniera, da un comune approccio alla cosiddetta società dello spettacolo. Una sinonia maturata, a giudicare dalla coincidenza temporale con le schiere dei post boomers, nella seconda metà degli anni Settanta quando apparve la conquista simultanea del consumo di massa e della televisione commerciale, che di colpo facevano avvizzire le ideologie comunitarie.

Gli attuali 45-64enni erano allora ventenni o bambini ancora in culla e divorarono telenovelas, gossip e Puffi, fidelizzandosi al Biscione e al suo imprinting fino a mantenere, circa la metà di questa generazione, il cordone ombelicale con quel mondo di segni e di valori. Qui troviamo, almeno come ipotesi e almeno in parte, il bandolo della matassa che permette alla destra di distinguersi e “tenersi” al di là delle oscillazioni di fortuna al proprio interno e al di là di valori maggiormente transitori, quali i rigurgiti di tradizionalismo che dalla crisi finanziaria del 2008 stanno pompando i conservatori e reazionari, da Donald Trump a Vladimir Putin.

Le generazioni nate successivamente, dunque gli under 45, più giovani sono state invece rapide a mollare la tv del salotto e del tinello per passare prima al computer in cameretta e poi allo smartphone. Questa generazione ha vissuto la comunicazione come condivisione tramite internet. Cifre elettorali alla mano, pare che fra costoro il tradizionalismo, sia del costume sia televisivo, non attacchi. Una prateria per chi volesse costruire una spina dorsale anti destra.

I reduci del secolo breve

Ma, ahimè, è proprio questa l’impresa meno adatta al personale cresciuto nelle beghe di Partito, movimento o polo in fieri. Che, semmai, somiglia culturalmente ai sessantacinquenni (e oltre) reduci del secolo breve, formati nelle scuole, case e chiese d’una volta, oggi orfani di idee e pubblico elettivo della tv tradizionale dove si spartisce accuratamente nel seguire i talk show a seconda che profumino di destra (area Mediaset e Giletti) oppure di “sinistra” (briciole di Rai e moltissima La7). Oltre che raggrupparsi e votare in maggioranza, molto ampia, contro la Destra, ma turando con ogni cura il naso.

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