Il gruppo di via Panisperna stava lavorando da alcuni anni al tentativo di modificare il nucleo interno dell'atomo. Come un gesto non previsto e senza una teoria, la sostituzione di una lastra di piombo, produsse l’effetto decisivo
«Ora dovremo tutti imparare l’italiano». Se il nostro idioma è prezioso per chi si occupa di discipline umanistiche e artistiche, non è stato spesso considerato lingua franca della scienza. L’esortazione pronunciata dal fisico Isidor Rabi, professore alla Columbia University e raccontata nel libro Il papa della fisica di Segrè e Hoerlin (Cortina) aveva però una solida ragione: i risultati che Enrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna stavano pubblicando nel 1934 ne La Ricerca Scientifica. Dal loro laboratorio nel centro di Roma quei giovanissimi ricercatori – Fermi, il capo, aveva 33 anni – stavano letteralmente gettando le fondamenta della fisica nucleare moderna.
Un percorso affascinante che culminò novant’anni fa, lunedì 22 ottobre 1934, quando una scelta improvvisa spalancò una finestra sul mondo microscopico e portò quel gruppetto di scienziati entusiasti a diventare i ragazzi di via Panisperna ed Enrico Fermi al premio Nobel.
Erano anni di rivoluzioni nella fisica: agli inizi del secolo la relatività e la meccanica quantistica avevano sconvolto tre secoli di fisica classica. La frontiera della conoscenza si spostava all’indagine del cuore dell’atomo, il nucleo. Uno che l’aveva chiaro era colui grazie al quale oggi abbiamo le pensioni di vecchiaia: che non è un economista con la passione per la fisica, ma un fisico con la passione per l’economia, Orso Mario Corbino.
Siciliano, nato nel 1876 e laureatosi giovanissimo in fisica a Palermo, Corbino unì alla carriera universitaria l’impegno politico. Liberale, fu successore di Croce al ministero della pubblica istruzione e per un anno, dal 5 luglio 1923, ministro dell’economia nazionale nel primo governo Mussolini.
In questa veste promosse il Regio decreto del 30 dicembre 1923 intitolato “Assicurazione obbligatoria contro l’invalidità e la vecchiaia per le persone di ambo i sessi”. Con buona pace dei nostalgici del “quando c’era lui”, le pensioni le pensò e le istituì un liberale.
Corbino era un ottimo fisico, «aveva una intelligenza scientifica eccezionale» come scrive Emilio Segrè in Enrico Fermi, fisico (Zanichelli); ma fu anche eccellente organizzatore.
Il ministro liberale
Lo stesso Segrè aggiunge che «riconosceva immediatamente i punti essenziali di ogni problema sia scientifico sia umano». Da quando nel 1918 assunse la direzione dell’Istituto di Fisica dell’Università di Roma, fu un convinto promotore di un approccio moderno alla ricerca.
«Quando io avrò̀ ricordato che in Italia la collaborazione fra teorici e sperimentatori comincia appena adesso» affermava Corbino nel 1929, «e che siamo ben lungi dal possedere i grandi mezzi di cui possono giovarsi i laboratori delle altre Nazioni, non potremo più̀ meravigliarci se la fisica italiana ha potuto contribuire così poco al progresso scientifico in questo periodo di profondo rinnovamento».
Istituì la prima cattedra di fisica teorica a Roma e chiamò come professore nel 1926 un giovanissimo Enrico Fermi. A lui affidò il compito di rilanciare la fisica italiana. A partire proprio dall’indagine del nucleo: sempre Corbino disse «la sola possibilità di nuove grandi scoperte in fisica risiede perciò nell'eventualità che si riesca a modificare il nucleo interno dell'atomo».
Era un salto concettuale da far rabbrividire: la fisica abbandonava un terreno noto a partire dagli albori della chimica per avventurarsi in regioni incognite. Ma Fermi e quel gruppo di giovani e brillanti fisici erano gli esploratori adatti per un simile viaggio. Una squadra che per un decennio diventò un riferimento per la fisica mondiale.
Indagare il nucleo richiedeva metodologie nuove e la competizione era agguerrita. Gli “occhiali” per guardarlo erano altre particelle microscopiche, lanciate contro di esso. Agli inizi del 1934 Irène Curie – figlia di Maria Skłodowska Curie – e il marito Frédéric Joliot grazie ad acceleratori di particelle produssero artificialmente elementi radioattivi.
In via Panisperna non avevano gli acceleratori, ma alle carenze di impianti supplì il genio di Fermi. Lui capì che sonde ancor più efficaci del nucleo potevano essere i neutroni, particelle elementari all’epoca scoperte da poco. Esse non solo potevano essere prodotte senza gli acceleratori, ma essendo prive di carica elettrica erano in grado di penetrare il nucleo assai più facilmente.
«La fortuna aiuta gli audaci», si dice. E in via Panisperna un pizzico di fortuna e serendipità in effetti non mancò. Innanzitutto, perché letteralmente alla porta accanto era collocato il “Laboratorio fisico” della Direzione generale della sanità pubblica, guidato da Giulio Cesare Trabacchi, che gestiva le riserve italiane di materiale radioattivo.
Per Fermi fu immediato suonare il campanello e procurarsi le sostanze con le quali poteva produrre i neutroni. Ai primi di marzo del 1934 iniziarono gli esperimenti e già dopo pochi giorni arrivano i primi risultati. In ottobre aleggiava però una certa insoddisfazione. Le misure non erano riproducibili e modificando dettagli apparentemente poco importanti, i risultati cambiavano in modo impredicibile.
Non esattamente ciò che il metodo sperimentale pretendeva.
Il giorno giusto
La svolta, il 22 ottobre, quando Fermi compì un gesto non previsto. Tra la sorgente di neutroni e il campione di argento che stava esaminando doveva interporre una lastra di piombo, ma – come più tardi avrebbe lui stesso raccontato al fisico indiano Chandrasekhar – «a un certo punto dissi a me stesso: “No, qui non voglio un pezzo di piombo; quello che voglio è un pezzo di paraffina”. Fu proprio così, senza segnali premonitori né ragionamento conscio. Immediatamente presi un pezzo di paraffina qualunque e lo posi lì dove avrei dovuto mettere il pezzo di piombo».
L’effetto fu eclatante. L’attività provocata nell’argento crebbe considerevolmente e in maniera del tutto riproducibile. Verso le 13 Fermi andò a casa a pranzo; al ritorno aveva la spiegazione teorica. L’idrogeno di cui la paraffina è ricca rallentava i neutroni, che con minor energia interagivano assai più efficacemente con l’argento. Nel pomeriggio, per confermare l’ipotesi, l’esperimento venne ripetuto immergendo sorgente e campione di argento nella vasca dei pesci rossi della fontana che si trova nel giardino di via Panisperna. Anche l’acqua è ricca di idrogeno e la conferma fu immediata. Nel giro di poche settimane indagarono quasi tutti gli elementi della tavola periodica aprendo una nuova frontiera nella fisica nucleare. Quei risultati portarono Fermi al Nobel nel 1938.
Gli storici si sono interrogati su cosa abbia spinto Fermi a quella decisione improvvisa. Un misto di intuito, genialità, profonda conoscenza dei più recenti sviluppi della fisica, e fortuna. Certo quel 22 ottobre fu uno dei “momenti fatali”, prendendo a prestito il titolo di un bellissimo libro di Stefan Zweig (Adelphi), che scrive «ore simili, sature di potenziale drammatico e gravide di fatto, che racchiudono in un'unica data, in un'unica ora e spesso in un solo minuto una decisione destinata a trascendere la contingenza, sono rare nella vita di un singolo individuo, e rare nel corso della storia». Quel giorno, in via Panisperna, si fece la storia.
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