Si chiama Formula Medicine e l’ha aperta il dottor Riccardo Ceccarelli a Viareggio per allenare la testa dei fenomeni della velocità. Da un po’ sono aggiunti sciatrici (Shiffrin), tennisti (Sinner), arbitri del VAR, meccanici addetti ai pit-stop, manager che vogliono «migliorare le skill». Forse si spiega così perché esistano sempre meno geni sregolati e più secchioni di talento
Certo che costano i taxi a Viareggio, dico, quasi quanto a Milano. Mah, ribatte il tassista viareggino mentre il tassametro sfonda la soglia psicologica dei 20 euro pur non essendo passati nemmeno 10 minuti da quando sono salito a bordo per farmi portare alla sede di Formula Medicine. Secondo me, prosegue, costano di più, perché lei deve sapere… Non smetterà più di ciarlare.
Parlare mentre si guida è un esempio di “dual task cognitivo”, come scoprirò di lì a poco, una di quelle abilità su cui i piloti di Formula 1 lavorano per migliorarsi e proprio nel luogo in cui stiamo andando noi tre (io, il tassista, il tassametro) e di cui il secondo ignora non solo l’ubicazione ma anche l’esistenza. Eppure ci vanno piloti famosi, insisto, e faccio nomi che non ottengono alcun effetto: il pilota di taxi ribadisce la sua ignoranza con voce pacata. Scoprirò anche che il tono con cui un pilota, in gara, parla via radio con i suoi ingegneri, dice molto del suo stato mentale, se sta sprecando energie (voce alterata) o no (voce pacata). Il posto in cui stiamo andando, racconto al pacato tassista, è nato per allenare la testa dei piloti ma, agli oltre duecento che lo frequentano, ultimamente si sono aggiunti sciatrici (Mikaela Shiffrin), tennisti (Jannik Sinner), arbitri del VAR, meccanici addetti ai pit-stop in F1 e figuriamoci se potevano mancare i manager, smaniosi di «performare» e «migliorare le skill».
Il dottor Ceccarelli
Nessuna reazione: la skill del tassista dev’essere l’imperturbabilità. Però, dice, ora che ci pensa, da queste parti una clinica famosa c’è, eccola lì, è forse quella Formula Medicine? e indica un gommista, convincendomi ad abbandonare definitivamente la conversazione: non gli racconterò la storia di come ho scoperto l’esistenza di questo posto, di questa… cos’è, in effetti, una clinica? «No. È un centro di medicina dello sport», mi correggerà il dottor Riccardo Ceccarelli accogliendomi all’ingresso. Meglio raccontarla a lui che, avendo fondato Formula Medicine, sarà contento di sapere che a parlarmene è stato un famosissimo pilota di Formula 1 (che preferisce restare anonimo) che la considera fondamentale per la sua carriera, perché, mi ha spiegato, i piloti di F1 sono tutti ugualmente bravissimi a guidare, quindi a fare la differenza è la testa. Qui ha imparato a liberarla dal freno di tutti quei pensieri inutili che ci turbinano nel cranio quando siamo tesi, spaventati, agitati e che Ceccarelli, con termini clinici, definisce «seghe mentali».
Una palestra per allenare il corpo, una per la mente, una “stress room” con simulatore «per guidare in condizioni di caos», ambulatori per esami clinici, un team di medici, preparatori atletici, nutrizionisti e psicologi. Ceccarelli ha creato questo centro (a lungo l’unico) dopo anni di studi grazie ai quali ha scoperto che, a parità di prestazioni alla guida, la differenza tra piloti e non piloti è nell’uso della corteccia prefrontale: i primi la utilizzano meno e quindi non si affaticano. L’obiettivo finale, infatti, è «ottenere il massimo risultato col minimo sforzo»: far diventare la guida un atto automatico, in modo che il pilota possa usare le energie risparmiate per pensare ad altro, tipo studiare una nuova strategia, smanettare con le manopole e i pulsanti sul volante, parlare (pacatamente) con gli ingegneri. Il tutto mentre sta andando a 350 all’ora.
Ceccarelli voleva diventare un pilota lui stesso finché, a un corso di guida sportiva, conobbe un altro aspirante, Ivan Capelli e, dal confronto, prese atto di essere scarso: meglio diventare un medico dello sport con la passione per l’automobilismo. Nel 1989 sarà proprio Capelli, nel frattempo diventato sia grande amico sia pilota di Formula 1, il primo a chiedergli aiuto per allenarsi meglio, «perché nel motorsport i soldi andavano tutti sulla macchina mentre sul resto (leggi: sulla preparazione psicofisica del pilota, ndr) si faceva economia»: Ceccarelli fu il primo medico a voler capire cosa succede al corpo di un pilota. Inizialmente si serve di quello dell’amico Capelli, contento di fargli da cavia, sul cui petto appioppa, fissandolo alle cinture di sicurezza, un primordiale cardiofrequenzimetro grosso come il cellulare di Gordon Gekko: «Non ero il primo a usarlo: ero l’unico», sentenzia con epigrafico orgoglio.
I test
Al monitoraggio del cuore aggiunge poi le analisi del sangue, da fare subito prima e subito dopo la gara, e dalle quali, come Bobby Solo dalle lacrime, Ceccarelli capisce molte cose: ad esempio che «fare i prelievi ai piloti è difficilissimo, perché sono dei gran pavidi (termine mio, ndr): hanno il terrore degli aghi, del sangue…Uno (ma resiste alla tentazione di fare il nome, ndr), persino delle montagne russe». Poi arriva Ayrton Senna: «Venne a cercarmi: “Faresti gli esami anche a me? Voglio sapere se mangio bene o male”. Capii che il grande campione è uno che gli errori li va a cercare per migliorarsi: è stata la base che mi ha permesso di lavorare sulla palestra mentale, il nostro fiore all’occhiello».
E mi ci porta: una grande sala buia e nera, con schermi alle pareti, sedili a guscio e controller da videogame. È nata grazie a un’epifania che Ceccarelli ha avuto nel 2000 mentre osservava la linea tremula della frequenza cardiaca di un pilota durante una gara: regolare come quella di un orizzonte pianeggiante tranne che per due picchi a forma di Cervino disegnati dal cuore, schizzato da 170 a 190 battiti al minuto e poi tornato a 170: «Corrispondevano ai due momenti della gara in cui gli ingegneri avevano chiesto al pilota di spingere». E per ottenere cosa? Pochi centesimi guadagnati a fronte di un grande sforzo cardiaco. Ceccarelli intuisce quanto lo stato mentale possa incidere sull’affaticamento fisico e, con l’aiuto dell’università di Pisa, inizia a studiare il cervello dei piloti.
Oggi, nella palestra mentale, fissa al braccio del pilota una fascia che registra i battiti del cuore, lo incorona con una specie di cerchietto per capelli con cui monitora l’attività della corteccia prefrontale durante esercizi di ogni tipo dopodiché, incrociando i due dati già riesce a intuire il tipo, se è ansioso o con manie del controllo, rabbioso o perfezionista. E si può cominciare: «Con i campioni si lavora sui dettagli: io fornisco gli strumenti perché si gestiscano da soli». Per prima cosa «conosci te stesso», come aveva intuito un filosofo alcuni anni prima che inventassero le automobili: si parte dall’autoanalisi e si lavora per ampliare la zona di comfort il più possibile, in modo da restarci dentro, qualsiasi cosa succeda in gara.
Addio sregolatezza
Ceccarelli è stato tra i primi a portare la tecnologia nella testa degli atleti, contribuendo alla nascita dei campioni moderni, accomunati dalla cura di ogni dettaglio e che hanno in Cristiano Ronaldo un esempio quasi maniacale. Certo, qualche differenza si nota, «ad esempio i piloti di MotoGP sono più estrosi rispetto a quelli di Formula1, sono ancora un po’ avventurieri, perché hanno la percezione della morte, ma oggi anche loro si allenano meglio, stanno cambiando: pensa a Bagnaia, che non è affatto “un personaggio”». A suo dire «è stato Senna il primo esempio di campione moderno: quelli come lui o Prost, se volevi un autografo, dovevi aspettarli fuori dai cancelli fino alle 10 di sera, perché erano sempre gli ultimi ad andare via». Il risultato è che «oggi il talento da solo non basta più: è necessario ma non sufficiente».
Il che forse spiega perché esistano sempre meno geni sregolati alla «James Hunt, che passava la nottata con donne e alcol e il mattino dopo dava mezzo secondo al suo morigerato compagno di squadra Jochen Mass. Oggi il povero Mass potrebbe studiare la telemetria di Hunt, allenare meglio corpo e testa, curare l’alimentazione e quel mezzo secondo lo recupererebbe». Insomma, creature come George Best o Barry Sheene oggi sono inimmaginabili: ce lo vedete Maradona che va a letto presto dopo una giornata ad allenarsi e studiare? «Secchione con talento», conclude Ceccarelli: «Oggi è questo il cocktail vincente». Analcolico, ovviamente.
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