Che il mondo del gaming si stia professionalizzando non è certo una novità. I più forti giocatori di eSport (tornei agonistici di videogiochi) si contendono montepremi da decine di milioni di euro, mentre la figura del gamer che si riprende e commenta le sue gesta su YouTube o su Twitch ha dato enorme popolarità a personaggi come PewDiePie, Markiplier o Mikecrack: influencer con decine di milioni di seguaci.

Anche l’economia interna dei videogiochi – nei quali è possibile acquistare e rivendere beni digitali (accessori, abiti, poteri e altro ancora) – si è sviluppata moltissimo, diventando un mercato stimato in quaranta miliardi di dollari l’anno.

Negli ultimi due anni, però, un nuovo ambito di questo vastissimo settore si è rapidamente diffuso: la GameFi, la finanza dei videogiochi basati su blockchain e criptovalute. Nota anche come “play-to-earn” (gioca per guadagnare), promette lauti guadagni e possibilità di investimento per i gamer più dotati e dediti.

Da giochi di ruolo come Illuvium e CryptoBlade, a videogames fantascientifici come Alien Worlds o sportivi come ZedRun: il filo rosso che unisce tutti questi titoli è il fatto di dare agli utenti la possibilità di acquistare, potenziare e far competere per denaro i propri personaggi, per poi magari rivenderli a caro prezzo o addirittura affittarli in cambio di criptovalute, che possono ovviamente essere convertite in soldi veri.

Axie Infinity

Tra tutti, il gioco più noto nell’ambito GameFi – che è a sua volta parte del web3, l’auspicata terza incarnazione della rete basata su criptovalute – è sicuramente Axie Infinity: nato nel 2017 e sviluppato dalla società vietnamita Sky Mavis, si basa sulla compravendita di alcuni mostriciattoli chiamati Axies, che vengono acquistati, allevati e poi fatti combattere tra di loro (con modalità simile ai giochi dei Pokémon), permettendo al proprietario di guadagnare, in caso di vittoria, la criptovaluta collegata (chiamata Smooth Love Potion, SLP).

All’apice del successo, circa un anno, oltre due milioni di persone giocavano quotidianamente ad Axie Infinity. Quasi la metà degli utenti si collegava dalle Filippine, dove, dedicandosi al gioco a tempo pieno, era possibile mettere assieme uno stipendio nettamente superiore al salario minimo nazionale.

Per giocare (e guadagnare), è però prima necessario investire il proprio denaro e acquistare i tre Axies necessari a creare una squadra. Un investimento che, nei tempi in cui il valore dei token di Axie Infinity aveva raggiunto il massimo storico, poteva costare anche mille euro.

Una soglia troppo elevata per molti aspiranti gamer professionisti, soprattutto se provenienti da nazioni economicamente meno sviluppate.

Gli smart contract

Ed è qui che entra in scena una delle caratteristiche più importanti della blockchain: lo smart contract, un contratto digitale che entra automaticamente in esecuzione non appena gli accordi sottoscritti tra le parti vengono soddisfatti.

All’interno di Axie Infinity, questo strumento permette a chi possiede parecchi mostriciattoli di affittarli ai giocatori che non sono in grado di affrontare la spesa iniziale, in campo di una percentuale dei guadagni che va dal 20 fino al 60 per cento.

Col tempo, inevitabilmente, sono nate le figure dei “manager”: utenti che posseggono decine o anche centinaia di Axies e che li affittano a svariati giocatori, guadagnando quindi dalla gestione delle loro “scuderie”.

Alcuni di questi sono diventati dei veri e propri professionisti del settore: SavageStudioFBG, per esempio, è un manager di Axie Infinity che possiede qualcosa come 600 Axies e li affitta a una squadra di 200 giocatori.

Al suo apice, i guadagni di FBG erano arrivati anche a 20mila dollari al mese.

Cripto-colonialismo

Il fatto che manager spesso provenienti da paesi occidentali assoldino giocatori di nazioni come le Filippine – ma anche Venezuela e Thailandia – ha fatto sì che nei confronti di Axie Infinity (società registrata in Vietnam, ma fondata da un norvegese, Aleksander Larsen, e da un coreano-americano, Jiho Zirlin) sia stata mossa l’accusa di “cripto-colonialismo”, in cui i ricchi possidenti occidentali sfruttano la manodopera a basso costo proveniente da paesi più poveri, guadagnando senza fatica grazie al lavoro altrui.

Una narrazione che viene ovviamente rifiutata dagli utenti: «Io considero Axie anche un modo per educare i filippini al mondo delle criptovalute, che credo li aiuterà in futuro», ha spiegato il manager statunitense noto come Rafar parlando con Motherboard.

«Ho anche dato vita a corsi online sulle fondamenta delle criptovalute (come creare wallet, commerciare, evitare truffe, ecc.) aiutandoli a istruirsi su questo mondo».

Un altro manager, Conor Kenny, rifiuta anche di parlare di un rapporto di lavoro tra capo e dipendenti: «È più che altro una partnership: una parte mette il capitale, l’altra il tempo e tutti guadagnano», ha spiegato in maniera non troppo convincente sempre a Motherboard.

I timori che stesse nascendo una nuova forma di colonialismo digitale sono comunque presto passati in secondo piano, perché negli ultimi mesi Axie Infinity si è trovata alle prese con questioni non tanto etiche, ma esistenziali.

Come ha sottolineato Molly White, la programmatrice dietro al sito di analisi sarcasticamente intitolato Web3 Is Going Just Great («il Web3 sta andando alla grande»), l’economia di Axie Infinity si basa soltanto su un continuo afflusso di nuovi giocatori: un meccanismo piramidale, non troppo dissimile da una catena di Sant’Antonio, che ha reso il suo crollo solo una questione di tempo.

E infatti, a partire dall’estate scorsa (e anche in seguito a un recente attacco hacker, durante il quale sono stati sottratti l’equivalente di 600 milioni di dollari) il valore della criptovaluta SLP ha iniziato a crollare, dando vita al più classico circolo vizioso: le minori aspettative di guadagno hanno attirato sempre meno giocatori, provocando un ulteriore ribasso e così via.

Risultato? Al momento, un SLP vale 0,004 dollari, un centesimo dei massimi toccati circa un anno fa. I giocatori attivi su base quotidiana sono invece scesi dai 2,7 milioni del novembre scorso agli attuali 600mila.

Le “misure drastiche” annunciate da Sky Mavis per evitare che l’economia di Axie Infinity si bloccasse completamente non hanno per ora funzionato, portando anche al recente distanziamento dal modello “play to earn” e alla volontà di presentarsi come un gioco più tradizionale.

Il rapido declino 

La difficile situazione non mette economicamente a rischio i fondatori del gioco (che hanno ottenuto finanziamenti per 300 milioni di dollari da realtà come Andreessen Horowitz e Samsung), ma si ripercuote invece sui normali giocatori. «Nell’estate del 2021, alcuni giocatori di paesi a medio e basso reddito guadagnavano talmente bene con Axie Infinity da decidere di abbandonare i loro lavori e dedicarvisi a tempo pieno», ha scritto Rest of the World, testata specializzata sull’impatto del digitale nei paesi economicamente meno sviluppati. «Nelle Filippine, alcuni giocatori erano arrivati a guadagnare anche duemila dollari al mese».

Ancora ad aprile, un giocatore incredibilmente abile poteva sperare di guadagnare una cifra vicina ai 7 dollari al giorno, che rappresenta il salario minimo delle Filippine.

Oggi, può considerarsi fortunato se ottiene un quinto di quella somma. «Gli aspetti economici dei videogiochi sono sempre stati incredibilmente complicati da gestire», ha spiegato ancora Molly White.

«Aggiungendo un ulteriore livello attraverso token dal valore fluttuante, tutto ciò diventa esponenzialmente più complesso». E a farne le spese, come sempre in questi casi, sono stati gli ultimi a salire sulla barca che iniziava ad affondare, dalla quale i più furbi erano già scappati col bottino.

I problemi registrati da Axie Infinity (e da altre piattaforme della GameFi) vanno comunque inquadrati nel più generale scoppio della bolla delle criptovalute, che negli ultimi mesi ha visto i bitcoin perdere due terzi del valore e il mercato degli NFT precipitare anche del 90 per cento.

Non è quindi detto che, in futuro, la GameFi non aggiusti i suoi punti deboli e non si faccia nuovamente largo nel colossale settore dei videogiochi. Che a quel punto diventerebbe parte della “tokenomics”: l’economia immaginata dai sostenitori delle criptovalute in cui ogni attività della nostra vita diventa oggetto di speculazione. Perfino i passatempi.

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