Il “terrorismo stocastico” è quello che gioca sulla probabilità che l’atto terroristico si concretizzi da sé senza che chi lo induce debba organizzarlo, perché a questo ci penserà infallibilmente, qua o là e prima o poi, qualche ignoto lupo solitario.

L’espressione si riferisce ovviamente ai siti d’odio che rilanciano negli Stati Uniti le paranoie della “far right”, la destra estrema cara a poco meno della metà del paese. Siti che eruttano fuoco e fiamme ma che, nel lanciare il sasso, nascondono la mano quanto basta per sfuggire alla galera.

Il terrorismo stocastico, va da sé, non esisterebbe senza il web perché come tutti i giochi basati sulla sorte, cerca i grandi numeri e li trova in rete grazie agli intermediari tecnici (i provider) che gli assicurano costanza, ampiezza e velocità di diffusione, i tre fattori che ingigantiscono i contatti e creano la probabilità di spingere all’azione uno qualsiasi dei tanti in cerca di ragioni, se non di vivere, almeno di morire.

Colpire senza essere colpiti

“Colpire senza essere colpiti” è, guarda caso, il punto di contatto fra il terrorismo stocastico e gli hacker che attaccano la rete col metodo DDoS (Distributed Denial of Service, con cui intasano e bloccano i computer delle vittime) purché abbiano l’accortezza di aprire la tana su un provider come Cloudfare (“biglietto per la nuvola”), che garantisce una larga banda immune da quel genere d’attacchi.

Così gli hacker, in quanto utenti di Cloudfare, stanno al riparo da intrusioni di loro pari e polizia, e spargono hackeraggi che diffondono la voglia di Cloudfare, secondo lo schema del monello che infrange le vetrate a beneficio del vetraio.

Le “scelte di Sophie”

Terrorismo stocastico e pirateria hacker ci spiazzano rispetto ai contesti in cui si sono formate norme e abitudini circa la segretezza della posta e la libertà dell’espressione.

Mai consentiremmo che i postini ci aprissero le buste per tutelarci dai ricatti, così come pensiamo che la libertà del dire riguardi anche il predicatore stralunato al di là degli eccessi d’entusiasmo di qualche credulone.

Ma le carte cambiano quando, grazie al moltiplicatore della rete, i ricatti e le invettive cessano d’essere atomi di polvere, fastidiosa ma in fondo non mortale, e divengono valanga, rapida e fulminea tanto da mettere fuori gioco il tempo delle indagini.

A meno che non sia bloccata a monte, prima che si smuova e acquisisca l’irresistibile forza dell’inerzia.

Ne conseguono due “scelte di Sophie”, come nel film in cui Meryl Streep è costretta ad alternative radicali per salvarsi.

In questo caso si confrontano due valori che abbiamo entrambi a cuore, la sicurezza e la libertà, e l’alternativa è secca: o i provider, specie i più efficienti, spulciano all’origine le liste e spiano in itinere le azioni dei clienti (in particolare quanto a potenziale di spam bot) per escludere i più pericolosi; oppure rendono tecnicamente pagante il “terrorismo stocastico” e la pirateria informatica, perfino proteggendoli da eventuali ritorsioni.

L’altra possibile “scelta di Sophie” riguarda il cancellare o meno l’anonimo dal web. È infatti l’anonimato, inteso come identità non accertabile (da non confondere con il semplice pseudonimo), che potenzia l’hacker incappucciato e alimenta i rilanci del terrorismo stocastico, perché ben poche delle scemenze che circolano sulla rete verrebbero condivise a rischio di rimetterci la faccia.

Però – qui sta la scelta – l’anonimato è un totem della rete per i ragazzi che s’illudono d’esserne protetti quando si spiano fra di loro e la comfort zone degli aspiranti denunciatori d’ingiustizia. Ragazzi e whistleblower sono, per così dire, il lato bianco del mascheramento rispetto al lato nero degli affari criminali.

Per cui dovremo scegliere se continuare, più o meno fingendo, a non capirlo o a sottovalutare la questione. Col rischio che non scegliendo giunga il peggio, ovvero tenersi le cose come stanno con l’aggiunta di un irreversibile giro di vite poliziesco.

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