Il Tar del Lazio ha annullato la maximulta, che ammontava a oltre cento milioni di euro – inizialmente di 134.530.405 euro, poi rettificata per errore in 114.681.657 euro – inflitta dall’Antitrust ad Apple e Amazon per un’intesa anticoncorrenziale. «Dall’esame dello svolgimento dei fatti si evince che l'Agcm (cioè Antitrust, ndr) avrebbe potuto acquisire tutte le informazioni necessarie per tratteggiare gli elementi-base dell'illecito e, quindi, decidere se avviare o meno la successiva fase istruttoria in un lasso di tempo molto più limitato di quello effettivamente decorso, durante il quale non risultano essere state compiute attività», scrivono i giudici amministrativi.

Questa condotta sarebbe, argomentano, «in contrasto con il rispetto dei princìpi di buon andamento ed efficienza dell'azione amministrativa, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati».

«Accogliamo con favore la decisione del Tar. Il nostro modello di business in tutta Europa si basa sul successo delle piccole e medie imprese e continueremo a lavorare duramente per fornire un'ampia selezione di prodotti Apple, la qualità del servizio e la convenienza che i nostri clienti amano», è il commento dell’ufficio stampa di Amazon. 

La vicenda

Nel 2018 Apple e Amazon firmano un accordo, in base al quale Amazon taglia fuori dal suo sito di vendite alcuni rivenditori legali Apple solo perché indipendenti. Questi denunciano quella che per loro è un’ingiustizia all’Antitrust che avvia un’indagine. Da questa emerge che l’esclusione dalle proprie piattaforme costituisce «una significativa barriera allo sbocco al mercato della vendita online per i rivenditori non ufficiali, riducendo l’offerta online di prodotti Apple e Beats».

Apple si difende argomentando che l’estromissione da Amazon dei rivenditori indipendenti è una forma di lotta contro la vendita di prodotti falsi. Alla fine l'Antitrust ritiene che l’accordo di esclusione sia contrario alle normative europee perché limita la concorrenza e anche il libero commercio tra gli stati dell'Ue. Secondo la giurisprudenza prodotta dalla Corte di giustizia dell’Unione, infatti, il commercio, anche quello online, deve basarsi «su criteri di natura solo qualitativa, non discriminatori e applicati indistintamente a tutti i potenziali rivenditori». 

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