Chiusi nei “campi di rieducazione” aspettano di sapere cosa ne sarà di loro. Ormai sono sempre più numerose le conferme della politica del Partito comunista cinese di persecuzione e discriminazione della minoranza uigura, i musulmani dello Xinjiang. Ora, al ruolo dei funzionari del partito e del governo cinese, si aggiungono evidenze del ruolo delle grandi società commerciali. È il caso di Alibaba che, tra i servizi del suo sistema cloud, offriva, come notato in un recente rapporto di Ipvm (centro di ricerca americano sulla videosorveglianza) anche le prestazioni di un software di riconoscimento facciale utile a individuare membri della minoranza uigura o di altre minoranze etniche.

La rivelazione contenuta nel rapporto è stata poi ripresa da un’analisi del New York Times. Se è vero che gli autori del rapporto non sono stati ancora in grado di valutare se, e in che modo, il servizio sia stato già utilizzato dalle autorità cinesi, dovrebbero sicuramente destare preoccupazione le implicazioni globali relative alla tutela dei diritti civili in caso di adozione su larga scala di questa tecnologia.

Il servizio cloud di Alibaba menziona infatti la possibilità di utilizzare il servizio di “riconoscimento etnico” per i suoi utenti cinesi. Tale opzione non era disponibile nella versione inglese del sito. Come sottolineano i ricercatori di Ipvm ora quel passaggio è stato rimosso, inoltre è stato precisato come la funzione sia stata resa disponibile soltanto per effettuare dei test e non per un uso immediato. Il rapporto di Ipvm dice che anche altri provider cinesi di servizi cloud come Kingsoft mettono a disposizione servizi simili. Meno di dieci giorni fa, anche Human Rights Watch aveva sottolineato l’uso di un sistema di big data tramite una “Integrated Joint Operation Platform” (Ijop) che consentirebbe alle forze di polizia dello Xinjiang di identificare e arrestare gli appartenenti alla minoranza musulmana.

In un caso analizzato nello studio di Human Rights Watch era stato possibile identificare e arrestare una donna soltanto perché aveva ricevuto quattro brevi telefonate da un numero estero nel 2017 che l’algoritmo del sistema aveva caratterizzato come «collegate a paesi particolarmente sensibili». Per i ricercatori di Human Rights Watch, contrariamente a quanto sostenuto dalle autorità cinesi, la maggior parte delle persone segnalate tramite la Ijop sono arrestate in modo arbitrario per dei comportamenti leciti e non per prevenire «con precisione» attività terroristiche o criminali. La politica delle autorità cinesi, oltre a essere in violazione delle norme internazionali a tutela dei diritti umani, sarebbe quindi in violazione anche delle stesse norme costituzionali cinesi.

Nei materiali analizzati da Human Rights Watch emergono i comportamenti che sarebbero considerati come pericolosi e che quindi darebbero luogo alla segnalazione sulla piattaforma. Tra questi lo studio del Corano senza l’autorizzazione statale; indossare abiti religiosi (come il burqa o il velo); l’utilizzo di software Vpn (Virtual Private Network); spegnere e riaccendere ripetutamente il cellulare; viaggi in paesi “sensibili” come Turchia, Afghanistan, Arabia Saudita e Kirghizistan.

Il ruolo di Huawei e Megvii

Un altro rapporto di Ipvm, pubblicato quasi due settimane fa, dava conto del ruolo di Huawei e Megvii nello sviluppo di un sistema di sorveglianza di telecamere basato su tecnologie di intelligenza artificiale che consentono di riconoscere l’età, il sesso e l’etnia di una persona.

L’amministrazione Trump aveva già cominciato a serrare le fila mediante l’inclusione di aziende cinesi in una blacklist e proibendo ai cittadini americani di investire in alcune compagnie con stretti legami con l’esercito cinese.

I governi di molti paesi, compreso il nostro, sono chiamati a prendere delle decisioni importanti e chiare rispetto alle sfide etiche e giuridiche poste dallo sviluppo delle tecnologie, soprattutto quelle della sorveglianza e della raccolta dati. In tal senso appare sempre più necessaria sia una reazione politica rispetto alle sfide poste dalla discriminazione hi-tech del modello cinese, ma anche uno slancio nello sviluppo di tecnologia indipendente dagli interessi e dal controllo di Pechino. È quindi da accogliere positivamente il voto di ieri del Parlamento europeo che ieri, a larga maggioranza, ha condannato il comportamento delle autorità cinesi nello Xinjiang. Mai come in questo momento tutela dei diritti ed economia appaiono collegate.

 

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