Brilla su Netflix Glass Onion, il film in cui una grande Cipolla di Cristallo funge da metafora del senso e della trama. Il cast va da Daniel Craig – ex 007, qui una sorta di Poirot – a Janelle Monáe, bellissima a dir poco; il succo sta nella farsa drammatica dell’abracadabra tecnologico praticato da capitalisti profeti e folle di credenti.

L’Antieroe (Edward Norton) non ci spiega perché è ricco, ma potrebbe essere un qualsiasi Ceo “disruptive” (radicalmente innovativo) delle consegne a domicilio o, ancor più, quel Sam Bankman-Fried cui tanti consegnarono dollari in cambio di bitcoin, agendo da babbei, ma anche da complici di un sistema palesemente volto al riciclo di denaro.

Quell’antieroe potrebbe avere anche i tratti di Elon Musk posto che questi ha rastrellato uno sproposito di miliardi spacciando azioni Tesla, salvo trascurare, osserva Paul Krugman, notista del New York times e premio Nobel 2008 per l’Economia, che per ripagare tanti capitali servirebbe il dominio perdurante del mercato, mentre ormai le auto elettriche le fabbrica chiunque.

Musk in fuga da Tesla approda a Twitter

L’osservazione di Krugman è radicale e convincente, tanto da farci sospettare che Musk sia finito a Twitter per fuggire da Tesla lasciandola agli zeloti che ci stanno perdendo i capitali. Quest’ipotesi rende conto del mistero di comprarsi un social per giornalisti chiacchieroni e per questo “influente”, ma che tuttavia non è mai stato una macchina da soldi.

Il perché lo accenna Krugman quando osserva che Tesla, come tutte le automobili, è un prodotto facilmente sostituibile perché non gode di  “esternalità di rete”, espressione criptica ma di sostanza chiara perché si riferisce a quei particolari consumi cui sei costretto e fedele perché lo sono tanti altri.

Avviene con la moda, e maggiormente capita coi social in cui se sei parte d’una piattaforma social non l’abbandoni per non restar tagliato fuori dalla tua rete di contatti. Per questo Meta, col metaverso o meno, ha un avvenire garantito e senza concorrenza, almeno finché l’Unione europea non forzerà la messa in pratica della interoperabilità fra piattaforme e della portabilità dei contatti per favorire l’adozione di offerte nuove senza perdere il contatto delle vecchie.

Ecco perché Twitter, pur col suo ventennale bilancio zoppicante e una rete di utenti (al lordo di spam bot) pari a un decimo di Facebook offre una concreta base di partenza e le esternalità di rete che a Tesla son negate.

Restano da rastrellare utili adeguati a recuperare la mole di miliardi (44) spesi per comprare la piattaforma dell’uccellino. Cos’abbia in testa Musk a questo fine per ora è oscuro (forse un Twitter multifunzione come la cinese Wechat con cui chatti, trovi un taxi, un libro, un candelabro, li ordini e li paghi). Così da innescare la crescita a spirale di aumento degli utenti, accorrere di merci/pubblicità, e così via.

Le bandiere di Musk e il gatto di Krugman

Il Musk più chiaro è invece quello che attacca al cuore la credibilità di Meta, l’impresa “incombente” o meglio dominante nel mercato social, revocando in dubbio l’esistenza stessa della “moderazione” (la censura a mezzo social) in nome della bandiera del free speech e rivelando la pervasività dell’utenza dormiente, morta o meccanica come gli spam bot.

L’attacco di Musk, a ben guardare, è ovvio e necessario perché da una svalutazione di Zuckerberg può soltanto guadagnare. Ne sorprende sia definito incallito casinista dai mondi che, negli USA come da noi, girano attorno a Google, Meta, Amazon, ovviamente ostili all’emergere di un Twitter-multifunzione più capace di far soldi.

A turbare la  contemplazione degli accadimenti resta la battuta di Krugman che conclude le sue analisi di Tesla dichiarando che, tutto visto e considerato, non affiderebbe a Musk il proprio gatto. E noi, tra la documentata saggezza del primo e la simpatia per l’agitarsi del secondo, restiamo allocchiti senza scegliere.

© Riproduzione riservata