Su Domani pRosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Insomma, ove si volesse ancora dare credito alla pRospettazione accusatoria, dovrebbe sostenersi che vi sarebbe stato un tentativo di depistaggio orchestrato dal Cap. De Donno, che però non conseguì l’obbiettivo prefissato (e cioè quello di ridimensionare il ruolo di Cosa nostra nel sistema di gestione unitaria e verticistica della Spartizione e aggiudicazione degli appalti pubblici in Sicilia), ed anzi sortì l’effetto contrario, inducendo finalmente il Li Pera, le cui propalazioni avrebbero dovuto servire da propellente per quel disegno di depistaggio, a iniziare con l’A.g. palermitana un primo parziale rapporto di collaborazione attendibile.

Ma se il Ros., attraverso l’azione spregiudicata del Cap. De Donno (che partecipa agli interrogatori del Li Pera dinanzi all’A.g. catanese senza farne cenno a quella stessa A.g. palermitana per conto della quale stava nel medesimo torno di tempo espletando una complessa indagine sulle medesime vicende sulle quali vertevano le dichiarazioni rese dal Li Pera al pm di Catania, dr. Lima) avesse avuto interesse a valorizzare le dichiarazioni del sedicente o aspirante collaboratore per depistare l’indagine in corso su mafia e appalti, non si vede per quale ragione non acquisire quella fonte agli atti della medesima inchiesta.

Invece, come si evince sempre dalla citata relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini su mafia e appalti, nella ulteriore corposa informativa redatta dallo stesso Cap. De Donno e consegnata alla procura di Palermo il 5.09.1992, avente ad oggetto gli stessi fatti, e cioè l’attività della Sirap Spa su cui riferiva il Li Pera (...) non vi era traccia delle dichiarazioni che costui stava rendendo (cfr. pag. 28). Si può anche comprendere che De Donno scontasse l’imbarazzo di dover trasmettere ai magistrati della procura palermitana gli atti relativi alle escussioni de Li Pera, in quanto questi aveva tra l’altro formulato pesanti accuse nei riguardi di taluni magistrati del medesimo ufficio, indicandoli come autori dell’illecita divulgazione del rapporto mafia-appalti avvenuta prima ancora del suo arresto. Ma tale spiegazione non regge per i primi verbali — e cioè quelli del 13 e 15 giugno che sono stati qui acquisiti – nei quali già il Li Pera illustra il sistema triangolare di Spartizione degli appalti, senza che vi sia traccia di accuse contro i magistrati della procura di Palermo, ai quali inizialmente il Li Pera addebitava solo di non avere avuto interesse a sentirlo, nonostante egli avesse fatto pervenire attraverso il proprio difensore la propria disponibilità.

E in effetti, come puntualmente rilevato nella corposa ordinanza di archiviazione del gip di Caltanissetta del 15 marzo 2000, le prime accuse del Li Pera ai magistrati palermitani risultano verbalizzate nell’interrogatorio reso al cap. De Donno delegato dal pm. Lima ad assumerlo, in data 20 luglio 1992. Sicché, a volere indugiare sul terreno di astratte e improbabili congetture, se ne potrebbe persino inferire che il De Donno omise di inserire le propalazioni del De Donno nell’informativa Sirap. proprio perché esse potevano pregiudicare o mettere in discussione l’impianto originario dell’indagine mafia-appalti.

Il travagliato percorso collaborativo di Li Pera

Piuttosto, è la stessa Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafia e appalti a fornire una chiave di lettura del travagliato e incerto percorso collaborativo del Li Pera che l’affranca da qualsiasi ipotesi di intenzionale depistaggio sobillato dal Ros, traendone anzi un indiretto riscontro al ruolo di progressivo protagonismo assunto in Sicilia da Cosa nostra nel sistema di “tangentopoli”: ruolo che ne faceva un caso unico nel panorama nazionale e che rende ragione dei motivi per citi, a differenza che in altre regioni d’Italia, gli imprenditori attinti a vario titolo dalla presente inchiesta hanno generalmente assunto un atteggiamento di ostinata omertà, chiudendosi a qualsiasi collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.

Ivi si rimarca infatti che lo stesso Li Pera fu vittima delle pressioni intimidatorie esercitate da qualificati esponenti mafiosi nell’intento di interferire sulle indagini in terna di mafia e appalti. E che solo dopo essere stato sottoposto a programma di protezione aveva iniziato a riferire le notizie di cui era in possesso anche sii/la realtà mafiosa, mentre in una prima fase, e cioè quella della sua collaborazione con l’A.g. catanese, si era limitato a riferire quanto a sua conoscenza sul versante della corruzione politico—amministrativa.

Per la verità, già dal verbale dell’interrogatorio reso al pm. dott. Lima (sempre nell’anomala veste di persona informata sui fatti - il 15 giugno risulta che il dichiarante aveva iniziato a fare qualche ammissione, sia pure velata da palese reticenza. Infatti, egli, da un lato, nega di avere mai avuto un qualsiasi contatto con organizzazioni criminali (e quindi nega anche di avere avuto problemi nel suo lavoro con la delinquenza organizzata); […]. Ma poi aggiunge: «In ogni caso, poiché ero consapevole della situazione che c‘è in Sicilia, ho sempre prevenuto questo tipo di problemi subappaltando quanta più parte possibile del lavoro ad imprese del posto dove realizzavamo il lavoro stesso. Inoltre, compravo tutti i materiali dai fornitori locali e assumevo quanta più gente possibile del posto. Questo ci assicurava la tranquillità».

[…] Certo è che quel velo di reticenza sembra essersi dissolto il 12 novembre 1992, quando Io stesso Li Pera renderà al pm. dott. Antonio Di Pietro, magistrato di punta del pool di “Mani Pulite”, dichiarazioni (presente all’atto istruttorio anche il Capitano De Donno: v. infra) che denotano un’approfondita conoscenza dei meccanismi di funzionamento dei comitati d’affari che presiedevano alla Spartizione degli appalti, tra politici di rilievo corrotti (fra i quali indicherà Salvo Lima, ma anche Turi Lombardo, Rino Nicolosi e proprio Calogero Mannino) e le cordate e cartelli imprenditoriali di cui erano partecipi i più importanti imprenditori dell’epoca, sia siciliani (come Graci, Costanzo, Rendo Salamone, Vita, Siino Angelo, e Farinella Cataldo), che nazionali (come Astaldi, Torno, Lodigiani, Tor di Valle, Cogefar, C.M.C., Edilter, Grassetto Costruzioni, Todini, Tosi, Matauro, Ilva, Codelfa e altri), attribuendo un ruolo preminente all’interno dei comitati predetti ad alcuni imprenditori in particolare, come Filippo Salamone Ma al contempo, il dichiarante ammette senza riserve che in Sicilia esisteva anche la componente mafiosa, che aveva un ruolo di primaria importanza nell‘assicurare la funzionalità degli stessi comitati.

Inutile aggiungere poi che lo sforzo profuso dal Capitano De Donno per valorizzare una fonte come Li Pera - che non lesinava accuse ai politici tra i quali proprio Calogero Mannino - sia pure con condotte discutibili o decisamente censurabili sotto il profilo della correttezza e lealtà dei suoi rapporti di cooperazione con le autorità giudiziarie di riferimento, denota quanto infondato sia anche solo il sospetto di compiacenza nei riguardi dell’ex ministro per gli interventi nel Mezzogiorno.

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