Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


E deve convenirsi che una plausibile chiave di lettura, sempre che non si voglia gettare la croce addosso al buon Gigliotti, sembra essere quella offerta da vicende pregresse che riguardano le indagini a carico dello stesso Napoli Giovanni, proprio nei mesi successivi all’episodio di Mezzojuso, quando questi effettivamente era uno dei protagonisti più operosi, come poi si è accertato, della rete di favoreggiatori della latitanza di Bernardo Provenzano, insieme a La Barbera Nicolò, inteso “Colo”.

Nei confronti di entrambi si è registrato, da parte del Ros una condotta che è anche troppo generosa qualificare come “attendista”, essendo connotata da vistosi ritardi, omissioni e discutibili scelte operative che di fatto hanno allontanato la possibilità di stringere il cerchio intorno alla latitanza di Bernardo Provenzano in un momento topico perché si era sulle tracce di due dei pilastri della rete di favoreggiatori di cui il boss corleonese si avvaleva in quel periodo. Anche se, nel valutare l’operato dei Carabinieri del Ros, non bisogna cadere nell’eccesso opposto, di abusare del senno di poi, facendosi fuorviare da conoscenze e risultanze che si sono acquisite solo in epoca successiva, o che solo oggi appaiono pacifiche e incontestate.

E tuttavia alcuni dati sono innegabili e giustificavano già forti riserve e dubbi sulla correttezza dell’operato dei Carabinieri, anche prima che emergessero gli aspetti più sconcertanti della vicenda Napoli.

In particolare, nella relazione datata li marzo 1996 a firma del colonnello Riccio, indirizzata al Raggruppamento operativo speciale carabinieri e alla c.a. del colonnello Mori, avente ad oggetto “Operazione Oriente”, si fa il punto del flusso informativo ordinato in sequenza cronologia e per aree di interesse territoriale della gestione della fonte Oriente.

Operazione Oriente

Secondo quanto dichiarato dallo stesso Riccio il colonnello Mori l’aveva invitato a redigere degli elenchi nominativi delle varie categorie di soggetti (presunti affiliati mafiosi, politici e imprenditori collusi ecc.) chiamati in causa dalla fonte “Oriente” nelle sue rivelazioni confidenziali, per predisporre delle schede informative in vista della collaborazione con la giustizia che Ilardo avrebbe in seguito formalizzato.

Ma proprio per questa ragione, egli ritenne di redigere un rapporto più completo, che fornisse un panorama completo e aggiornato su composizione delle famiglie, dinamiche di potere, e quant’altro di interesse investigativo la fonte avesse fin lì rivelato.

Nelle dichiarazioni spontanee rese il 24.02.20 12 il Magg. Obinu sostiene di essere stato lui a sollecitare il collega Riccio a redigere un’annotazione che potesse fungere da base certa per ulteriori approfondimenti investigativi. E non appena l’annotazione fu redatta, il Col. Mori ne dispose la diramazione a tutte le sezioni anticrimine con la precisa direttiva di sviluppare per quanto di rispettiva competenza gli accertamenti necessari per la compiuta identificazione dei soggetti indicati come presunti favoreggiatori della latitanza di Provenzano e di fornire ogni elemento utile alla cattura del latitante.

In realtà, dalla Nota in data 12 marzo 1996 a firma Mori si evince che il vice comandante del Ros diramò alle varie articolazioni territoriali del raggruppamento (cioè alle sezioni anticrimine di Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina) e, per quanto di competenza, al 1 Reparto Investigativo un estratto della relazione del Col. Riccio; e, premesso che il documento allegato, in relazione a una “attività informativa condotta in ambito criminale di matrice mafiosa” che aveva consentito di acquisire una “serie articolata di dati che necessitavano di essere sviluppati”, conteneva “gli elementi afferenti il territorio di ciascuna Sezione in indirizzo”, dava carico a ciascuna sezione di provvedere all’identificazione dei personaggi menzionati, corredandola di schede informative e comprensive di dati investigativi e processuali salienti; alla descrizione articolata con eventuali riferimenti investigativi e processuali, dei fatti di reato indicati; alla compilazione di schede societarie per le ditte menzionate, comprensive di eventuali precedenti investigativi; a indicazioni di eventuali procedimenti penali pendenti; all’approntamento di fascicoli fotografici per i personaggi ritenuti Di Maggiore interesse.

L’estratto allegato, nella parte concernente la provincia di Palermo, menzionava come soggetti da identificare tale “Cono”. indicandolo come persona di fiducia di Provenzano in Mezzojuso, e proprietario di una Fiat Campagnola verde che di sovente gli fa da autista (oltre a fornire una dettagliata descrizione fisica) e tale Giovanni, indicato come autista e punto di contatto per ottenere incontri con il Provenzano, senza neppure specificare se si trattasse di un soggetto anche lui di Mezzojuso. Se ne indicavano tuttavia il numero di telefono (precisando che non doveva trovarsi sull’elenco) e l’auto di cui era proprietario: una Ford Escort diesel tg. Pa 300057. Nessun cenno all’episodio di Mezzojuso.

In realtà, mettendo insieme le testimonianze di Ganzer, Ierfone, Riccio, le ammissioni del Col. Mori e soprattutto la relazione 11 marzo 1996 può dirsi acclarato che a quella data il Col. Riccio non solo aveva informato i suoi superiori (come gerarchia interna al Ros) e cioè Obinu e Mori dell’incontro che la fonte diceva di avere avuto con Provenzano (come annotato nella relazione dell’11 marzo), ma aveva fornito, sulla base delle indicazioni offerte dalla fonte e riscontrate, per quanto era stato possibile, dal servizio di osservazione diretta e rilievi fotografici effettuati in occasione dell’appuntamento con Ferro Salvatore al bivio di Mezzojuso il 31 ottobre, tutti gli elementi necessari per una compiuta e immediata o comunque agevole identificazione dei soggetti indicati come “Cono” e “Giovanni”.

Eppure, per aversi conferma “ufficiale” dell’identificazione del Giovanni nella persona di Napoli Giovanni, veterinario e impiegato all’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste bisogna attendere la relazione 3 maggio 1996 del Col. Antolini, all’epoca Comandante della Sezione Anticrimine di Palermo (dal ‘94 al ‘98). Questi, peraltro, ha dichiarato di non avere ricordi particolari degli accertamenti che furono sollecitati a seguito della Nota del 12 marzo sul conto del predetto “Giovanni” (che fu identificato) e del “Cono”, che invece non fu identificato (dalla sua sezione).

Si trattò, per quanto può ricordare, accertamenti evasi su specifiche richieste del Ros centrale, ma nessuno gli disse che rientravano nel quadro delle indagini su Provenzano o che fossero di particolare urgenza o delicatezza: per lui erano solo accertamenti “di routine”. Del resto, non c’è da stupirsi perché proprio per le indagini più delicate, per questioni di riservatezza e di modus operandi, il Ros centrale operava attraverso le sue varie articolazioni, bypassando le sezioni Anticrimine locali (pur essendo queste ultime inquadrate nel Ros).

La testimonianza di Ierfone

In pratica, dalla testimonianza del Col. Antolini si evince che egli fu scavalcato dall’allora Tenente Ierfone che pure era in forza alla Sezione Anticrimine comandata dallo stesso Antolini, poiché Ierfone, come già rammentato, era perfettamente al corrente — per esserne stato edotto dal Magg. Obinu— quale fosse la finalità di quell’accertamento; e che il predetto Cono o Colo fosse uno dei soggetti che avevano accompagnato la fonte Oriente all’incontro con Provenzano a Mezzojuso, il 31 ottobre 1995. Ed è lui stesso ad ammetterlo, all’udienza del 17.04.2009: «Io personalmente non ho bisogno di una nota del comando Ros. Per identificare il Cono nel momento in cui mi viene detto che il Cono partecipa e mi viene detto prima di quella Nota, cioè le notizie che mi dà il Colonnello Obinu sono, Maggiore Obinu al tempo, sono antecedenti rispetto a quella nota che arriva (...) nel momento in cui mi parla di soggetti identificati e mi parla di una tale Cono o Colo e mi dà sommariamente anche quegli elementi individualizzanti (...) ho il ricordo che lui cucinava e ho il ricordo della Fiat Campagnola».

E tuttavia non lo disse al suo Comandante e gli lasciò credere che fosse un accertamento di routine. Ma soprattutto, non fece nulla per soddisfare quell’esigenza investigativa (“non faccio nessun accertamento io ma nemmeno la sezione anticrimine di Palermo finalizzata all‘identificazione di Cono”), perché a suo dire, il presupposto investigativo — di cui ovviamente era a conoscenza lui, ma non Antolini — «non inc...lo richiede, anzi mi richiede il contrario, cioè il presupposto investigativo era che la struttura, il dispositivo investigativo, io parlo cli Palermo, ... la sezione anticrimine di Palermo viene attivata solo per una mera verifica dei tempi di spostamento ai fini di un intervento successivo perché la logica del confidente era una logica cli un infiltrato in una realtà sensibile, quale era quella di un soggetto che andava a parlare con Provenzano.

Quindi, andare a fare gli accertamenti su dati di fatto perché con quegli elementi l’unica cosa che la sezione anticrimine poteva fare era andare all’anagrafe di Mezzojuso, ammesso che fosse di Mezzojuso, o all’anagrafe di non so che, per cercare di identificare un soggetto che si poteva chiamare così, ma era sconveniente farlo in quel momento per quei motivi che mi erano stati detti».

E poi ribadisce che l’accertamento compendiato nella relazione Mantile, del 10 maggio ‘96 fu del tutto casuale (pur essendo contestuale agli accertamenti che erano stati demandati alla Sezione Anticrimine di Palermo con Nota del 12 marzo: e infatti la relazione Antolini è del 3 maggio) e non disposto nell’ambito dell’operazione che sarà poi denominata “Apice”; e comunque non era finalizzato all’identificazione del “Cono”.

In sostanza, la spiegazione di Ierfone è che il Ros, o meglio la struttura investigativa nella quale lui stesso era inserito e che dipendeva da una catena di comando che faceva capo direttamente a Mori, passando per Obinu, non aveva interesse a curare quell’accertamento perché bisognava lasciare lavorare la fonte, che in questo caso avrebbe agito come un infiltrato. Come se la Nota trasmessa al Comandante della Sezione Anticrimine (che a quanto pare comandava ben poco) simulasse un’esigenza investigativa in realtà inesistente.

Omette però Ierfone di dire che quando il Col. Antolini comunicò gli esiti dell’accertamento che era stato richiesto (positivo per “Giovanni”, negativo per “Cono” o “Colo”), la speranza che la fonte continuasse ad operare da infiltrato e che fosse lui a condurre fino a Provenzano era già definitivamente tramontata e quindi gli accertamenti mirati identificazione compiuta di tutti i soggetti che avevano partecipato all’incontro di Mezzojuso ed in particolare di quel Colo o Cono che era stato indicato come vivandiere del Provenzano erano più che mai urgenti, in quanto propedeutici all’attivazione di intercettazioni ambientali o telefoniche o altre attività di monitoraggio del soggetto in questione.

E alla fine a quegli accertamenti e a quelle intercettazioni si perverrà, ma solo diversi mesi dopo la morte di Ilardo, e cioè tra settembre e novembre del 1996, con l’operazione denominata “Cilindro” (per assonanza con il nominativo del soggetto da identificare, indicato come “Cono”: cfr. Capitano Stefano Fedele).

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