Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Milano che ha condannato all'ergastolo Michele Sindona per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli


Dopo l'incontro di Londra fra Magnoni e Cuccia ed il coinvolgimento di quest'ultimo, con le pressioni minatorie di cui si è parlato nel capitolo precedente, nella valutazione dei progetti di sistemazione della Banca privata italiana, Michele Sindona e le persone del suo entourage si attivarono in modo instancabile, e in direzioni diverse, al fine di promuovere il buon esito di tali progetti.

Vi furono numerosi colloqui con il presidente di Mediobanca, intrattenuti per conto di Sindona da Piersandro Magnoni e da Fortunato FEDERICI fino al febbraio 1978, e nei mesi successivi da Rodolfo Guzzi, il quale, secondo le sue stesse dichiarazioni, ebbe diciotto colloqui con Cuccia, sempre sul tema dei progetti di sistemazione, fra il marzo e l'ottobre del 1978.

Nello stesso tempo Guzzi si mosse per ottenere al piano di salvataggio - che egli andava via via modificando e perfezionando anche in base alle obiezioni di Cuccia - l'appoggio di influenti uomini politici, facendosi ricevere il 5 ed il 25 luglio 1978 dal Presidente del Consiglio on. Giulio Andreotti, il 3 Agosto 1978 dal Ministro Gaetano Stammati, e interessando nei primi giorni di settembre l'on. Franco Evangelisti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.

Nell'autunno del 1978 Sindona ed i suoi collaboratori avevano tuttavia buone ragioni per ritenersi del tutto insoddisfatti del corso degli eventi e dei risultati, pressochè nulli, dei loro sforzi per promuovere i progetti di salvataggio, i quali non riuscivano ad ottenere valutazioni favorevoli da parte degli ambienti tecnici e bancari interpellati nè, in particolare, a superare lo scoglio dell'opposizione da parte della Banca d'Italia e del commissario liquidatore avv. Giorgio Ambrosoli. Infatti il dotto Francesco Cingano, amministratore delegato della Banca commerciale italiana, il dotto Carlo Ciampi, direttore generale della Banca d'Italia, il dotto Rondelli, amministratore delegato del Credito italiano, e il dott. Mario Sarcinelli, dirigente del Servizio di Vigilanza della Banca d'Italia, richiesti di un parere tecnico in seguito all'interessamento degli anzidetti uomini politici, giudicarono impraticabile il progetto di sistemazione loro sottoposto. Uguale giudizio negativo venne espresso ripetutamente dal commissario liquidatore avv. Ambrosoli, come risulta dalle annotazioni rinvenute sulla sua agenda-diario, dalla deposizione da lui resa il 23 gennaio 1979 al Pubblico Ministero, e dalle deposizioni istruttorie e dibattimentali del teste Sarcinelli.

Cuccia, per parte sua, continuava a giudicare con scetticismo i vari progetti di sistemazione che gli venivano sottoposti e che egli chiamava "papocchietti", e dell'insoddisfazione dell'ambiente di Sindona per questo suo atteggiamento si trovano tracce anche scritte in documenti provenienti da quell'ambi ente e acquisiti al processo. Infatti nell'agenda di studio di Guzzi, alla data del 18 ottobre 1977 si rinviene l'annotazione: "Federici: linea dura nei confronti di Ermanno", dove con "Ermanno" si intendeva appunto indicare Cuccia, essendo questo il nome in codice con il quale egli veniva chiamato da Sindona e dai suoi stretti collaboratori.

Inoltre, su un cartoncino intestato all'Hotel Pierre di New York, sequestrato nello studio di Guzzi e contenente appunti riferibili al viaggio effettuato dal legale in quella città nel gennaio 1978, figura l'annotazione: "Cuccia: chiusura intermediazione di P. e atteggiamento rigido".

E infatti il 7 febbraio 1978 Piersandro Magnoni inviò a Cuccia una lettera nella quale dichiarava di rinunciare ad ulteriori incontri e rimproverava al presidente di Mediobanca "il suo sostanziale disinteresse a collaborare attivamente alla sistemazione della complessa vicenda".

Le cose stavano a questo punto quando, nell'ottobre 1978, ebbe inizio una nuova pesante offensiva minatoria nei confronti di Enrico Cuccia, che evidentemente si intendeva costringere ad una collaborazione più fattiva nella speranza che la sua autorevolezza ed il suo prestigio negli ambiente bancari e finanziari permettessero di superare quella situazione di stalla.

La principale fonte di prova delle azioni minatorie ed estorsive poste in essere ai danni di Cuccia in questo periodo, e nei periodi successivi dei quali si parlerà in seguito, è costituita dalle numerose deposizioni testimoniali rese dallo stesso Cuccia nel corso dell'istruttoria e confermate al dibattimento, e dai resoconti scritti da lui redatti e prodotti al Giudice Istruttore.

Tali deposizioni appaiono dotate di intrinseca attendibilità, non essendo emerso alcun elemento che consenta di prendere seriamente in considerazione l'ipotesi della insincerità del teste, tanto più che lo stesso ha sempre dimostrato uno scarsissimo interesse a portare a conoscenza delle autorità le azioni criminose delle quali era vittima, e si risolse a parlarne, ed a rivelare a poco a poco i fatti, solo dopo che il Pubblico Ministero lo aveva convocato il 24 gennaio 1979 per sentirlo in ordine alle minacce di morte pervenute nei giorni precedenti all'avvocato Ambrosoli, ad opera di uno sconosciuto telefonista che si era qualificato come "Cuccia".

Particolare attendibilità e rilievo probatorio deve poi riconoscersi ai precisi resoconti scritti che Cuccia, attraverso gli anni, aveva formato per documentare i suoi rapporti con Sindona e con persone del suo ambiente.

Tali resoconti invero venivano di volta in volta da lui redatti subito dopo l'avvenimento documentato, e quindi mentre la memoria dell'accaduto era ancora viva, ed erano formati e conservati da Cuccia per proprio uso personale - quindi senza alcun interesse ad inserirvi circostanze non vere - tanto che egli si risolse a produrli, con riluttanza e su esplicito invito dell'ufficio procedente, soltanto nel settembre del 1981.

Le dichiarazioni di Cuccia sulle attività minatorie ed estorsive da lui subite fino al 1980 hanno poi trovato innumerevoli elementi di riscontro nel corso dell'istruttoria, in particolare negli interrogatori di Guzzi - con il quale egli era in costante contatto ed al quale riferiva, protestando, le minacce e le intimidazioni di cui era oggetto - nel sequestro di documenti e nella acquisizione di intercettazioni telefoniche concernenti tali attività criminose, e nell'esito delle indagini, delle quali si parlerà nei capitoli che seguono, su alcuni degli esecutori materiali di "talune azioni intimidatorie, quali Francesco Fazzino, Giovanni Gambino, Charles Arico, William Arico, Gino Cantafio, Giuseppe Scuccimarri, Robert Venetucci.

Il 9 ottobre 1978, e la notte fra il 9 e il 10 ottobre, Cuccia ricevette due telefonate anonime minatorie, con le quali gli si chiedeva di assecondare le richieste della persona che avrebbe incontrato: la mattina del 10 ottobre, infatti, gli pervenne una telefonata dell'avvocato Guzzi, che gli chiese un appuntamento ottenendolo per le ore 16 del 12 ottobre.

La mattina del 12 ottobre la moglie di Cuccia ricevette una nuova telefonata anonima da uno sconosciuto che le lasciò il seguente messaggio: "Dica a suo marito che non faccia lo stronzo oggi alla riunione delle ore 16 perchè ha rotto le palle a tutti e ci penseremo noi".

Alla riunione del 12 ottobre Cuccia fece le proprie rimostranze a Guzzi (il quale spiegò di avere sempre tenuto al corrente Sindona delle sue iniziative e anche dell'appuntamento con Cuccia del giorno 12) e i due decisero di incontrarsi a Zurigo il 18 ottobre con Piersandro Magnoni, perchè questi desse "le più ampie assicurazioni che simili episodi non si sarebbero più verificati".

Nella riunione di Zurigo fra Magnoni, Guzzi e Cuccia, Magnoni, come si è accennato nel capitolo precedente, lesse a Cuccia una lunga nota di Sindona, piena di minacce, nella quale si voleva far credere che le telefonate anonime dei giorni precedenti fossero una iniziativa autonoma degli ambienti mafiosi italo-americani amici di Sindona, ambienti che sarebbero stati propensi ad uccidere Cuccia, e per rabbonire i quali sarebbe stato necessario molto danaro; nella nota si intimava comunque a Cuccia di provvedere ad iniziative che "integrassero nei suoi averi" il Sindona e che "facessero cadere il mandato di cattura".

Nel corso della riunione, inoltre, Guzzi forni a Cuccia una versione non veritiera sulla posizione della Banca d'Italia, con la quale sosteneva essersi rivelata "possibile l'apertura di un discorso".

In tale clima di intimidazione, Cuccia ebbe altri incontri con Guzzi, il 21 e il 25 ottobre 1978, nel corso dei quali, tuttavia, egli non esitò a dire schiettamente quel che pensava del progetto di sistemazione messo a punto da Guzzi, osservando che a suo avviso la Banca d'Italia non lo avrebbe mai approvato.

Ma cominciava ad essere chiaro, ormai, che ciò si voleva da Enrico Cuccia non era tanto un contributo tecnico alla elaborazione del progetto, quanto un autorevole intervento per influire sulle decisioni della Banca d'Italia, intervento al quale Cuccia tuttavia, nonostante le minacce, non si prestò: "1'11 novembre 1978 - ammise Guzzi in sede di interrogatorio - ho un colloquio telefonico con il dottor Cuccia, al quale chiedo se non fosse per caso possibile una sua telefonata alla Banca d'Italia" per potermi consentire di parlare del progetto. Il dottor Cuccia mi risponde facendo conto di non aver compreso la mia richiesta ".

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