Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del “Processo alla Sicilia”, il libro che raccoglie trentacinque inchieste di Pippo Fava, direttore de “I Siciliani”, ucciso con cinque colpi di pistola il 5 gennaio del 1984 a Catania


Naturalmente qui nessuno dice che il ponte sia un’eresia. Ma il fatto stesso che molti non fanno niente perché si realizzi, vuol dire che lo considerano tale. L’opinione pubblica è questa dunque! E ora la situazione. L’attuale organizzazione dei traghetti obbliga i convogli ferroviari ad un ritardo di circa novanta minuti e consente un traffico massimo di venti treni al giorno.

Con la recente inaugurazione dei servizi di traghetto privati (che peraltro lo Stato ha violentemente osteggiato per anni) la capacità massima potenziale di traghetto dei mezzi motorizzati è stata elevata a circa un migliaio di automobili e poco più di cento camion, i quali peraltro, nelle ore di punta, inchiodati su un molo, sono obbligati ad un’attesa di due o tre ore. Orbene fra due o tre anni sarà completata l’Autostrada del sole fino a Reggio Calabria.

Facciamo un semplice calcolo: un’auto di media cilindrata, per esempio una «millecento», per percorrere gli ottocento chilometri che separano la Capitale dallo Stretto, consumerà su autostrada non più di novanta litri di benzina, vale a dire esigerà una spesa di diecimila lire. Considerati quattro passeggeri a bordo della stessa auto, ognuno di costoro potrà spostarsi da Roma a Reggio Calabria, con una spesa di sole duemilacinquecento lire e in appena otto ore di comodo viaggio.

Poniamo a questo punto che dei tre milioni di turisti motorizzati che circolano ogni anno in Italia, solo un terzo, voglia scendere fino al Sud. Fanno un milione di automobili, cioè tremila auto al giorno, e nei mesi estivi addirittura cinquemila. Cinquemila auto in arrivo ed ovviamente cinquemila in partenza sull’altra sponda dello Stretto, cioè di quegli altri turisti che hanno già completate la loro vacanza e se ne ripartono.

Immaginate la scena grottesca: questa valanga di auto che arriva e trova già sulla riva dello stretto una marea di altre auto bloccate, uno sterminato formicaio metallico; gente che magari sarà in attesa da giorni, altri che vorranno ripartirsene ma, bloccati come sono dal caos, non ci riusciranno; le strade ingorgate, gli incidenti, le zuffe, la folla inferocita che cerca alberghi e non ne trova, che vuole semplicemente scappare e non può nemmeno.

Non sono fantasie. Sono previsioni che anche un analfabeta può fare: due più due che fanno quattro! Al diavolo il turismo e tutte le chiacchiere che andiamo facendo da venti anni, i programmi, le leggi ponderose, i consorzi, i discorsi ufficiali, la valanga di miliardi che sognamo. Al diavolo tutto! C’è di peggio.

Fra qualche mese la Regione dovrà pur cominciare a spendere quei fatidici duecentotrenta miliardi dell’articolo trentotto, la cui legge è entrata in fase di attuazione. Li spenderemo male, in direzione sbagliata, disperdendo metà del denaro in mille cose inutili, ma resta il fatto che ottanta miliardi per l’agricoltura, ed altrettanti per lo sviluppo industriale dovranno pur provocare un ingigantimento della produzione.

Arriviamo all’assurdo di affermare che meglio spenderemo quei soldi, nel senso più produttivo, e peggio sarà. Moltiplicheremo la produzione degli agrumi, degli ortaggi, del cemento, dei prodotti minerari, dei manufatti. E per quale strada spediremo verso i mercati del MEC i pomodori, le arance, i prodotti chimici, la frutta?

È vero, al fondo del problema siciliano c’è l’incremento della produzione, soprattutto agricola ed industriale: ma come faremo a scavalcare l’abisso costituito dallo Stretto di Messina? Ammesso che riuscissimo davvero, con quella prevista valanga di miliardi, a rilanciare la nostra agricoltura, le merci marcirebbero nei magazzini. O dovremmo satollarcene noi stessi, sul mercato interno, a prezzi di fallimento, con l’ineluttabile crack di tutte le aziende, e la progressiva rovina della nostra economia.

Ed arriviamo al terzo punto: cosa è stato fatto finora per realizzare il ponte? Catanesi, palermitani, siracusani e siciliani in genere, non hanno fatto niente! I messinesi hanno fatto quello che è nella loro indole e nel loro interesse: cioè quasi niente. Per un impiegato il problema del ponte è un motivo di curiosità. Che gliene importa? Per cinquantamila impiegati, militari, dirigenti, funzionari, presidenti, professori, il ponte è un motivo di discussione affabile e teorica. Il problema della spazzatura o dell’acqua è molto più cocente. Con una opinione pubblica siffatta si potrebbe fare una rivoluzione per una squadra di calcio, mai per il ponte.

Ci sono stati, sì, tecnici, studiosi, spiriti illuminati, economisti che si sono battuti, ma poche voci nel deserto. Il solo ente che abbia furiosamente reclamato è stata la Camera di commercio, ma entro i limiti della sua modesta potenza politica. Si è creata inoltre una Società ponte di Messina che ha molto teorizzato ed ha persino condotto dei sondaggi sui fondali dello Stretto.

Una equipe di tecnici sovvenzionata dalla fondazione Lerici ha fatto altre trivellazioni per accertare la stabilità e la composizione geologica dei fondali. È arrivata anche la «base Calipso», cioè la famosa equipe del comandante Cousteau, che ha eseguito lunghi lavori in immersione, ma alla fine si è scoperto che avevano semplicemente girato un magnifico documentario a colori. Se ne sono andati poi per i fatti loro. Ci sono due commissioni, una di tecnici nominati dal governo nazionale ed una designata in sede regionale, le quali dovrebbero scegliere la soluzione tecnica più adatta.

Pare che abbiano concluso le rispettive indagini con risultati diametralmente opposti. Ma cos’è in sostanza che ostacola la realizzazione del ponte, a parte la quieta, gentile, indolente strafottenza dell’opinione pubblica messinese? Niente!

Il ponte, secondo calcoli approssimativi, richiede una spesa di circa quattrocento miliardi. Una cifra gigantesca che però almeno cinque o sei gruppi finanziari internazionali sarebbero disposti a profondere nell’impresa, pur di assicurarsene ovviamente e per un determinato numero di anni lo sfruttamento. La soluzione sarebbe radicale, immediata e comoda, ma poco patriottica.

Lo Stato italiano non vuole, perché gli piacerebbe invece (per cento ragioni politiche) che la grande impresa fosse dello Stato, e quindi degli uomini di governo, e che dello Stato fossero gli enormi profitti che ne deriverebbero. Allo Stato non piace oltretutto dover pagare un canone perché i suoi treni transitino sul territorio della Repubblica. E dietro lo Stato che non vuole, non vogliono neppure, ma per ragioni completamente diverse, i gruppi industriali italiani, i quali vorrebbero aggiudicarsi i profitti di costruzione: ed ognuno a danno del concorrente, i padroni dell’acciaio vorrebbero un ponte con molto solido ferro e poco cemento, ed i cementieri invece con molto, economico cemento e pochissimo precario e rugginoso metallo.

In questa enorme, quasi grottesca confusione di idee, propositi, interessi, dignità offese, ambizioni da appagare, prestigi da difendere, programmi, timori, soluzioni tecniche diverse, italianamente il partito migliore è stato quello di non fare niente. Solo qualche convegno o tavola rotonda, poiché i simposi appagano, consentono ad ognuno di esser presente, fotografato e intervistato, di far conoscenze ed alleanze e quindi rilassano. Consentono di rinviare il problema di sei mesi o un anno fino al prossimo convegno.

Del resto dovrebbe essere il Sud soprattutto a far qualcosa di deciso, di violentemente deciso sull’argomento. E se Messina non fa niente perchè dovrebbero farlo Palermo, Catania, Siracusa, Trapani? Così ragionano. E se in Sicilia non si muovono perchè dovrebbero muoversi Milano, Torino o Roma?

Allora? Allora una soluzione esiste. Un giorno dovrebbero riunirsi i rappresentanti delle nove province siciliane, i sindaci delle maggiori città, i presidenti delle nove Camere di commercio, delle nove associazioni degli industriali, delle nove associazioni degli agricoltori, degli enti del turismo, i dodici assessori della Regione e i cinquanta deputati e senatori eletti dai siciliani.

Insieme stabilire una cosa sola: che il ponte va fatto, e insieme esigere un incontro con il governo nazionale. Da questa assemblea non si esce se non viene stabilito che il ponte va fatto entro cinque anni a partire da oggi. Entro sei mesi si stabilisce la soluzione tecnica, entro un anno si concede l’appalto, entro cinque anni la prima automobile transita sul ponte. Una facile utopia purtroppo!

Per un uomo politico è più confacente procurare mille raccomandazioni per posti di bidello, bancario, maestro elementare, usciere, che non impegnare la sua carriera su un problema di gigantesca utilità, ma dalla cui soluzione non gli verrà un solo voto di più rispetto ai suoi avversari o ai suoi stessi compagni di partito. In questa direzione gli uomini politici possono essere costretti allo sbaraglio solo da un irresistibile impegno della pubblica opinione.

E qui il discorso si chiude come un cerchio, torniamo a Messina, alla città candida, mite, placida, che si distende, si assopisce al centro di uno dei mari più importanti e ricchi del mondo con l’indolenza di una città lacustre.

La sua gente sta seduta sotto i platani di largo Cairoli, con una compostezza civile da salotto, conosce perfettamente tutti i suoi problemi, il turismo, l’acqua, l’industria, il ponte e li discute, si appassiona magari e infine riesce a trovare perfette soluzioni.

Dopo di che se ne va a dormire. Magari contenta di aver trovato un’altra soluzione all’economia cittadina, quel tunnel ad esempio che si vorrebbe scavare alle spalle della città, sotto il colle S. Rizzo perché in dieci minuti di autostrada sbuchi nella piana di Milazzo, nel mar Tirreno, verso il paradiso delle Eolie, verso le raffinerie fumiganti di Milazzo.

Ne parlano solo i giovani; i messinesi che hanno superato i cinquanta ascoltano soltanto, essi sono convinti che non arriveranno mai a vedere queste cose, né tunnel dei Peloritani, né ponte. Rispetto ai giovani hanno solo una certezza in più: la pensione, la quale anch’essa arriva infallibilmente il ventisette e in ogni caso aiuta, sicuramente e discretamente a sopravvivere.

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