Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Falcone, Borsellino e Di Lello avevano la scorta già da qualche anno, erano protetti giorno e notte, mentre io all’epoca arrivavo in ufficio, accompagnavo i miei figli Debora e Michele a scuola o mia moglie Lidia in giro per negozi utilizzando la nostra autovettura.

Sapevo bene che quando ti assegnano la scorta la tua vita cambia immediatamente e per molto tempo. Anche per tutta la vita lavorativa, anche quando sei ormai in pensione, come è capitato a me e a tanti colleghi.

Così mi presi qualche giorno per riflettere e ne parlai a lungo in famiglia. Non avevo la vocazione dell’eroe e sapevo perfettamente a cosa andava incontro un giudice che si fosse occupato di mafia in quel periodo a Palermo.

La città era una santabarbara pronta a esplodere. E infatti esplose. Era spaventosa Palermo in quegli anni, spaventosa.

Ma proprio per questa ragione – la situazione estremamente critica in cui versava la nostra Palermo – ero anche consapevole che fosse giunto il momento di fornire il mio pur modesto contributo a quella causa comune.

In famiglia il lungo “dibattito” lo chiuse mia moglie con una frase. Una sera, dopo cena, ritornando sull’argomento, mi guardò e con un soffio di voce mi disse: “Dall’emozione che ho colto nelle tue parole e dalla luce nel tuo sguardo, sono sicura che hai intenzione di accettare il nuovo incarico; cosa aspetti ancora, accettalo, se ritieni che sia tuo dovere, non solo come giudice ma come uomo”.

Oggi come allora sono convinto che non ci fosse altra risposta possibile. Il mio sogno, all’inizio della carriera, era di fare il giudice istruttore. E quel sogno mi stava portando dentro il pool antimafia, anche se in quel momento non mi rendevo conto di star entrando nella storia di Palermo, della Sicilia e di questo Paese. Veramente non me ne sono reso conto neanche negli anni a seguire: io volevo fare il giudice, solo il giudice. Con la toga addosso mi sono sempre sentito una persona normale. Certo, rileggendo gli avvenimenti di quella stagione, in effetti tanto normale tutta questa storia non lo è stata.

Ma si tratta di una consapevolezza che è arrivata dopo, molto dopo, con il trascorrere del tempo, ritornando con il pensiero al nostro lavoro, alle malevole critiche subite, ai tentativi di destabilizzare il pool, ma soprattutto alla sorte toccata ai colleghi che se ne sono andati, che non ci sono più.

Presa la decisione di accettare la proposta del consigliere Caponnetto, lo contattai per comunicargli la mia disponibilità. “Sono con voi”, gli dissi, ed ero contento, anche perché contagiato dall’entusiasmo con il quale Falcone, Borsellino e Di Lello si dedicavano da mesi a quel lavoro che, ora, sarebbe diventato anche il mio.

Dopo quella telefonata la mia vita è significativamente cambiata perché, con i colleghi giudici istruttori e con i pubblici ministeri della Procura (Giuseppe Ayala, Giusto Sciacchitano, tra gli altri), che mi piace ricordare, e grazie a loro, ho vissuto un’esperienza giudiziaria unica e irripetibile. Ho trascorso un periodo che mi ha arricchito dal punto di vista professionale, ma anche segnato profondamente sul piano umano, rinsaldando in me, con passione e dedizione, i valori della legalità e della giustizia.

A distanza di tanti anni, mi sono chiesto come mai Caponnetto e gli altri avessero pensato a me. Credo ‒ credo, certezze non ne ho ma un po’ di esperienza sì, vista l’età e visto tutto quello che ho vissuto con quei miei colleghi, con quegli uomini ‒ di avere trovato delle risposte.

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