Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Ero giovane, molto giovane, con una moglie e una figlia ‒ nel frattempo era nata Debora ‒, ed era giusto così, pensare al futuro. Rimanere lì, a Milano, o tornare in Sicilia?

Quale occasione migliore, per lasciarsi definitivamente alle spalle, sia pure con tristezza e amarezza, una terra che non prometteva nulla di buono in termini di sicurezza, di vivibilità, di guardare con fiducia al futuro, di certezza di un domani in cui far crescere i propri figli. Abbandonare per sempre la terra dove ero nato e cresciuto oppure rimanere abbarbicato alle origini, affrontando le tante contraddizioni, i problemi strutturali ed endemici, le difficoltà ambientali di una terra meravigliosa che non può non amarsi, nonostante tutto?

Ciò che mi preoccupava non era l’esistenza della mafia, di questo non si occupava nessuno allora. Nel 1965 non avevamo la consapevolezza del fenomeno.

La mafia c’era e non c’era, c’era e non si vedeva, si sentiva e non si sentiva. Il problema vero erano le condizioni economiche e civili della Sicilia.

Alla fine di quell’anno di pensamenti e ripensamenti, vinse la Sicilia. Mi sarei presto accorto però che essere magistrato in questa terra avrebbe significato, come in realtà è accaduto, patire ancora più dolorosamente la perdita per mano mafiosa di coraggiosi colleghi.

Cadono sotto il piombo mafioso: Pietro Scaglione, procuratore capo della Repubblica di Palermo, il primo magistrato ucciso in Italia nel dopoguerra, il 5 maggio 1971. Poi Antonino Saetta, presidente di Corte di Assise d’Appello, assassinato insieme al figlio Stefano. Gaetano Costa, procuratore capo della Repubblica di Palermo. Cesare Terranova, consigliere di Corte di Appello, designato a dirigere l’Ufficio di Istruzione penale del nostro Tribunale. Rosario Livatino, giudice del Tribunale di Agrigento. Giangiacomo Ciaccio Montalto, sostituto procuratore a Trapani. E infine, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

La scelta fatta, lasciare Milano, mi ha costretto a vedere scorrere sangue, a raccogliere dolore e disperazione, ma come siciliano credo sia stato mio dovere tornare nella mia terra.

Ciascuno di noi può fare qualcosa, un piccolo passo, anche soltanto un piccolo passo purché sempre in avanti. E loro, i miei amici, sono stati “puniti” duramente proprio per avere voluto fare quel passo.

Vinse la Sicilia anche perché grande era il desiderio di tornare nell’isola e il più vicino possibile a Palermo: qui abitavano i miei genitori (sono figlio unico) e la famiglia di mia moglie. Fui combattuto per un lungo anno ma poi, su mia domanda, fui trasferito alla Pretura di Niscemi.

Da Milano, la città più “moderna” d’Italia e in pieno boom economico, a un paese dell’interno della Sicilia, circondato da campagne bellissime.

Devo dire che è stato un cambio di vita notevole, estremo. Non sapevo nemmeno in quale parte della Trinacria fosse Niscemi, me ne sono accorto dando uno sguardo alla carta geografica solo dopo avere presentato la domanda di trasferimento.

A Niscemi, provincia di Caltanissetta, ma sul versante sud, molto più vicina a Gela e al mare, ho trascorso tre anni e mezzo. Ci trasferimmo tutti là. Io, Lidia e la piccolissima Debora.

Ricordi veramente d’altri tempi.

Abitavamo una delle pochissime case con le stanze sullo stesso piano, presa in affitto tramite il collega Mario Fantacchiotti, vincitore del mio stesso concorso e giudice a Caltagirone.

Quando mia moglie usciva per fare la spesa, io rimanevo in casa per accudire nostra figlia di pochi mesi che dormiva dentro una cesta in vimini posata sul tavolo del soggiorno, attorno al quale passeggiavo ‒ sono sempre stato uno studioso “peripatetico” ‒ consultando codici, raccolte di giurisprudenza o atti processuali e, naturalmente, controllando che Debora continuasse a dormire.

Tre anni e mezzo a Niscemi. Tanti, se ci penso ora. E anni anche importanti per la mia formazione. Venni più volte applicato al Tribunale di Caltagirone, dove svolsi le funzioni di giudice monocratico e di componente del collegio, addetto sia al civile sia al penale, così arricchendo la mia esperienza anche come giudice di secondo grado, dato che all’epoca le sentenze del Pretore venivano appellate al Tribunale.

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