Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


Il 12 novembre 1984 i cugini Antonino ed Ignazio Salvo vennero tratti in arresto nel corso di un’operazione congiunta condotta da personale della Squadra Mobile e del Centro Interprovinciale Criminalpol della Questura di Palermo, del Nucleo Operativo del Gruppo di Palermo dei Carabinieri, e del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, in esecuzione di un mandato di cattura emesso in pari data dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. In tale circostanza, venne sequestrata un’ampia documentazione, comprendente diverse agende e rubriche, di varie dimensioni.

In particolare, nell’abitazione di Ignazio Salvo vennero sequestrate due agende telefoniche, ed un’altra agenda telefonica fu sequestrata presso l’ufficio di Ignazio Salvo (v. i relativi verbali di arresto e di sequestro, acquisiti al fascicolo per il dibattimento).

Questa operazione faceva seguito a lunghe ed approfondite indagini, espletate sin dal 1981 dal Commissario di P.S. dott. Antonino Cassarà (successivamente ucciso in un agguato mafioso in data 6 agosto 1985) sotto la direzione del Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo, dott. Rocco Chinnici.

Il dott. Cassarà, in particolare, aveva raccolto le informazioni fornitegli confidenzialmente dall’ing. Ignazio Lo Presti (coniuge di Maria Corleo, cugina della moglie di Antonino Salvo, e successivamente scomparso nel corso della “guerra di mafia”), il quale gli aveva riferito che i cugini Salvo avevano ospitato Tommaso Buscetta.

Sul punto, convergono le deposizioni rese all’udienza del 26 settembre 1996 dai testi Laura Iacovoni (vedova del dott. Cassarà) e Francesco Accordino (attualmente Vice Questore della Polizia di Stato, il quale instaurò un rapporto di collaborazione con il dott. Cassarà nel periodo in cui entrambi prestavano servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Palermo dirigendo le due sezioni competenti per la repressione della criminalità mafiosa: la Sezione Omicidi, diretta dall’Accordino dal 1981 al 1987, e la Sezione Investigativa, diretta dal Cassarà).

Il teste Accordino ha evidenziato che in quel periodo i Salvo erano considerati “persone intoccabili”, tanto che all’interno della Squadra Mobile circolava la battuta: "attenzione, chi tocca i Salvo muore"; con questa battuta si voleva dire “che si trattava di personaggi molto importanti e che era quasi una pazzia quello che il dottore Cassarà cercava di portare avanti”, e si faceva riferimento, in modo scherzoso, alla lotta impari condotta dal personale della Squadra Mobile, con mezzi del tutto inadeguati, contro soggetti molto potenti sia sul piano economico sia sul piano politico.

Una puntuale conferma alle ipotesi avanzate in merito alle relazioni politiche di alto livello intrattenute dai cugini Salvo fu offerta dal contenuto delle agende sequestrate in occasione del loro arresto, nelle quali erano annotati i numeri telefonici di numerosi esponenti politici (tra cui l’on. Gorgone, l’on. Grillo, l’on. Lima, l’on. Ravidà, l’on. Reina, l’on. Ruffini, l’on. Casimiro Vizzini, l’on. Carlo Vizzini).

Inoltre, nell’immediatezza della cattura dei cugini Salvo, il dott. Cassarà comunicò alla propria moglie ed al dott. Accordino che era emerso che uno degli arrestati aveva la disponibilità del numero telefonico diretto del sen. Andreotti.

Il teste Accordino ha riferito che, subito dopo l’arresto dei cugini Salvo, il dott. Cassarà gli mostrò una grossa agendina tascabile con la copertina di colore marrone scuro o rossiccio. Con un sorriso di trionfo, come se avesse trovato finalmente qualcosa che confermava le sue convinzioni, il dott. Cassarà fece vedere l’agendina al dott. Accordino, il quale notò la presenza del nome “Giulio” e di un numero lungo, privo di prefisso. Il teste comprese che si trattava del sen. Andreotti, in quanto il dott. Cassarà, nel mostrargli l’agendina, gli chiese: «Hai visto Giulio?», riferendosi alla persona cui facevano capo a livello nazionale i cugini Salvo e la loro corrente politica.

Al dott. Cassarà, che gli domandava «secondo te chi è questo Giulio?», il dott. Accordino replicò: «è il noto?», facendo riferimento al sen. Andreotti. Il dott. Cassarà gli rispose di sì ed aggiunse «ora vediamo». Quest’ultima affermazione riguardava gli accertamenti che sarebbero conseguiti al ritrovamento del numero telefonico del sen. Andreotti nella suddetta agendina.

In seguito il dott. Accordino non domandò al dott. Cassarà informazioni sull’esito degli accertamenti, ma in più occasioni il dott. Cassarà, parlando con lui, gli «fece capire che quel Giulio era quello». La cosa divenne quindi pacifica.

Il dott. Cassarà, pur senza indicare esplicitamente il soggetto cui era stata sequestrata l’agendina, fece capire al dott. Accordino che essa era stata rinvenuta in occasione dell’arresto di uno dei cugini Salvo.

Il teste ha precisato che il dott. Cassarà curava personalmente tutte le fasi delle operazioni di cattura, adottando cautele idonee ad assicurare l’impermeabilità anche nei confronti di altri uffici della Squadra Mobile, perché in più occasioni erano fallite all'ultimo momento, in maniera inspiegabile, alcune operazioni.

Dalla deposizione testimoniale del dott. Accordino si desume altresì che il dott. Cassarà inserì l’agendina in una grossa busta che conteneva altri documenti sequestrati in occasione dell'arresto del Salvo e che venne trasmessa all'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo.

La vicenda del nome rinvenuto nell’agendina divenne nota ad altri, tanto che successivamente il dott. Accordino (intanto trasferito a Catania e poi a Caltanissetta), incontrando il dott. Falcone in almeno due occasioni tra il 1987 ed il 1992, gli rivolse la battuta: «si ricorda di Giulio?», cui il magistrato replicò con un sorriso; talvolta il dott. Falcone diceva: «per favore, non cominciamo con la nostra sindrome da reduce perché diciamo sempre le stesse cose».

Oltre che al dott. Accordino, il dott. Cassarà confidò la vicenda riguardante il rinvenimento del numero telefonico del sen. Andreotti anche alla propria moglie Laura Iacovoni. Quest’ultima, nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 26 settembre 1996, inizialmente ha riferito di avere appreso dal marito che, in occasione della cattura dei cugini Salvo, nell’abitazione di uno di essi (che la teste ha ritenuto fosse Ignazio Salvo, ricordando che il suo arresto fosse stato eseguito da personale della Polizia), era stato trovato «un appunto su cui c'era il numero diretto del presidente Andreotti». La teste ha esplicitato che il dott. Cassarà le disse: «figurati abbiamo trovato il numero diretto di Andreotti».

In precedenza, nella deposizione resa all’udienza del 25 maggio 1993 davanti alla I Sezione della Corte di Assise di Palermo nel processo n. 10/91 instaurato a carico di Salvatore Riina ed altri, la teste Iacovoni, esponendo quanto aveva appreso dal marito, aveva affermato: «avevo sentito dire un discorso di... un legame tra Andreotti e i Salvo a proposito di un (…) numero diretto di Andreotti, che, a quanto pare, avevano i Salvo che non so se era venuto fuori da perquisizioni, da documenti trovati, da intercettazioni o era... poteva essere anche una voce»; aveva, inoltre, esplicitato: «non so se era venuto fuori da intercettazioni telefoniche, che, per altro, se così fosse, sarebbero agli atti di qualche indagine, o se, invece, era una cosa che lui aveva saputo, che aveva sentito, che lo stesso Lo Presti gli aveva detto; ma, insomma, lui si era reso conto, proprio ebbe a dirmi questo discorso nel momento in cui si rese conto dell’enorme importanza avevano i Salvo nel panorama politico, ma non locale ma nazionale» (il relativo verbale è inserito nei verbali di prova di altri procedimenti penali prodotti dal P.M., al n.10).

Essendole state contestate dalla difesa le suddette dichiarazioni, la Iacovoni ha precisato quanto segue: «non ho certezza perché non lo ricordo, come non lo ricordavo evidentemente non so, un anno o due anni fa, del posto in cui fosse stato scritto il numero telefonico, cioè se fosse stato un appunto, un foglio, un’agenda, cioè di questo non ho certezza perché probabilmente mio marito non me lo disse in quanto per lui il fatto importante era l'avere trovato a casa dei Salvo un diretto di Andreotti. Come era stato trovato non me l’ha detto o me l'avrà detto in maniera molto superficiale, cioè io ricordo: “pensa abbiamo trovato anche il numero diretto di Andreotti”. Questo è il colloquio che io ho avuto con mio marito».

La teste, ha, inoltre, affermato: «mio marito seguì per anni i Salvo, quindi è pure possibile che anche in precedenza ci fosse notizia di qualcosa del genere. Soltanto che io quello che ricordo con certezza è che all'indomani o forse il giorno dell'arresto dei Salvo lui mi comunicò questa cosa. Cioè erano indagini che lui seguiva da anni, ha seguito per anni e quindi è pure possibile che lui su questo avesse avuto più fonti, ecco. Comunque è sicuramente il giorno in cui vengono arrestati i Salvo che lui mi dà questa notizia, cioè perché insomma per lui in fondo era la conferma a tutto il lavoro che aveva fatto, e mi dice: “pensa abbiamo trovato anche il numero diretto di Andreotti”».

La teste ha, poi, chiarito di non ricordare dove fosse stato rinvenuto il numero telefonico, ed ha aggiunto: «per me la parte importante, l'elemento importante è quello che mi riferisce mio marito, e mio marito non mi riferisce se lo legge, lo scrive, lo vede, glielo dicono; mi riferisce che i Salvo hanno la disponibilità del diretto di Andreotti. Io non vado a chiedere».

Nel prosieguo dell’esame, la teste ha confermato di avere appreso dal dott. Cassarà che i Salvo avevano la disponibilità del numero telefonico diretto del sen. Andreotti, ed ha specificato di ignorare come il marito avesse raccolto questa notizia.

I suesposti elementi probatori valgono a dimostrare che, nell’immediatezza della cattura dei cugini Salvo, il dott. Cassarà comunicò, in due diversi contesti, alla moglie e al dott. Accordino, che uno degli arrestati aveva la disponibilità del numero telefonico diretto del sen. Andreotti.

Al collega Accordino il dott. Cassarà mostrò anche la fonte del suo convincimento, e cioè l’annotazione del nome “Giulio”, con accanto un numero telefonico, in un’agendina sequestrata in occasione dell’arresto.

Il teste Accordino ha chiarito che dopo questo colloquio (avvenuto anteriormente allo svolgimento degli accertamenti sulla titolarità dell’utenza telefonica menzionata nell’agendina), il dott. Cassarà, in diverse occasioni, gli fece comprendere che l’iniziale identificazione del sen. Andreotti con la persona indicata con il nome di “Giulio” si era rivelata esatta.

Un simile atteggiamento, tenuto dal dott. Cassarà nei confronti di un collega a lui legato da un rapporto di piena fiducia e stretta collaborazione, presuppone necessariamente che gli accertamenti sul punto fossero stati espletati ed avessero avuto esito positivo.

Non si comprende, infatti, per quale ragione il dott. Cassarà avrebbe dovuto trarre in inganno un funzionario di Polizia a lui legato da un saldo vincolo personale e professionale, inducendolo a consolidare e conservare nel suo patrimonio conoscitivo una falsa rappresentazione della realtà su un argomento che rivestiva una indubbia importanza ai fini della individuazione dei possibili fattori di ostacolo ad indagini di particolare rilievo, condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Palermo, nella quale entrambi prestavano servizio.

L’avvenuto compimento, ed il risultato positivo, degli accertamenti relativi alla riconducibilità del numero telefonico al sen. Andreotti, è inequivocabilmente desumibile anche dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 24 ottobre 1996 dal dott. Francesco Forleo (Dirigente della Polizia di Stato).

Quest’ultimo ha dichiarato che aveva conosciuto intorno agli anni ‘80, mentre ricopriva l’incarico di componente della segreteria del S.I.U.L.P., il dott. Cassarà, il quale «era uno degli elementi trainanti della Squadra Mobile di Palermo» e si trovava in una situazione di isolamento e di esposizione a rischio a seguito delle sue indagini sui cugini Salvo.

Tra il dott. Forleo ed il dott. Cassarà si sviluppò quindi un rapporto di lavoro e di amicizia. In un incontro avvenuto a Palermo nel 1983 o nel 1984, il dott. Cassarà fece presente al dott. Forleo di avere trovato nell’agendina di uno dei cugini Salvo il numero telefonico diretto del sen. Andreotti. Il dott. Forleo gli domandò: «sei sicuro che è un numero diretto? Sono stati fatti riscontri e accertamenti?». La risposta del dott. Cassarà fu positiva.

Il dott. Cassarà raccontò l’episodio «per evidenziare quale fosse il potere dei cugini Salvo, senza fare alcuna considerazione riguardante direttamente l’Onorevole Andreotti». Nello stesso contesto, il dott. Cassarà fece riferimento alle indagini che svolgeva sui cugini Salvo, allora potenti esponenti dell'economia e della finanza siciliana, e disse al dott. Forleo: «vedi, persone come queste orbitano nel mondo della mafia». Il rinvenimento del suddetto numero telefonico costituiva un elemento di forte preoccupazione, perché il dott. Cassarà riteneva che «i Salvo avessero accesso diretto all’Onorevole Andreotti».

Il dott. Forleo si attivò quindi per ottenere il trasferimento del dott. Cassarà, senza però ottenere lo scopo. Anche la segreteria del S.I.U.L.P. inviò una lettera al Ministro dell’Interno, rappresentando la situazione di pericolo in cui si trovava il dott. Cassarà. La lettera fu pubblicata sulla prima pagina del quotidiano “la Repubblica” dopo l’uccisione del Cassarà.

Ciò posto, deve osservarsi che il suindicato colloquio tra il dott. Cassarà ed il dott. Forleo va certamente collocato in epoca successiva al 12 novembre 1984, poiché il riferimento all’agendina di uno dei cugini Salvo presuppone necessariamente l’avvenuto sequestro di tale documento, contestualmente all’arresto del detentore.

Non si ravvisa alcuna ragione che potesse indurre il dott. Cassarà a fornire al dott. Forleo (allora autorevole dirigente ed esponente sindacale della Polizia di Stato) informazioni false in ordine all’avvenuta effettuazione degli accertamenti sulla titolarità del numero telefonico. Va, anzi, osservato che un eventuale mendacio, se scoperto, avrebbe fatto perdere al dott. Cassarà gran parte della sua credibilità presso ambienti sindacali che lo sostenevano con forza, proprio in un momento in cui egli nutriva una intensa preoccupazione a causa del livello di influenza politica delle persone su cui aveva svolto una approfondita attività di indagine.

La propalazione di notizie non rispondenti al vero su un argomento di estrema delicatezza era, del resto, assolutamente inconciliabile con i criteri di completa riservatezza cui il dott. Cassarà si atteneva nello svolgimento delle propria attività investigativa, come si desume dalle dichiarazioni del teste Accordino (il quale ha specificato che il dott. Cassarà adottava cautele idonee ad assicurare l’impermeabilità anche nei confronti di altri uffici della Squadra Mobile).

Non può essere condiviso l’assunto difensivo secondo cui dal successivo comportamento del dott. Falcone (che non risulta abbia rivolto ai cugini Salvo domande riguardanti la suddetta annotazione contenuta nell’agendina sequestrata ad uno di essi) si dovrebbe evincere che nel caso in esame non sarebbe stato svolto alcun accertamento, ovvero sarebbe stato compiuto un accertamento con esito negativo circa la riconducibilità dell’utenza telefonica al sen. Andreotti.

Sul punto, occorre premettere che, quando vennero arrestati i cugini Salvo, in sede giudiziaria non era emerso alcunché a carico del sen. Andreotti.

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