I genitori di Hänsel e Gretel li portano in mezzo al bosco per abbandonarli al loro destino fino a che la loro disavventura, fatta di attraenti dolci e casette di marzapane, non li fa tornare da loro con il tesoro della strega. Allora sì che possono essere accolti! Quando Sofia Coppola nel suo film su Maria Antonietta la deve ritrarre nell’opulenza le fa mangiare dei dolci mentre il popolo soffre la fame. I dolci sono nel nostro immaginario collettivo intimamente legati alla forza attrattiva del potere e del denaro. Nonostante la pasticceria non sia una forma di produzione alimentare di lusso, lo stesso il dolce è continuamente associato alla bramosia legata alla ricchezza.

La storia che meglio ha raccontato questo legame è sicuramente quella di La fabbrica di cioccolato, racconto del 1964 di Roald Dahl poi adattato in un film con Gene Wilder nel 1971 intitolato Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato. In quella storia dentro le barrette di cioccolato in vendita il grande imprenditore della cioccolata Willy Wonka ha nascosto dei biglietti d’oro che garantiscono (a chi ha così tanta fortuna da trovarli) l’ingresso nella fabbrica di cioccolato del più grande cioccolataio del mondo. Gli avventori non sanno che in realtà è una maniera per Wonka di reclutare un erede per la sua fortuna e il suo impero economico. La cioccolata, letteralmente, è il capitalismo che arriva nelle tasche di persone casuali tramite biglietti dorati dentro barrette di cioccolato.

L’associazione

Il fatto che ora Wonka, film di Paul King con Timothée Chalamet in uscita l’8 dicembre, scelga di raccontare il giovane Willy Wonka a partire dall’apertura di una bottega nella competitiva arena dei cioccolatieri, è la logica conseguenza. Il nostro immaginario, plasmato anche da Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, che associa oro a ingresso nella fabbrica di cioccolato, dolci particolari come quelli che i bambini scoprono dentro la fabbrica al loro successo sul mercato, nell’era moderna ha costantemente identificato nel denaro e nella conquista del denaro il piacere profondo del consumo di dolci, come anche ha associato i danni portati dal consumo eccessivo di entrambi. Non è solo che il desiderio di denaro è paragonato al desiderio per i dolci, ma che anche il piacere del consumo è il medesimo.

La trama di La fabbrica di cioccolato poteva essere raccontata ugualmente anche utilizzando un falegname che crea una fabbrica di mobili, un gioielliere che crea una linea di collane e anelli o un giocattolaio e la sua fabbrica di giocattoli, tuttavia niente accende la fantasia come il connubio tra dolci e capitalismo, perché in nessuno di questi casi esiste una correlazione così stretta tra la bramosia per l’oggetto commercializzato e quella per il denaro che frutta al suo venditore.

Anche in Forrest Gump, uno dei film più concreti sul capitalismo americano della seconda metà del novecento, in cui uno stupido che parte da niente arriva ad avere una partecipazione in alcuni dei maggiori imperi americani, il protagonista ormai ricco consuma cioccolata nel raccontare la propria storia di inesorabile successo. Il dolce sapore del benessere.

Se l’equazione che lega i dolci al denaro e alla ricchezza funziona così tanto è perché attraverso di essa è possibile raccontare molte delle deviazioni capitaliste. La cosa più interessante quindi è cosa scrittori e cineasti hanno fatto con questa associazione. In La fabbrica di cioccolato quella di Willy Wonka e di Charlie (il bambino protagonista della storia) è una parabola in cui ad esempio si scopre che la produzione di dolci e della cioccolata più buona del mondo non è immacolata. Anzi. Sottilmente Roald Dahl prima (e poi anche il film) suggeriscono che gli Umpa Lumpa, creature mitologiche inventate da Dahl che lavorano nella fabbrica pagati in pezzi di cioccolata (cioè sottopagati, sfruttati e messi al lavoro senza avere in ritorno un corrispettivo economico spendibile), espletino funzioni fisiologiche nel fiume di cioccolata, e che quindi la risorsa principale della fabbrica di cioccolata numero uno del mondo, il segreto del loro successo e la fonte di reddito, sia contaminata di escrementi, che sono poi il vero segreto della sua bontà!

Wonka antieroe

Visto che i nostri anni sono quelli degli eroi esclusi, gli ultimi e gli sfigati, gli anni in cui ogni personaggio protagonista di un grande film pensato per un grande pubblico è ritratto come un outsider vessato dai bulli, allora anche Willy Wonka lo diventa. E questo nonostante nel racconto originale fosse rappresentato come una persona eccentrica, folle e per nulla remissiva.

In Wonka il protagonista diventa la vittima di un cartello di cioccolatieri che non vogliono che lui si inserisca nel mondo della vendita al dettaglio di cioccolata. Lui è eccentrico e folle, immagina un mondo diverso (la caratteristica principale dell’imprenditore visionario da Silicon Valley moderno), mentre il cartello dei cioccolatieri è favore della conservazione, della tradizione e della normalità, intollerante verso la diversità. Questo mondo di vendita al dettaglio chiaramente non è quella di strada è semmai quello delle pasticcerie di alto livello, interni in legno, luci piazzate e pacchetti che vengono confezionati come fossero gioielli. Del resto nessun altro alimento come i dolci (se non quelli effettivamente costosi) è trattato e impacchettato fingendo così tanto che si tratti di gioielli.

Non essendo questo il tipo di film realistico con il mondo della gastronomia, non c’è la solita cornice di dedizione estrema e tecnicismo nella descrizione dei processi produttivi, è invece un musical, una forma altamente allegorica. Wonka inizierà come un signor nessuno, dovrà battere la concorrenza e in piena armonia con l’etica capitalista che l’ha sempre animato, dovrà passare dal negozio di cioccolata alla fabbrica di cioccolata, tutto con l’aiuto degli Umpa Lumpa.

Modello capitalista

In queste versione più che un cioccolatiere Wonka è un imprenditore, la creatività che esiste intorno ai suoi cioccolatini magici, mangiando i quali le conseguenze sono imprevedibili (l’oggetto di mercato definitivo e imbattibile) è seconda solo alla creatività necessaria a Wonka per imporsi sul mercato e sgominare il cartello del cioccolato (e imporre il proprio come scopriamo dalla storia originale). Il “modello Wonka” è insomma la perfetta rappresentazione del capitalismo senza limiti, quello che non pensa alla propria sopravvivenza ma abita un mercato così competitivo che necessita della distruzione degli avversari e della promessa di una crescita eterna, in cui la comunicazione è tutto e il prodotto particolare che conquisti ampie fette di mercato deve poi diventare una catena, una linea e poi ancora una fabbrica e poi molte fabbriche.

Tuttavia nel racconto di Dahl l’ingresso nella fabbrica di cioccolato consentito ad alcuni bambini con i loro accompagnatori scatenava il peggio in ognuno di loro. Ogni bambino (protagonista incluso) violava le regole imposte da Willy Wonka, che li spingeva a farlo attraverso alcuni suoi dipendenti, e ogni volta lo faceva seguendo i sentimenti peggiori (per bramosia, per gola o per mera disobbedienza) mostrando così la propria natura predatoria. Quello che la storia diceva era anche che questa cosa, che è sia la cioccolata che il denaro, più la si desidera e più si peggiora, e proprio il fatto che Charlie, alla fine di tutto, restituisca un dolce che avrebbe potuto portare via, spinge Willy Wonka ad affidare proprio a lui la fabbrica. Un lieto fine che oggi forse non avrebbe lo stesso senso.

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