Un dinoccolato Timothée Chalamet canta spenzolandosi dal pennone di una nave, con la leggerezza e la punta di malinconia dello spazzacamino Bertie di Mary Poppins. Osserva la terra all’orizzonte, dove sta per iniziare la sua grande avventura. Il pubblico sa cosa lo aspetterà nel futuro, perché lui è il giovane Willy Wonka, il fondatore della fabbrica di cioccolato dell’omonimo romanzo di Roald Dahl.
È così l’inizio di Wonka, nelle sale italiane il 14 dicembre: carico di promesse e in punta di piedi tra il coccolare i fan e modernizzare lo spirito di Dahl.

Un prequel non molto atteso

Quando nel 2021 è stato annunciato il film, pensato come musical, le reazioni non erano state esattamente entusiaste. Da tempo gli studios hanno intensificato lo sfruttamento delle loro proprietà intellettuali (dette Ip), con titoli incentrati su personaggi già nei loro archivi.
A novembre è uscito Hunger Games: la ballata dell’usignolo e del serpente, ambientato 65 anni prima della trilogia originale, mentre a maggio sarà distribuito Furiosa di George Miller, un nuovo tassello della saga di Mad Max. La Disney con le sue numerose affiliate (Marvel e Lucasfilm in testa) è maestra nel percorrere avanti e indietro alberi genealogici e intere esistenze.

La fabbrica di cioccolato è un romanzo che ha già avuto due trasposizioni cinematografiche: una molto amata del 1971, diretta da Mel Stuart, e una di Tim Burton, nel 2005. Cuore di entrambe, l’ambiguo Willy Wonka, con il suo cilindro e i modi affettati. L’industriale invita cinque fortunati bambini nel suo stabilimento: per uno solo la sorpresa finale, per gli altri, avidi, ingordi e viziati, sono previste punizioni alquanto sadiche. A che pro, avevano detto gli appassionati, raccontare cos’è successo prima.

Alla notizia del via libera a Wonka, il Guardian aveva scritto che il film aveva «il potenziale di essere penosamente noioso». A preoccupare, era la perdita del mistero intorno al cioccolataio: «il fatto che non avesse un passato significava che poteva farla franca con l’essere un affascinante e contraddittorio sociopatico». Già l’adattamento di Tim Burton aveva cercato di fare luce sull’infanzia di Wonka, affibbiandogli un padre dentista e nemico degli zuccheri: uno sforzo poco apprezzato.

L’unica speranza per questo prequel era stata riposta nella scelta del regista: Paul King. Dalla sua, ha in portfolio due titoli parecchio fortunati: Paddington e Paddington 2, per un po’ in cima alla lista di Rotten Tomatoes con un 100 per cento di gradimento, scalzando Quarto potere di Orson Welles. La squadra è la stessa, con il co-sceneggiatore Simon Farnaby e gli attori Hugh Grant, Sally Hawkins, Matt Lucas e Tom Davis.

Un musical dickensiano

Wonka magari non comparirà nella lista dei migliori prequel mai realizzati, in cui per molte riviste campeggia Il padrino 2, ma è un musical coloratissimo e di buon cuore, classico nella realizzazione e ambientato in una città che è Londra, Bath, Milano e Oxford insieme. Per Peter Bradshaw del Guardian è «spettacolare, fantasioso, gradevole e divertente». Per Variety è «entusiasmante, messo in scena in modo impeccabile e sbalorditivo».

Il giovane Willy Wonka, interpretato da Timothée Chalamet, arriva con una fabbrica di cioccolato portatile e il sogno di aprire un suo negozio. Dovrà affrontare una concorrenza senza scrupoli e due albergatori truffaldini, ma troverà anche una bella combriccola di aiutanti.
King parte da un presupposto opposto rispetto a quello di Burton. Non ci sono genitori severi, anzi: il cioccolato rappresenta il legame con una madre perduta. Il suo Wonka è un ragazzo affettuoso, che alterna ottimismo e nostalgia. Quello che gli manca, però, è proprio un lato più cupo. Come scrive Vanity Fair, «è difficile credere che la versione dolce e goffa del personaggio di Chalamet alla fine si trasformi in un pazzo che, nella migliore delle ipotesi, se ne sta per i fatti suoi mentre i bambini rischiano la vita nella sua fabbrica».

C’è sì un po’ di Mary Poppins, ma non è tutto zucchero. Le insidie che attendono i protagonisti sono più dickensiane, tra orfani sfruttati, avversari avidi e poliziotti corrotti.
Pur non essendo tratto da un romanzo “ufficiale”, perché Roald Dahl non ha mai scritto la storia di Willy Wonka (è uscito invece il romanzo tratto dal film, per Salani, la casa editrice che pubblica tutte le opere dell’autore), gli elementi famigliari per i lettori dello scrittore britannico sono numerosi. Anche quelli considerati oggi più problematici.

L’affaire Dahl

La società che detiene i diritti dei romanzi di Dahl, la Roald Dahl Story Company, ha iniziato quest’anno un’opera di attualizzazione dei testi per adattarli alla sensibilità odierna. Nei suoi libri c’è una sovrapposizione ricorrente tra la cattiveria e l’aspetto fisico: gli antagonisti sono tutti grassi, o presentano determinate deformità. Alcuni passaggi sono stati accusati di misoginia, razzismo e antisemitismo, tanto che nel 2020 gli eredi avevano pubblicato un comunicato di scuse: «Queste osservazioni ricche di pregiudizi sono incomprensibili per noi e sono in netto contrasto con l’uomo che conoscevamo e con i valori al centro delle storie di Roald Dahl, che hanno avuto un impatto positivo sui giovani da generazioni. Speriamo che, come ha saputo fare al suo meglio, anche al suo peggio ci aiuti a ricordare l’impatto duraturo delle parole».

Già in vita, in realtà, Dahl aveva dovuto riscrivere alcune cose: proprio nella Fabbrica di Cioccolato gli aiutanti di Wonka, gli Umpa Lumpa, inizialmente erano descritti come pigmei, di fatto schiavizzati dal cioccolataio. In seguito, sono diventati esseri fantastici. Nel film del 1971 con Gene Wilder hanno assunto le sembianze più note, pelle arancione e capelli verdi.

Così compaiono anche nel nuovo film, dove sono interpretati da Hugh Grant: uno di loro è costretto a lasciare Lumpalandia per farsi restituire i chicchi di cacao che Wonka ha rubato durante i suoi viaggi. King prova così a bilanciare i rapporti di potere tra i personaggi. Non più una popolazione asservita al bianco conquistatore, ma un individuo con un suo specifico carattere che decide di restare accanto al ragazzo e lavorare nella fabbrica. Soprattutto, l’Umpa Lumpa di oggi per ogni cosa rubata è in grado di farsi restituire 1.000 volte tanto.

Il cuore di tante opere di Dahl – la critica dell’avidità e dei ricchi che cercano di sopraffare i poveri, e il potere dell’immaginazione che trionfa su tutto – non viene intaccato da questi accorgimenti. Non ci sono particolari forzature nel far girare tutto in modo che si avvicini alla riscrittura dei libri: proprio l’estetica più criticata di Dahl è rimasta, con un poliziotto corrotto a suon di cioccolatini che a ogni nuova inquadratura appare sempre più grasso.
Un cenno affettuoso ai lettori è dato però dai riferimenti al resto dell’universo dahliano. Il personaggio di Noodle, la ragazzina orfana e amante dei libri che stringe amicizia con Wonka, potrebbe benissimo essere un’eco di Matilda, una delle creazioni più popolari dello scrittore.

© Riproduzione riservata