Tutto è nelle braccia della terra. Un involucro di fango cinge uomini e oggetti, a più di dieci giorni dall’inizio dell’alluvione. I fiumi spingono l’inferno. Hanno inghiottito ponti e strade. La montagna si è presa il resto. A Ranchio sono bloccati in cinquecento. Mangiano insieme in un capannone. Tavoli messi uno dietro l’altro. Pasta con il sugo e verdure crude per tutti. Arrivare lassù è una follia di frane che sputano massi. È la montagna che continua a cedere.

La Romagna è un patimento di strade chiuse. Sono passati più di dieci giorni, ma la normalità è una conquista lenta. C’è l’emergenza e ci sono le domande. La più banale: cosa è successo? I vecchi dicono che la natura si sta riprendendo ciò che è suo.

Luca Cari, portavoce dei Vigili del fuoco, arriva trafelato: «Devo essere sincero: io quattro alluvioni in un anno non le ho mai viste. Credo sia arrivato il tempo di rivedere il sistema». Ma quale sistema?

E mentre si prova a comprendere, intorno è una moltitudine di mezzi che lottano contro il terreno. «Abbiamo lavorato in condizioni disastrose, una ruspa è stata portata via mentre pioveva. È arrivata la Protezione civile e ci ha detto di lavorare in sicurezza».

Si ferma, ride e dice: «Come se sia possibile farlo. Dobbiamo decidere se lavorare in sicurezza o liberare i cittadini». Si fruga in tasca, tira fuori un telefono e mostra la strada dei primi tre giorni. Un’immagine che immortala solo mota e una ruspa in mezzo al giudizio divino. Lassù, a Ranchio, provincia di Cesena.

Dove i bambini si sfogano con un pallone, arriva un uomo. È vecchio: «Da me hanno fatto la fila fino a tre giorni fa. Io ero l’unico telefono funzionante».

Ricorda le cronache dell’assedio di Mariupol e delle persone che salivano nell’unico punto dove c’era connessione. È la banalità della contrapposizione calamità-guerra. Lo abbiamo fatto con il Covid, diventa ancor più necessario con la devastazione, l’assenza di linea, acqua ed elettricità. È la conseguenza di una montagna che continua a minacciare crolli. È la mente che esige paragoni per spiegare.

Il nulla più alto

Saliamo in cima al nulla più alto. C’è Federico, lui ha 35 anni e ha un’azienda agricola. I carabinieri di Cesena sono arrivati a portare acqua e cibo. Non c’è sorriso sul volto, neanche disperazione.

È interdizione l’espressione che appare: «La montagna è scesa di due metri». Alza il dito e segna i punti. I campi di orzo ed erba medica sono stati trascinati via, non ci sono coltivazioni, ci sono cunette e strisce marroni di terra. «Siamo stati barricati in casa tre giorni«, dice mentre guarda un’azienda che non esiste più «abbiamo capito la furia perché se uscivamo di casa sentivamo gli alberi che si spezzavano con la pioggia».

È passata più di una settimana e loro sono ancora isolati: una casa in cui vivono una famiglia, lui e altre persone. Avete avuto paura, viene da chiedere e la risposta è un no, un non so, un confuso «ma cosa è successo? Perché io una cosa così non l’ho mai vista».

E allora si scende di nuovo dopo aver lasciato cibo e medicine insieme ai carabinieri. E mentre uno scende, Federico e gli altri camminano per strada con trenta gradi che picchiano in testa dopo la tempesta e la siccità che minaccia di nuovo. Perché il caldo è tornato insistente e presente.

Cercano i segni del futuro nei campi dei vicini che non esistono più. Guardano la strada scesa di tre metri. Alzano le braccia e le picchiano sui fianchi. Sono cartomanti senza carte e senza stelle.

I punti di riferimento si sono frantumati. Stessa situazione a Modigliana e Casola Valsenio, dove persino il campo da calcio è stato mangiato dal fango. Qui ci si arriva con gli elicotteri. L’areonautica militare arriva con il 15esimo stormo. Appendono una rete all’elicottero e portano acqua, cibo e balle di fieno e mangime per gli allevatori.

Tutto perso

Anche la Polizia di stato si alza con un elicottero per monitorare le vie chiuse e quella terra di farina senza collante. Un pugno pronto ad aprirsi e scivolare su tutto ciò che trova. Le colline sono zebre che si incastrano tra alberi rimasti in piedi con le loro radici. Ci sono case ormai sul ciglio del dirupo.

Involucri vuoti, perché sono scappati tutti via. Dall’alta parte ponti che hanno resistito alla seconda guerra mondiale si sono sbriciolati. Adesso sono pezzi di asfalto che giacciono sul letto del fiume. Più l’acqua si asciuga, più le ferite sono visibili. Ci si chiede quanto ci vorrà a ricostruire tutto? Ci si chiede quando la montagna smetterà di cedere?

Claudia e Jonatan abitano sopra Brisighella. Per arrivare adesso ci vuole un’ora, prima ci impiegavano venti minuti. «Abbiamo comprato questa azienda agricola sei mesi fa». A parlare è Claudia, una ex fantina che si è innamorata di un maniscalco. Hanno abbandonato tutto e hanno deciso di crescere Anita in campagna. Tutto perso.

Gli olivi sono stati sradicati e sotto la cascina si è formato un canyon. I mezzi pesanti non possono passare e quindi nonostante potrebbero almeno sopravvivere con l’allenamento di maiali, anche questa opportunità è una croce perché i suini non possono essere trasportati.

Troppo pesanti, la strada non regge. Una strada che è diventata una mulattiera dove bisogna stare attenti a circolare. Ci sono microfrane ogni cento metri con pezzi di asfalto che si mischiano con la terra ormai secca.

Emergenza sanitaria

A Faenza i cumuli di immondizia vengono portati via a ruota continua. È dovuto intervenire l’esercito per svuotare la città il prima possibile. Aldo, 84 anni, viveva in una delle zone più colpite.

Quella che si trova vicino il fiume Lamone. Qui l’acqua ha rotto subito gli argini e la violenza si è tradotta in sei metri d’acqua. Il secondo piano per salvarsi non è bastato. La gente è salita sui tetti attendendo i gommoni e urlando per essere portata via. A oltre dieci giorni è lì con un tubo che pulisce la carrozzina del figlio disabile, Alessandro si chiama.

«Io non volevo mica andarmene, ma mia nipote era in casa con me. Quando l’acqua ha iniziato a salire mi ha detto: “Nonno ho venti anni, ti prego non voglio morire così”». È così lo ha convinto. Gironzola per casa.

Una casa dove dentro le mura non esistono più. Sono crollate, così come è crollato il contro-soffitto. La strada dove vive è stretta, ancor più stretta con i cumuli di oggetti posati a un lato: «La cosa più triste è che ci vorranno anni e quando un giorno torneranno a viverci io sarò già morto».

È il volto di un uomo arrivato alla fine. Le lacrime si mischiano alla voce, mente la nipote pulisce le foto di famiglia dal fango e dice: «Potevamo morire, nonno. Potevamo morire». E lui: «A 84 anni cosa vuoi che me ne importi».

A Faenza sono così tanti gli sfollati che il sindaco Massimo Isola si è visto costretto a emettere un’ordinanza: albergo interdetti ai non residenti, servono a chi ha perso la casa. C’è chi, come i proprietari dell’hotel Cavallino, si chiedono quanto lo Stato pagherà loro le stanze: «Voglio ospitare tutti, la mia unica speranza è di non fallire».

Ordinanza anche a Conselice. Divenuto il simbolo di un’alluvione che non vuole andarsene. Quattro giorni fa l’acqua era alta più di un metro nella zona residenziale, tre in quella industriale. Adesso si sta asciugando, ma rimane alto il rischio sanitario, invitando così la popolazione a lasciare le proprie case. Anna si è trasferita alle scuole medie insieme al marito, ma viene a controllare: «Esistono gli sciacalli, ha sentito».

E non importa se i casi registrati sono stati quasi zero. La paura c’è e lo scoramento psicologico gioca la sua partita.

In mezzo all’acqua le lumache si sono liquefatte. Dal guscio spunta una massa bianca informe.

«Potrebbe esserci un problema sanitario», avvertono i medici. Ma molti dopo aver superato il delirio, adesso sono convinti che le precauzioni prese siano state tardive e che questa emergenza sanitaria sia un’eccessiva precauzione. Gestire i quasi 9.500 cittadini sta diventando un atto eroico, nonostante l’acqua stia defluendo e ora in molti siano impegnati a svuotare le case. E non importa il pericolo sanitario perché dopo dieci giorni i cittadini vogliono stimare i danni e organizzare la propria vita.

Martedì arriva il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Lo stato che vuole esserci a distanza di giorni e portare la propria vicinanza. Lo stato che ogni giorno viene invocato da chi ha perso tutto e si chiede quel che sarà di loro.

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