L’emergenza climatica è una questione generazionale? A prima vista sembrerebbe di sì. È vero che molti cambiamenti, nel clima, si vedono già: fa meno freddo, l’agricoltura fatica, ci sono più eventi estremi. Sono cambiamenti che si registrano anche nei paesi più sviluppati che più hanno contribuito, sinora, a causare la crisi climatica.

Ma credo che tra le persone che vivono nel nord del mondo l’idea dominante sia che più o meno le cose vanno avanti sempre allo stesso modo. Fa più caldo, ma hai visto mai che il saldo tra maggiore uso dei condizionatori nel periodo caldo e minore uso dei caloriferi nel periodo freddo produca un attivo?

Insomma, chi oggi ha superato i sessant’anni e vive nel nord del mondo potrebbe anche pensare di averla sfangata. Certo, di eventi estremi che provocano grandi tragedie, nel tempo che gli resta da vivere, il plurisessantenne ne vedrà sempre di più, anche intorno a sé. Ma può confidare che non toccheranno proprio lui, personalmente.

Chi di anni invece ne ha meno di trenta, questa fiducia non può averla: la crisi climatica se la prende in pieno. Se vive in paesi sviluppati può sperare di avere qualche mezzo in più per gestire la situazione, ma non eviterà i guai.

Gli elementi per un bello scontro generazionale ci sono tutti. Ma molti adulti sono genitori o nonni di quei giovani che la crisi climatica non la scamperanno.

Consapevolezza

Da sempre, i genitori si chiedono quale sia la scuola migliore per i propri figli, o quale sport è più opportuno che pratichino. Ora cominciano a chiedersi in che razza di mondo vivranno i loro figli, a causa del riscaldamento globale, e cosa possono fare per prepararli al meglio a ciò che li aspetta. 

Io mi trovo in questa situazione e fatico a capire in concreto quali difficoltà mio figlio e i suoi compagni di vita dovranno affrontare. Scienziate e scienziati migliorano ogni giorno la nostra conoscenza sul futuro: di quanto si alzeranno i mari, quanto sarà difficile coltivare il grano, quanto diminuirà la disponibilità di acqua potabile, quanto si diffonderanno nel mondo malattie come la dengue o la malaria.

Ma donne e uomini di scienza, con tutta la buona volontà, non possono rispondere alla domanda cruciale: come reagiremo noi esseri umani, di fronte al caos climatico? Sapremo cooperare? Oppure si scatenerà un tutti contro tutti per accaparrarsi le risorse sempre meno disponibili?

Certo, per avere un po’ di ottimismo bisogna che alcune ossessioni passino di moda. Penso soprattutto a quello per i confini: pure per contrastare la diffusione di un virus e delle sue varianti ci sono governi che hanno chiuso le frontiere.

Le barriere, d’altra parte, sono l’ingrediente principale nella ricetta con cui i paesi più sviluppati affrontano da tempo l’immigrazione. E non bisogna essere degli idealisti, ma solo persone dotate di senso pratico, per rendersi conto che non funziona e non potrà funzionare, in futuro, quando le terre abitabili saranno sempre meno e le persone costrette a mettersi in movimento saranno molte ma molte di più delle attuali. È necessario piuttosto fare tutto il possibile perché le terre abitabili si riducano il meno possibile.

Non è detto, però, che chi governerà domani ripeterà a oltranza gli errori di chi ha governato prima. Il mio punto di vista personale vale poco, me ne rendo conto, però mi sembra che tra chi oggi ha un’età compresa tra l’adolescenza e i trent’anni circa, la consapevolezza della situazione sia forte. 

Idealisti e pragmatici

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Quando ho cercato di capire qualcosa di più, sulla crisi climatica e le sue conseguenze, mi sono rivolto soprattutto a ragazze e ragazzi la cui età è molto più vicina a quella di mio figlio di nove anni che non alla mia. È ascoltando il podcast Emergenza climattina di Giovanni Mori, energy engineer, che ho messo a fuoco molti aspetti della crisi climatica e lo stesso posso dire per la newsletter settimanale Il colore verde, realizzata da Nicolas Lozito, giovane giornalista.

È dialogando con Laura Vallaro, che studia scienze forestali e – come Giovanni – è portavoce di Fridays for Future Italia, che ho compreso quanto sia importante essere idealisti e pragmatici allo stesso tempo, quanto ci si debba concentrare sulle cose da fare e non sui dibattiti astratti.

È discutendo con Barbara Mezzalama ed Erika Trulla, attiviste per il clima e studentesse all’università di Torino, che ho potuto affrontare un tema delicatissimo: il diventare genitori, in un mondo stravolto dal cambiamento climatico. 

Ma non posso pensare che giovani come loro risolveranno tutto e quindi siamo a posto così. Non voglio abdicare dal ruolo di padre, anzi. Non voglio eludere quelle domande che credo qualsiasi genitore si faccia e, secondo me, sono tutte declinazioni di un unico quesito: cosa posso fare per preparare i figli al futuro?

Deve imparare a nuotare bene, mio figlio, perché così può godersi le vacanze al mare il che, è il pensiero di mia moglie e mio, è una delle tante cose che lo aiuterà a essere felice. Deve imparare l’inglese alla perfezione – e possibilmente una seconda lingua straniera – perché in un mondo così interconnesso avrà sempre più la possibilità di andare all’estero.

Ma in quale punto delle coste mediterranee potrà fare le vacanze? Le spiagge italiane – anzi, quelle di tutto il mondo – si stanno via via riducendo, a causa dello scioglimento dei ghiacciai che fa salire il livello dell’acqua marina. E viaggiare all’estero: sì, ma dove? Sempre diretto a nord, perché verso sud andrebbe incontro a climi insopportabili?

In realtà, senza bisogno di immaginare chissà quale viaggio transoceanico, il problema ci potrebbe essere già tra una decina di anni. Siamo venuti a vivere a Biella, ai piedi delle montagne, e questo ci garantisce un clima tollerabile anche nei giorni più caldi. Ma quando, se ne avrà voglia, mio figlio sceglierà che università fare forse vorrà andare a Torino, la città dove abitavamo prima. Se così sarà, dovrà fare i conti con un clima ancora più difficile di quello che c’è oggi, che già è estremamente afoso nei mesi estivi.

Dovesse andare a Milano non troverà una situazione diversa e volesse scegliere Genova, dove io, ad esempio, sono andato a fare la tesi di laurea, dubito che il clima temperato dalla presenza del mare compenserà i disastri dovuti alle grandi piogge, che mettono spesso in crisi la città ligure e che sono destinate ad aumentare.

L’importanza di cooperare

Nel mondo di mio figlio, e dunque anche nel mio, la crisi climatica è entrata pesantemente. Siamo ancora qui che pensiamo a tamponi, Dad, vaccini… ma il fatto che in gennaio possiamo passeggiare nei boschi togliendoci le giacche suscita in me le stesse sensazioni che la scrittrice Anna Momigliano descrive benissimo in Avere figli ai tempi del cambiamento climatico, un articolo che ha pubblicato su Rivista Studio nell’aprile del 2019. Sensazioni che posso esprimere così: a un primo «Wow, che bella questa passeggiata in un tepore pressoché primaverile», fa seguito un «ma siamo in gennaio, non va mica bene questa cosa». 

Ma, ancor più, quell’articolo ha suscitato in me un riconoscimento. «Dunque anche tu, Anna Momigliano, che hai una figlia poco più giovane del mio, hai la mia stessa identica preoccupazione», ho pensato. «E non stiamo parlando di dentini che non escono o febbre che sale improvvisamente».

Non so se questa situazione produrrà uno scontro generazionale. Spero però che produca un’alleanza tra genitori e più in generale tra adulti. Perché dobbiamo capire, nel modo più concreto possibile, cosa possiamo fare affinché i nostri figli – e tutte le giovani e i giovani come loro, in ogni parte del mondo – vivano un futuro sereno.


Daniele Scaglione è autore del libro Più idioti dei dinosauri, edito da edizioni e/o (2022)

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