La crisi climatica è un’emergenza come la pandemia. È tornato a insistere sull’emergenza ambientale il presidente del Consiglio, Mario Draghi, intervenendo alla tavola rotonda “Climate moments” organizzata dalle Nazioni unite lunedì 20 settembre. 

Il premier era intervenuto sullo stesso tema il 17 settembre, partecipando prima al Forum delle Maggiori Economie sull’Energia e il Clima, promosso dal presidente Usa Joe Biden e poi durante il vertice Eu Med di Atene.

Anche in quell’occasione aveva espresso un giudizio duro, dicendo: «Dobbiamo essere onesti con noi stessi, stiamo venendo meno alla promessa degli accordi di Parigi». 

La necessità di un’azione immediata contro l’emergenza

«È vero che stiamo ancora lottando contro la pandemia, ma questa è un’emergenza di uguale entità e non dobbiamo assolutamente ridurre la nostra determinazione ad affrontare i cambiamenti climatici», ha affermato Draghi. «L’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu ci ha detto che la nostra azione dovrebbe essere immediata, rapida e su larga scala».  «Se non agiamo per ridurre le emissioni di gas serra», ha ribadito Draghi, «non saremo in grado di contenere il cambiamento climatico al di sotto di 1,5 gradi». 

«Vediamo che ciò sta già avvenendo», ha aggiunto il premier, «perché osserviamo eventi meteorologici estremi che, nelle scorse settimane, sono stati un doloroso promemoria degli effetti dei cambiamenti climatici. Perciò, questo ci richiede anche un’azione immediata in materia di adattamento».

Il ruolo dell’Unione europea 

Draghi ha ricordato che diversi paesi europei hanno messo la transizione ecologica al centro dei loro piani di ripresa e resilienza: «Siamo determinati a porre l’Ue sulla giusta traiettoria per ottenere una riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, e per azzerare le emissioni nette entro il 2050». 

Allo stesso tempo, però, il premier ha aggiunto che «l’Unione europea oggi è responsabile soltanto dell’8 per cento delle emissioni globali». Vista «la profonda interconnessione fra produzione di energia, emissioni di gas serra e cambiamenti climatici», ha detto il presidente del Consiglio, «dovremmo convincere le persone e i paesi a livello mondiale che accelerare la transizione energetica ha dei costi, ma genera anche grandi benefici». Questo, ha specificato Draghi, vale soprattutto per i paesi emergenti e in via di sviluppo, per i quali «la rapidità dei flussi di investimento indirizzati verso l’energia pulita è cruciale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile».

Politiche insufficienti 

Il premier ha detto che le misure attuali «sono insufficienti per permettere alle emissioni di energia mondiali di ritornare ai livelli del 2019 entro il 2022: questa tendenza è ben lontana dalla traiettoria necessaria ad azzerare le emissioni nette entro il 2050».

Per raggiungere la transizione energetica, «dobbiamo non soltanto fissare degli obiettivi a lungo termine, ma anche allineare le azioni concrete a breve termine». Il premier ne ha elencate alcune: rafforzare gli sforzi a livello nazionale e internazionale per eliminare gradualmente il carbone, dedicare risorse ad ambiti strategici come l’elettrificazione, l’idrogeno, la bioenergia, la cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio, che oggi ricevono soltanto circa un terzo del finanziamento pubblico e fissare il prezzo del carbonio. 

Ma per finanziare la transizione, ha detto Draghi, non basteranno i soli investimenti pubblici: «Mobilitare il settore privato, attraverso interventi mirati e politiche abilitanti, è ugualmente cruciale». 

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