I negoziati internazionali per raggiungere un accordo vincolante volto a combattere l’inquinamento da plastica si sono arenati a Ginevra, senza alcuna intesa e con un futuro incerto. Dopo giorni di lavori serrati e oltre la scadenza fissata per il 14 agosto, i delegati di 185 paesi non sono riusciti a superare il nodo principale che blocca il processo dal 2022: se ridurre la produzione di plastica e introdurre controlli globali sulle sostanze chimiche tossiche utilizzate nella sua fabbricazione.

Lo scontro tra visioni opposte


Da un lato, più di 100 paesi, tra cui Francia, Regno Unito e Unione Europea, spingevano per un trattato ambizioso con limiti alla produzione, divieti per i prodotti più pericolosi e tutele per la salute umana. Dall’altro, un piccolo gruppo di petro-Stati, tra cui Arabia Saudita e Kuwait, ha respinto ogni ipotesi di limitazione, sostenendo che la produzione non rientrasse nell’ambito del trattato.

Il presidente del comitato negoziale, Luis Vayas Valdivieso, ha presentato due bozze di testo, entrambe rigettate. Un’ultima versione, proposta nelle prime ore del 15 agosto, ha eliminato ogni riferimento a un tetto produttivo, limitandosi a riconoscere che i livelli attuali di produzione e consumo sono “insostenibili”. Anche questo compromesso non è bastato a sbloccare la situazione.


Delusione e frustrazione


Come riporta The Guardian, la ministra francese per la transizione ecologica, Agnès Pannier-Runacher, si è detta «delusa» e «arrabbiata» per il blocco imposto da pochi paesi «guidati da interessi finanziari a breve termine». Il delegato colombiano Sebastián Rodríguez ha parlato di negoziati «costantemente bloccati da una manciata di stati che semplicemente non vogliono un accordo».

Tuvalu, a nome di 14 piccoli Stati insulari del Pacifico, ha avvertito che senza cooperazione globale «milioni di tonnellate di rifiuti plastici continueranno a essere riversati nei nostri oceani, minacciando ecosistemi, sicurezza alimentare, mezzi di sussistenza e cultura».

Greenpeace: «Un campanello d’allarme»


Greenpeace ha definito il fallimento un «campanello d’allarme per il mondo intero». «Porre fine all’inquinamento da plastica significa affrontare direttamente gli interessi dei combustibili fossili», ha dichiarato l’organizzazione in un comunicato diffuso subito dopo la chiusura dei lavori.

Per Graham Forbes, capo delegazione di Greenpeace, se «la stragrande maggioranza» dei governi vuole un accordo solido, «una manciata di malintenzionati ha usato la procedura per mandare a monte tale ambizione. Non possiamo continuare a fare la stessa cosa e aspettarci un risultato diverso. Il tempo dell’esitazione è finito». E, ha continuato: «La crisi della plastica sta accelerando e l’industria petrolchimica è determinata a seppellirci per ottenere profitti a breve termine. Non è più il momento di battere ciglio. È il momento del coraggio, della determinazione e della perseveranza». 

Nonostante la delusione diffusa, diversi delegati hanno espresso la volontà di proseguire in una sessione successiva. Come riporta The Guardian, La commissaria europea per l’ambiente, Jessika Roswall, ha affermato che il risultato di Ginevra può essere una base di partenza, ma ha invitato a “essere onesti e imparare dal processo che ci ha portati fin qui”.

Intanto, i mari continuano a restituire all’uomo la plastica che vi è stata gettata. 

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