In questo periodo pensando all’Iran ci vengono in mente prima di tutto il movimento Donna, vita, libertà e la sua dura repressione, il conflitto con Israele, recentemente l’arresto e poi la scarcerazione di Cecilia Sala. L’Iran però è anche uno dei paesi che più si è impegnato a impedire accordi climatici internazionali ambiziosi ed efficaci. È stato fra i pochissimi a non ratificare l’accordi di Parigi nel 2015 e nel 2022 non ha sostenuto la risoluzione delle Nazioni unite che dichiarava diritto umano l’accesso a un ambiente pulito, sano e sostenibile.

Recentemente si è opposto anche a un importantissimo accordo globale per diminuire l’inquinamento da plastica. La bozza finale del documento doveva essere approvata nel corso del summit delle Nazioni unite tenutosi a Busan, in Corea del Sud, fra il 25 novembre e il primo dicembre, ma anche per colpa all’Iran l’accordo non c’è stato.

La plastica è il nostro mostro di Frankenstein, un materiale prodigioso e indistruttibile, il cui utilizzo si è introdotto in ogni aspetto delle nostre vite fino a diventare in molti campi insostituibile. Viene sintetizzata a partire da gas e petrolio, oggi se ne producono 430 milioni di tonnellate all’anno emettendo 1,8 miliardi di tonnellate di CO2.

Riciclarla è molto complicato, tanto che a livello globale se ne ricicla solo il 9 per cento. Il pianeta intero è cosparso di cumuli giganteschi di rifiuti che non sono biodegradabili ma si frantumano in microplastiche e invadono l’acqua che beviamo e quello che mangiamo. Insomma, ci sta soffocando e non sappiamo come liberarcene.

Per questo nel 2022 è stato fondato il Comitato intergovernativo di negoziazione (Inc) con il compito di stilare un trattato condiviso e giuridicamente vincolante. Ma come dicevamo l’accordo è saltato e i colloqui dovranno continuare per altri due anni, ritardando di molto l’azione su una questione così impellente.

Un settore strategico 

L’industria plastica iraniana è una delle poche realtà economiche che prosperano nonostante le sanzioni internazionali che affliggono il paese. Grazie a enormi riserve di gas naturale scoperte negli anni Ottanta, l’Iran è oggi il principale esportatore mondiale di metanolo, una materia prima fondamentale per la produzione di plastica. Non sorprende, quindi, che la plastica rappresenti una parte molto significativa delle esportazioni iraniane.

Contribuisce per quasi il 2 per cento al Pil nazionale, fornisce posti di lavoro in alcune delle province più povere del paese e attira valute estere necessarie per cercare di contenere l’inflazione in aumento. La disponibilità di valuta estera è fondamentale per importare beni di prima necessità come grano e riso, e permette alla Banca Centrale iraniana di intervenire sul mercato e acquistare il rial, sostenendone così il valore nel tentativo di tenere sotto controllo il costo della vita.

Inoltre, gran parte dell’industria petrolchimica si trova nel sud del paese, vicino alle riserve offshore di gas necessarie per produrre plastica e vicino ai porti da cui può essere esportata verso paesi come Cina, India e Turchia. Proprio in questa regione così strategica e ricca di materie prime vivono minoranze religiose ed etniche particolarmente povere e in aperta opposizione al governo.

Fra il 2022 e il 2023 hanno partecipato attivamente alle rivolte per la morte di Mahsa Amini e nel 2021 la regione del Khuzestan era stata attraversata da fortissime proteste per la crisi idrica e il diritto all’acqua potabile. Per il governo iranianao si tratta di un’area delicatissima e una riduzione della produzione di plastica potrebbe portare altre turbolenze e rivolte.

Ma, al di là dell’importanza locale in termini economici e di stabilità per il paese, a giocare un ruolo fondamentale c’è anche il piano geopolitico. L’Iran è un attore chiave nel settore energetico mondiale, sia come produttore di petrolio e gas, sia come fornitore di materie prime per l’industria plastica. Il controllo di queste risorse garantisce il suo potere internazionale.

Gran parte della sua influenza deriva dalla capacità del paese di esercitare un controllo sulle risorse energetiche globali. Limitare la produzione di plastica a livello globale minerebbe una delle sue principali leve geopolitiche, riducendo drasticamente il peso dell’Iran nei trattati internazionali.

Le iniziative interne

In realtà internamente il governo iraniano ha iniziato a prendere alcune misure per ridurre i rifiuti di plastica anche grazie alla forte campagna di sensibilizzazione portata avanti dall’ex vice capo del Dipartimento dell’Ambiente dell’Iran e ora direttore dell’Istituto delle Nazioni Unite per l’Acqua, l’Ambiente e la Salute Kaveh Madani.

Secondo il sito Cimate Home News, Madani avrebbe anche dichiarato che l’Iran è preoccupato per l’inquinamento da plastica proprio come gli altri paesi: ma con un’economia tenuta così sotto pressione dalle sanzioni sarebbe impensabile prendere misure che metterebbero a rischio la sua sopravvivenza. Lasciando il forte sospetto che per rivoltare l’economia globale in modo da abbandonare realmente i combustibili fossili (e la plastica) vadano ripensati a monte i rapporti internazionali, sia economici che politici.

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