Secondo il Rapporto sulla sostenibilità ambientale 2024, pubblicato pochi giorni fa da Microsoft, nel 2023 le emissioni di biossido di carbonio dell'azienda sono aumentate di quasi il 30 per cento. Questo incremento rappresenta un problema non da poco per un’azienda che, a gennaio 2020, aveva ufficialmente annunciato di puntare alla neutralità carbonica entro la fine di questo decennio.

La crescita delle emissioni si può principalmente attribuire – parliamo di una quota intorno al 96 per cento — alle emissioni indirette (le cosiddette “Scope 3”) derivanti dalla costruzione di data center aggiuntivi per soddisfare la crescente domanda di servizi cloud da parte dei clienti. Tale espansione è avvenuta in concomitanza con l'aumento dell’impegno dell’azienda di Bill Gates nel campo dell’intelligenza artificiale, culminato, lo scorso anno, con un investimento di 10 miliardi in OpenAi, la società dietro al successo di ChatGpt.

L’annuncio dei dati di Microsoft è solo l’ennesima conferma del fatto che – se la si considera nella sua interezza – la filiera di produzione dei grandi modelli dell’intelligenza artificiale appare attività estremamente pesante sotto il profilo dell’impatto ambientale. Microsoft non è certo il primo colosso della tecnologia a essere messo di fronte all’incoerenza tra gli ambiziosi piani green sbandierati qualche anno fa e la volontà, oggi, di giocare un ruolo di primo piano nel campo dell’Ai.

Puntare alla luna

Nel corso di un’intervista con Bloomberg uscita all’indomani della pubblicazione dei dati, il presidente dell’azienda di Seattle, Brad Smith, ha sintetizzato con efficacia la natura dilemmatica della situazione: «Nel 2020 – ha dichiarato Smith – abbiamo presentato quello che abbiamo definito il nostro “carbon moonshot” (moonshot, lancio sulla luna, è un’espressione idiomatica che dà il senso dell’ambizione e delle difficoltà di un progetto, ndr). Tuttavia se si considerano le nostre stesse previsioni sull’aumento dei bisogni elettrici connessi all’intelligenza artificiale, si capisce che, per molti versi, oggi la luna è cinque volte più lontana di quanto fosse nel 2020».

Le ragioni per ritenere che questa nuova e accresciuta distanza tra il dire e il fare verrà colmata in tempi brevi non sono molte. Sebbene regni ancora molta confusione su questi temi, la realtà è che siamo nel pieno di una fase di profonda, e globale, transizione tra due paradigmi tecnologici e computativi.

La cosiddetta “età dell’informazione” digitale da cui proveniamo e quella della “intelligentizzazione” verso cui andiamo, si basano su due infrastrutture della computazione che sono molto diverse dal punto di vista tanto qualitativo che quantitativo.

È dunque necessario costruire, da zero o quasi, un’intera infrastruttura a supporto di tale transizione. Un po’ come negli anni Sessanta e Settanta è stato necessario costruire dal nulla un’industria dei computer o, negli anni Novanta, si è rivelato indispensabile riempire di cavi il pianeta per permettere il funzionamento della rete internet.

Costi ambientali

Come sempre, la costruzione di grandi infrastrutture, anche quando servono a produrre e distribuire servizi a prima vista immateriali, ha dei costi che non sono ovviamente solo economici ma anche ambientali. La costruzione di migliaia di data center non poteva fare eccezione. Specie perché il tutto sta avvenendo in pochissimi anni. Il caso Microsoft è in tal senso esemplare. Gran parte delle emissioni indirette prodotte dall’azienda sono legate all’aumento del consumo di materiali edilizi, semiconduttori, acciaio e altre leghe di metallo per la costruzione dei server e così via.

È plausibile immaginare che terminata questa intensa fase di espansione infrastrutturale, i picchi di emissione connessi saranno minori e meno frequenti. Tuttavia, resterà sul terreno il tema dell’addestramento, del mantenimento e dell’utilizzo delle intelligenze artificiali che richiedono processi estremamente intensivi dal punto di vista dei consumi di energia.

Per non parlare del fatto che lo sviluppo di intelligenze artificiali sempre più sofisticate dipende dallo sviluppo di chip che lo siano altrettanto e, per numerose ragioni tecniche, la manifattura di questo tipo di chip è un processo che ha, per esempio, un consumo idrico estremamente elevato. Il quale non viene però sempre contabilizzato a “carico” della filiera dell’intelligenza artificiale.

Nel frattempo, la prossima data utile per capire come si muoverà l’industria e che tipi di impatti complessivi è possibile attendersi è il prossimo messe. Ovvero quando due dei maggiori provider di servizi Ai in cloud, Amazon Web Services e Google, presenteranno i loro ultimi conti in fatto di emissioni.

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