L’Italia si è dotata di una visione strategica per oltre un terzo del proprio territorio, un’area enorme alla quale in tanti non badano e che in pochi conoscono: quella coperta da boschi. Si tratta della Strategia forestale nazionale, che in questi giorni è uscita in Gazzetta ufficiale, documento realizzato dal ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali di concerto con i ministeri della Transizione ecologica e della cultura, in ottemperanza del Testo Unico in materia di foreste e filiere forestali del 2018.

È una novità che gli addetti ai lavori aspettavano da decenni, per un auspicato cambio di passo dall’abbandono colturale molto diffuso di oggi, che porta con sé problematiche idrogeologiche, sociali e rischio incendi, a una gestione più attiva che sappia cogliere le sfide della bioeconomia, che vede ad esempio il legno come protagonista, mantenendo al tempo stesso un’adeguata tutela ambientale.

Un sentiero difficile

Il risultato raggiunto dalla direzione Foreste del ministero, nata dalle ceneri del Corpo forestale dello stato cancellato dalla riforma Madia nel 2015, è tutt’altro che banale se si pensa che, soltanto sette anni fa, a Roma non esisteva neppure un ufficio con il compito di coordinare le politiche di questo settore.

La Strategia rappresenta il primo anello di una catena di obiettivi e azioni prioritarie che, a partire dallo stato, dovranno scendere a cascata alle regioni e infine al territorio, valle per valle, attraverso gli strumenti pianificatori. Saranno così definite per le nostre foreste sia le attività di valorizzazione economica che le azioni di conservazione, ed è su questo dualismo che si giocherà la vera partita.

Leggendo la Strategia forestale nazionale sembra di camminare in bilico su un crinale affilato, un sentiero difficile ma sul quale era necessario procedere, perché non esistono altre strade se si vuol puntare all’alto compromesso della sostenibilità.

Le foreste sono infatti, per tutti noi, tante e diverse cose assieme: paesaggio, acqua potabile, cibo, cultura, spiritualità, sport e tempo libero, biodiversità, protezione idrogeologica, serbatoio di carbonio, ma anche fonte di legno, quindi materia prima ed energia rinnovabile.

In due parole: “servizi ecosistemici”, tanti e tutti essenziali, specialmente nel contesto della crisi climatica e della spinta alla decarbonizzazione, ma tutt’altro che semplici da valorizzare insieme. Per questo serviva darsi una strategia, il più possibile condivisa ma al tempo stesso concreta.

“Gestione sostenibile” 

Secondo Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem), «si tratta finalmente di un documento operativo, con scritte nero su bianco tutte le cose da fare nei prossimi vent’anni e con i primi 30 milioni di euro già disponibili per partire. Il tema chiave è la gestione attiva e la valorizzazione anche economica dei territori boscati, un’occasione che la montagna non può perdere».

Ma la Strategia forestale nazionale è qualcosa di molto più articolato e complesso, perché tocca anche delicate questioni ambientali, sociali ed etiche. Antonio Nicoletti, responsabile Aree protette di Legambiente, vede in questo documento l’opportunità di modernizzare un mondo storicamente marginale e spesso chiuso su sé stesso: «La nostra parola chiave è multifunzionalità, riuscire a far convivere le esigenze della bioeconomia con la conservazione della natura. Servono boschi produttivi ma anche riserve integrali dove favorire la biodiversità, così come sono necessarie foreste adatte alla fruizione, all’ecoturismo. La Strategia ha in sé questa visione larga e apparentemente condivisa, che è in linea con quella europea, ma attenzione, perché si tratta di un equilibrio instabile, che rischia di rompersi se prevarranno interessi di parte».

Quello di “gestione forestale sostenibile” è un concetto molto ampio ma spesso percepito, paradossalmente, come una coperta troppo corta, che il mondo produttivo e quello ambientalista tendono, caso per caso, a tirare dalla loro parte.

In realtà è l’unico, vero strumento che abbiamo per trovare un equilibrio: ottenere beni materiali dalle foreste per perseguire un’economia circolare a basso impatto e al tempo stesso creare condizioni per non perdere biodiversità e incrementarla dove occorre.

Gestire sostenibilmente le foreste significa innanzitutto garantirne la presenza per le generazioni future, e non è poco se pensiamo alla deforestazione e al degrado ambientale in atto in molte aree del pianeta, spesso le più povere, dalle quali oggi importiamo buona parte del legno che alimenta le nostre industrie.

Se si lavora nella sostenibilità, anche laddove si produce legname, non c’è e non ci sarà mai deforestazione: il bosco, a seguito di un intervento selvicolturale corretto, continua a essere presente e, lavorando bene, ad aumentare di complessità.

Pianificazione

Significa anche operare in un regime di pianificazione, oggi troppo carente in Italia, dove a ogni area boschiva è assegnato un ruolo prioritario (produzione, protezione, conservazione, fruizione), senza tuttavia dimenticare la multifunzionalità complessiva ed intrinseca di ogni foresta.

E infine significa conoscere, sempre di più e sempre meglio, il nostro patrimonio verde, attraverso ricerca scientifica multidisciplinare, monitoraggio, confronto e partecipazione attiva tra tutte le parti, dall’industria del legno alle associazioni ambientaliste.

La Strategia forestale di cui il nostro paese sta per dotarsi, basata sui concetti di Gestione forestale sostenibile e di multifunzionalità, appare equilibrata e condivisa, ha il coraggio di guardare oltre l’attualità senza la paura di affrontare le sfide del futuro, ma l’equilibrio instabile di cui parla Nicoletti è una minaccia reale.

Adesso tocca alle regioni, che dovranno recepirla e metterla in pratica sui territori, e alla classe politica attuale e futura, che dovrà accettarne la visione prospettica, che scavalca cariche e mandati ed è trasversale rispetto ai ministeri firmatari.

L’auspicio è che prevalga la volontà di coordinarsi e di collaborare, ma il grande rischio è che le parti in gioco, d’accordo sui grandi principi generali, procedano poi in ordine sparso sui territori, seguendo logiche e dinamiche tutt’altro che strategiche.

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