Il più grande produttore di petrolio della Cina ha iniziato a perforare nel remoto deserto del Taklamakan, la crosta terrestre, con un buco che dovrebbe raggiungere una profondità di oltre 10mila metri. Se riuscirà nell’intento, il pozzo trivellato sarà tra i più profondi mai perforati e potrebbe fornire ai ricercatori nuove importanti informazioni geologiche e, se esistono, l’accesso a riserve di petrolio ultra-profonde.

Il pozzo cinese

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Secondo l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, la China National Petroleum Corporation ha iniziato a trivellare il pozzo il 30 maggio. Il rapporto afferma che il vero obiettivo è quello di arrivare a 11.100 metri, ma sarebbe già una grande impresa toccare i dieci chilometri di profondità. Il pozzo, situato nella regione autonoma uigura dello Xinjiang, nel nord ovest del paese, sarà il più profondo della Cina e tra i più profondi mai realizzati dall’uomo. 

Il buco che ha raggiunto la massima profondità mai ottenuto è il Kola Superdeep Borehole che arrivò a 12.262 metri, realizzato dalla Russia nella sua regione nordoccidentale, la cui realizzazione richiese circa 20 anni. Ma Sinopec (un gruppo petrolifero e petrolchimico cinese, controllato per il 75 per cento dal governo tramite la Petrochemical Corporation), anch’essa coinvolta nel progetto, ha dichiarato che mira a perforare questo nuovo pozzo a tempo di record. Il piano infatti è quello di raggiungere la massima profondità in 457 giorni. L’agenzia Xinhua afferma che il fondo della perforazione toccherebbe rocce formatesi durante il periodo Cretaceo, tra 66 e 145 milioni di anni fa.

In un discorso del 2021 il presidente cinese Xi Jinping definì la Terra profonda una delle quattro frontiere strategiche per la comunità scientifica del paese. All’epoca, Yigang Xu dell’Accademia cinese delle scienze affermò che la nuova attenzione all’esplorazione geologica profonda era ed è stata guidata principalmente dalla necessità, per la Cina, di ridurre la dipendenza dalle importazioni di minerali, metalli, petrolio e gas. Il bacino del Tarim dello Xinjiang contiene alcuni dei giacimenti petroliferi più grandi e profondi della Cina e non a caso Sinopec ha realizzato altri pozzi ultra profondi in altre parti della regione. Tra questi il giacimento di petrolio e gas di Shunbei, dove la società afferma di aver perforato 49 pozzi più profondi di 8000 metri. Il progetto di perforazione potrebbe anche offrire ai ricercatori informazioni sulla geologia unica del bacino del Tarim. Il bacino raccoglie l’acqua drenata da tre catene montuose e si pensa si sia formato durante la chiusura dell’oceano Paleo-asiatico più di 200 milioni di anni fa.

Tra i geologi del mondo occidentale tuttavia, c’è un certo scetticismo. «Assomiglia molto a un progetto di trivellazione petrolifera industriale piuttosto che a un progetto di trivellazione scientifica», afferma Edward Sobel dell’università di Potsdam in Germania. «I pozzi di ricerca di solito si sforzano di non trovare petrolio e gas, per avere campioni di rocce estremamente puliti». Sobel afferma tuttavia, che il progetto di perforazione potrebbe anche offrire ai ricercatori informazioni sulla geologia unica del bacino del Tarim se la perforazione prevede la raccolta di campioni di carotaggio non alterati e l’esecuzione di misurazioni geofisiche. Sobel afferma che il bacino stesso ha più di un miliardo di anni, con un substrato roccioso stabile ricoperto da centinaia di milioni di anni di sedimenti e questo potrebbe essere un libro geologico di grandissimo interesse se venisse letto con tutti i crismi scientifici

SpaceX ci riprova 

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È ancora vivo il ricordo dell’esplosione di Starship sopra i cieli del Golfo del Messico quando sperimentò la più imponente astronave mai costruita dall’uomo e già si sta preparando l’astronave che la seguirà: il vettore (chiamato dai più “booster” numero 9) e la nave spaziale S25. Questo lancio, stando ad alcuni tweet di Elon Musk, avverrà tra fine luglio e agosto e si concentrerà soprattutto sulla convalida delle capacità del booster. 

Nel frattempo si stanno concludendo i lavori di riassestamento della piattaforma di lancio che ha subito gravi danni al momento del lancio di S24, quando si accesero contemporaneamente 31 dei 33 motori di cui sono dotati questi vettori, i quali con la loro potenza di fuoco, hanno creato un vero cratere sotto la rampa di lancio. In queste settimane si sono trovate le soluzioni perché ciò non accada più in futuro. Inoltre si vuole evitare il lancio di detriti come durante la prima partenza, quando hanno raggiunto le centinaia di metri, mettendo delle paratie in acciaio che saranno raffreddate con torrenti di acqua.

Tutto questo richiederà ancora qualche settimana prima che tutto sia completo. Ci vorrà poi circa un mese di prove dell’astronave prima di vedere il lancio di Starship 25. Questa astronave sarà ancora “primitiva” ossia poco adatte ad un volo nello spazio e a un rientro sicuro nell’atmosfera, ma servirà per testare al meglio il booster 9.

Non appena si arriverà a regime sia il booster che la nave spaziale vera e propria saranno riutilizzabili per un gran numero di voli (si parla anche di 100 voli). Intanto tutta la base di SpaceX, Starbase, è in fase di ampliamento, mentre si lavora al Kennedy Space Center per costruire anche lì una base di lancio.

Italia ed Emirati alla scoperta degli asteroidi

Ampliare la nostra comprensione sulle origini e sull’evoluzione degli asteroidi primordiali ricchi di acqua e gettare le basi per una possibile futura estrazione di risorse. Sono questi gli obiettivi principali della missione dell’Agenzia spaziale degli Emirati Arabi Uniti. Con questa missione volerà lo spettrometro italiano Mist-A (Mwir Imaging Spectrometer for Target-Asteroids), finanziato dall’Agenzia spaziale italiana in collaborazione con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf).

Il lancio della missione è attualmente previsto il 3 marzo 2028 con destinazione la cintura degli asteroidi, ossia la fascia ricca di asteroidi che si trova tra Marte e Giove. Saranno sei gli asteroidi sturiate durante altrettanti incontri ravvicinati. Dopo un viaggio di 6 anni, Ema raggiungerà il settimo asteroide, 269 Justitia, un oggetto di circa 53 chilometri di diametro, e per circa sette mesi la missione orbiterà attorno a esso per compiere un’esplorazione della sua superficie e per selezionare possibili siti di atterraggio del modulo di superficie.

Lo strumento italiano Mist-A avrà il compito di caratterizzare la composizione della superficie e le proprietà fisiche degli asteroidi primordiali che verranno raggiunti dalla sonda, eseguendo la mappatura spettrale nel medio infrarosso tra due e cinque micron delle loro superfici illuminate e raggiungendo una risoluzione spaziale al suolo inferiore ai 20 m/px su 269 Justitia. Mist-A condivide il design e alcuni componenti ben collaudati con lo strumento dell’Asi Jiram, attualmente in funzione a bordo della missione Juno della Nasa su Giove.

Spiega Gianrico Filacchione, ricercatore Inaf a Roma: «269 Justitia è particolarmente intrigante poiché mostra delle proprietà spettrali inconsuete rispetto agli altri oggetti della fascia degli asteroidi: la sua bassa riflettanza in luce visibile ed il colore fortemente arrossato lo rendono infatti più simile agli oggetti trans-nettuniani che orbitano oltre l’orbita di Nettuno piuttosto che agli altri asteroidi. Inoltre, orbitando tra 300 e 450 milioni di chilometri dal Sole evolve ciclicamente attraverso la frost-line, la distanza al di sotto della quale il ghiaccio d’acqua sublima a causa dell’innalzamento della radiazione solare instaurando un’attività simile a quanto avviene nelle comete. Queste evidenze portano a supporre che 269 Justitia possa essere un oggetto formatosi nelle regioni più esterne del sistema solare e successivamente trasferito nella fascia degli asteroidi. Con queste premesse, possiamo aspettarci molte sorprese».

Quali potrebbero essere tali sorprese? Risponde Mauro Ciarniello, ricercatore Inaf a Roma: «Diversi asteroidi primitivi fin qui esplorati dalle missioni spaziali (Dawn, Hayabusa, OsirisRex) hanno mostrato le segnature spettrali di carbonati, fillosilicati, sali ammoniati e materiale organico. Tutti questi minerali sono identificabili dallo spettrometro Mist-A grazie alla sua elevata sensibilità nella banda infrarossa. Infine, le misure nell’intervallo spettrale a lunghezze d’onda comprese tra circa 3,5 e cinque micron saranno di interesse per poter ricavare la temperatura superficiale degli asteroidi a diverse ore locali».

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