Non ci sono dubbi che il periodo che stiamo vivendo registra un aumento di temperatura non indifferente, la quale è ormai cresciuta di oltre un grado rispetto al periodo preindustriale. A testimonianza personale per ciascuno di noi abbiamo il ricordo, forse un po’ svanito ormai, delle forti ondate di calore dell’estate trascorsa e delle precedenti.

In inverno tuttavia, continuano a non mancare vere e proprie ondate di freddo che a volte diventano drammatiche, come quelle che hanno colpito gli Stati Uniti durante il periodo natalizio dell’anno appena trascorso o l’Afghanistan e il Giappone a fine gennaio. Fenomeni utilizzati da chi vuol negare il riscaldamento globale, i quali prendono tali eventi per sostenere che il tutto, nel suo insieme, rientra nella normalità.

Ma è indubbio che il pianeta si stia riscaldando anche e soprattutto per mano dell’uomo e dunque le ondate di freddo devono avere una spiegazione coerente con ciò che sta accadendo. L’Ipcc, nel suo ultimo rapporto, scrive chiaramente che «è virtualmente certo che vi sia stata (…) una riduzione nel numero di giorni e notti fredde a livello globale dal 1950 ad oggi».

Se questo è valido a livello generale la situazione può essere molto più mutevole a livello locale e va inoltre sottolineato che una temperatura media in aumento ovunque sul pianeta non esclude che le temperature estreme vadano ben al di sopra e al di sotto della media stessa. Le ondate di freddo dunque, non sono in contrasto con l’aumento delle temperature medie del pianeta.

Le cause del freddo

Ma perché alle medie latitudini ci possono essere periodi di freddo intenso? Lo spiega Gabriele Messori, dell’università di Uppsala e referente per Climalteranti: «L’idea di base è che vi è una forte corrente atmosferica, anche nota come “corrente a getto”, che separa le masse d’aria polari e fredde da quelle delle medie latitudini più calde.

Questa corrente crea grossomodo un cerchio intorno all’emisfero, che è chiamato “vortice”. Talora ondulazioni di questo vortice permettono alle masse d’aria fredde polari di raggiungere le basse latitudini, dando quindi luogo a periodi estremamente freddi». In altre parole si vengono a creare delle ondulazioni del vortice d’aria che permettono ad aria calda di salire verso l’artico e di aria fredda di scendere verso le medie latitudini.

Più di una ricerca ha avanzato l’ipotesi che il riscaldamento globale, che porta di per sé a un aumento delle temperature polari, abbia indebolito tale corrente al punto che le ondulazioni siano diventate più intense e in grado di raggiungere latitudini sempre più basse. Va detto però che tali ipotesi non sono mai state accettate al 100 per cento dalla comunità scientifica. 

Un braccio europeo su Marte

Un sofisticato robot europeo, noto come Sample Transfer Arm o Sta, con molta componentistica italiana, svolgerà un ruolo cruciale nella missione marziana chiamata Mars Sample Return, che mira a riportare campioni di rocce e suolo marziani nei migliori laboratori del nostro pianeta entro il 2033. 

Il braccio robotico atterrerà su Marte a bordo di un lander per recuperare piccoli contenitori a forma di tubo che il rover Perseverance della Nasa sta attualmente riempiendo di materiali e li rilascia sulla superficie in punti ben precisi. 

Il robot sarà in grado di “vedere”, “sentire” e prendere decisioni autonome, in altre parole sarà in grado di identificare, raccogliere e trasferire i tubi in un razzo posto a bordo del lander che verrà poi lanciato da Marte: il Mars Launch System. Questo razzo raggiungerà l’orbita marziana per il rendezvous con l’Earth Return Orbiter (Ero) dell’Esa, una sonda che attenderà il razzo, ne prenderà il contenuto e lo porterà sulla Terra.

«Gestire i preziosi campioni marziani e prepararli per la consegna in uno straordinario viaggio da Marte alla Terra è un’impresa straordinaria», afferma David Parker, direttore dell’esplorazione umana e robotica dell’Esa. Dopo una fase di studio e prototipazione di successo, l’azienda aerospaziale italiana Leonardo progetterà, produrrà, integrerà e testerà il braccio di raccolta dei campioni.

Questo braccio robotico è una testimonianza dell’enorme quantità di esperienza e know-how che abbiamo in Europa e in particolare in Italia. Il braccio di trasferimento del campione sarà la mano che porterà la scienza planetaria a un nuovo livello di conoscenza, permettendo di studiare sulla Terra campioni marziani senza che siano stati contaminati da altri fattori. 

Il braccio robotizzato è concepito per essere autonomo, altamente affidabile e robusto. La sua architettura imita un braccio umano con spalla, gomito e polso e ha un cervello e occhi integrati. Il robot può eseguire un’ampia gamma di movimenti con sette gradi di libertà. Un alto livello di destrezza permette al braccio di raccogliere i contenitori direttamente dal suolo marziano oppure, nel caso fosse necessario, di estrarli da un contenitore del rover Perseverance, dove ne vengono posti dei doppioni, inserirli in un contenitore e chiudere il coperchio di quest’ultimo prima del decollo da Marte. Due telecamere e una miriade di sensori lavoreranno insieme per decidere la migliore linea d’azione e coordinare i movimenti necessari. 

Le sfide legate al duro ambiente marziano, come l’abbondante polvere e le temperature estreme (-130°C/+70°C) sono una vera sfida nella progettazione e nella costruzione del braccio robotico. Leonardo è alla guida di un consorzio industriale europeo con aziende provenienti da Spagna, Francia, Romania, Danimarca, Grecia, Svizzera e Repubblica Ceca e l’Agenzia spaziale italiana (Asi) ha sostenuto il progetto sin dall’inizio. «I nostri investimenti ci consentono oggi di affermare il ruolo di primo piano che l’Italia avrà nell’esplorazione di Marte e, in particolare, nel programma Mars Sample Return», ha dichiarato il presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia.

Stella ad alta velocità 

C’è uno strano oggetto nella Via Lattea che sta sfrecciando tra le stelle ad una velocità inimmaginabile. Lo riferisce uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, secondo il quale si tratterebbe di una stella, chiamata con la sigla PSR J0002+6216, che si muove nella galassia a quattro milioni di chilometri all’ora o se si vuole a 1.120 chilometri al secondo. Con tale velocità potrebbe coprire la distanza Terra-Luna in circa sei minuti. È una delle stelle più veloci mai osservate finora.

Ma quel che la rende oltremodo affascinante è il fatto che essa ha lasciato dietro sé una nube che si sta espandendo, frutto dell’esplosione di una supernova, ossia di una stella esplosa al termine della vita. La stella è stata studiata con il telescopio spaziale Fermi che osserva il cielo ai raggi X.

Ebbene è proprio la stella che ha originato l’esplosione ad aver lasciato il suo “nido” e dopo aver sfondato gli strati esterni dell’esplosione ha iniziato a vagare nella galassia lasciandosi dietro una scia cosmica. La stella PSR J0002+6216 è una pulsar, ossia una stella di neutroni – che è quel che rimane dell’esplosione di una stella con una massa paragonabile a 13-15 volte quella del Sole – la quale ruota molto velocemente attorno al proprio asse, compiendo infatti 8,7 rivoluzioni ogni secondo.

Mentre ruota emette raggi di radiazione elettromagnetica che possono essere rilevati quando questi segnali sono rivolti verso la Terra. Se il getto di radiazione elettromagnetica si allineasse con la Terra mentre la stella ruota attorno al suo asse, la vista potrebbe rispecchiare un faro celeste. Stando a Frank Schinzel edl National Radio Astronomy Observatory che ha studiato la pulsar, si trova a 6.500 anni luce dalla Terra nella costellazione di Cassiopea. «Ora è ubicata a circa 53 anni luce di distanza dal guscio di gas che si formò quando la stella esplose e possiede una coda di gas e polveri lunga 13 anni luce», spiega Schinzel, «e si muove almeno cinque volte più velocemente di altre pulsar simili».

Quanto è complesso il clima…

Per avere un’idea di quanto sia complesso il nostro clima, e quindi quanto sia necessario seguirne l’evoluzione passo dopo passo, è utile far riferimento a due nuovi studi recentemente pubblicati che portano a due conclusioni diverse. Secondo una prima ricerca dell’università di Oxford e dell’International Institute for Applied Systems Analysis, il 2023 potrebbe superare il limite di 1,5 gradi centigradi rispetto alla temperatura del periodo preindustriale, a causa della violentissima eruzione vulcanica del vulcano Tonga avvenuta ad inizio 2022.

L’eruzione infatti, inviò nell’atmosfera enormi quantità di vapore acqueo, il quale ha una capacità di trattenere calore ancor più elevato dell’anidride carbonica. Poiché l’eruzione fu particolarmente violenta il vapore arrivò nella stratosfera e ciò significa che ci vorrà molto tempo prima che ricada a terra. I ricercatori hanno quindi introdotto nei modelli climatici tale variabile, che ha mostrato come nei prossimi anni la temperatura possa superare la soglia che ci si era imposti di non oltrepassare. Ciò deve essere monito per ridurre ancor più le emissioni umane di gas serra. Ma a far da contraltare vi è un altro studio, che dimostra come la polvere atmosferica globale – particelle microscopiche trasportate dall’aria in seguito alle tempeste di polvere dei deserti – stia contenendo l’aumento della temperatura del pianeta di questi ultimi anni legato alla produzione dei gas serra.

La ricerca dell’UCLA, pubblicata su Nature Reviews Earth and Environment, ha rilevato che la quantità di polvere sollevata dai  deserti è aumentata di circa il 55 per cento dalla metà dell’Ottocento. Lo studio ha tenuto conto sia degli effetti che la polvere possiede nell’aumentare la temperatura del pianeta, sia di quelli che tendono a ridurla, ad esempio riflettendo la luce solare nello spazio e dissipando le nuvole alte che riscaldano il pianeta. I due effetti non si bilanciano perfettamente, ma, come sostiene lo studio, l’effetto complessivo è quello che porta ad un raffreddamento. Si capisce dunque, quanto sia difficile considerare tutte le variabili nello studio del clima e quanto sia necessario, dunque, seguirne giorno dopo giorno l’evoluzione, per non arrivare a conclusioni e proiezioni errate.

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