Secondo il report della più grande organizzazione dedicata alla conservazione degli oceani, nonostante l’esistenza di un piano pluriennale per la pesca, troppi pescherecci operano in un’area con risorse ittiche insufficienti. Ciò comporta una riduzione drastica del reddito. Le raccomandazioni per far migliroare le cose
È sempre delicato l’equilibrio tra ciò che il mare ha e ciò che l’uomo preleva. In molte parti del mondo esiste ancora una sorta di “patto implicito” tra attività di pesca e ambiente marino: un dare e avere che, pur con difficoltà, resta relativamente stabile. Ma altrove questo equilibrio si è spezzato. La sovrappesca ha alterato profondamente fauna e flora, compromettendo la capacità degli ecosistemi di rigenerarsi. A volte si raggiungono veri e propri punti di non ritorno.
Uno sbilanciamento radicato
A rivelarlo è il rapporto di Oceana, la più grande organizzazione internazionale dedicata esclusivamente alla conservazione degli oceani, che analizza come il piano pluriennale per il Mediterraneo occidentale (West Med MAP) abbia inciso sull’economia delle flotte a traino dei tre paesi mediterranei (Francia, Spagna, Italia), mettendo in luce uno sbilanciamento radicato da anni: troppi pescherecci operano in un’area dove le risorse ittiche sono ormai insufficienti.
Il cosiddetto MAP è il primo piano di gestione della pesca dell'Unione europea per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile di un gruppo specifico di pesci di acque profonde - dette demersali - nel Mar Mediterraneo occidentale, promulgato nel 2019. Si focalizza in particolare su sei specie demersali: gambero viola, gambero rosa, gambero rosso, merluzzo europeo, scampo e triglia, e mira a portare la pesca mediterranea di queste specie a livelli di sfruttamento sostenibile (Msy) entro il 2025. L’Unione europea ha fissato il termine legale per porre fine alla sovrappesca al 1° gennaio 2025.
Il rapporto analizza dieci segmenti della flotta dei pescherecci da traino - di lunghezza compresa tra 6 e 40 metri - provenienti da Francia, Italia e Spagna, ed operanti nel Mediterraneo occidentale. Si basa inoltre sui dati economici ufficiali dell'Ue e sui registri nazionali delle sovvenzioni alla pesca tra il 2014 e il 2022.
L’arrivo del West Med MAP, che ha imposto riduzioni dei giorni di pesca, chiusure stagionali e obblighi di maggiore selettività, ha aggravato le difficoltà immediate, pur puntando a un beneficio futuro. E quando, nel 2022, il prezzo del carburante è esploso, i costi operativi sono diventati per molti semplicemente insostenibili.
Quello che emerge è che i grandi pescherecci francesi (oltre 24 m) ed i piccoli pescherecci italiani (meno di 12 m) sono stati costantemente in perdita per anni. Anche i pescherecci francesi (meno di 18 m), italiani (oltre 18 m) e spagnoli (oltre 18 m) sono cronicamente fragili dal punto di vista economico. Per quanto riguarda l’Italia l’unico dato stabile riguarda quello dei pescherecci di media taglia (12–18 m), che fino al 2021 ha mantenuto una discreta redditività.
Questo mette in luce la difficile transizione verde, che ricade spesso sui lavoratori di settori che si devono adattare al nuovo mondo. Sono state perciò distribuite le sovvenzioni ai tipi di pescherecci nei tre paesi. Queste nel periodo 2019-2024 ammontano a un totale di 19.238.000 euro, di cui la maggior parte proviene dall’Italia, che ne ha ricevuti ben 12.977.000 euro.
Tuttavia, molti pagamenti sono arrivati con anni di ritardo, e ciò ha lasciato scoperti i conti economici in momenti critici. Ma il punto centrale è un altro: i sussidi aiutano a sopravvivere, ma non cambiano la struttura del problema.
Inoltre, dal report emerge che tutti i segmenti italiani pagano l’equipaggio meno della media nazionale dei salari Fte. Questo rende difficile attrarre manodopera giovane e accelera la crisi strutturale del settore.
Pescherecci sempre più poveri
Il risultato è una riduzione drastica del reddito per i piccoli pescherecci italiani, che una volta facevano di questo mestiere il loro salario e ora stentano a tornare al porto con pesce sufficiente da riempire un banco.
Le imbarcazioni competono per popolazioni già sovrasfruttate, una pratica che persiste anche da prima del periodo di nove anni esaminato nel rapporto e che contraddice l'obiettivo del piano di riportare le popolazioni ittiche a livelli sani. Ciò sottolinea la natura sistemica delle sfide che il settore della pesca nella regione deve affrontare: la flotta rimane sovradimensionata e gli stock continuano ad essere sovrasfruttati, perpetuando un ciclo di instabilità economica e degrado ecologico.
«La flotta rimane sovradimensionata e gli stock ittici continuano a essere sovrasfruttati, perpetuando un ciclo di instabilità economica e degrado ecologico iniziato molto prima dell'adozione del piano di gestione per il Mediterraneo occidentale» dice Giulia Guadagnoli, Senior policy advisor presso Oceana in Europa. «Invece di spendere fondi pubblici per sostenere pescherecci non redditizi, i ministri Chabaud, Lollobrigida e Planas dovrebbero reindirizzare questi soldi verso la riduzione del numero di pescherecci ed il sostegno a una transizione equa verso pratiche a basso impatto e resilienti. Ciò dovrebbe andare di pari passo con il ripristino della salute delle popolazioni ittiche, condizione indispensabile per la prosperità a lungo termine dei pescatori».
Come migliorare
Le raccomandazioni che emergono dal report sono in primis la riduzione della flotta con piani di dimissione mirati (buyback). L’Italia ne sta avviando uno proprio nel 2025, ma i risultati economici non saranno visibili nei dati prima del 2028.
Ma anche spostare i fondi pubblici per per uscita dal settore, diversificazione e transizione ecologica; promuovere transizione a metodi meno impattanti (reti e palangari); standardizzare e rendere trasparenti i dati sui sussidi e accelerare il recupero degli stock (giorni di pesca, limiti catture, aumento selettività).
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