Sotto Milano scorrono Pfas, composti chimici tossici, cancerogeni e altamente persistenti. In particolare, come evidenziato dal monitoraggio delle acque superficiali condotte da Arpa Lombardia lo scorso anno, è stato trovato un composto prodotto in esclusiva della multinazionale belga Solvay, il C6O4.

Dopo aver incluso il composto nel monitoraggio dei Pfas, l’agenzia regionale per la protezione ambientale ha iniziato a riscontrarne ripetutamente la presenza e in concentrazioni piuttosto alte, con un picco di 1 microgrammo/litro nel settembre del 2020, sempre nello stesso punto: il depuratore di Mariano Comense nella periferia a nord della città. 

Se per Arpa non è un segreto, visto che ne ha denunciato la presenza alla commissione d’inchiesta sugli illeciti ambientali della Camera nel 2020 e ha avviato un ulteriore campagna di verifica per l’anno 2021, sembra esserlo per chi quest’acqua la utilizza.

Risalendo infatti al tessuto idrografico della città si vede come questo composto entri nel tessuto cittadino, si diluisca nella rete fognaria e scorrendo verso sud esca all’estremo opposto della città probabilmente attraverso la Vettabbia, un canale usato per l’irrigazione dei campi di riso e mais nell’area compresa tra l’abbazia di Chiaravalle e quella di Viboldone in zona San Giuliano Milanese, in pieno parco agricolo di Milano sud.

Ovvero l’area naturale protetta di 47mila ettari nata allo scopo di tutelare e valorizzare l’economia agricola a sud del capoluogo lombardo, sede di diversi presidi Slow Food e gestita dalla Città metropolitana. 

I punti oscuri

Non si può sapere con certezza in quale concentrazione il C6O4 sia presente, visto che Arpa non ha mai campionato la Vettabbia. Le analisi realizzate a valle e vicino a questa zona infatti sono state fatte con troppo o troppo poco scarto rispetto agli sversamenti per farsene un’idea.

Arpa ad esempio ha campionato i corsi d’acqua della località più vicina, Locate di Triulzi, il 15 settembre del 2020 mentre il picco di 1 microgrammo/litro di C6O4 a Mariano Comense risale ad una decina di giorni dopo il 23. Lo stesso vale per le rilevazioni di dicembre.

Il 2 l’agenzia regionale per l’ambiente campionava nei pressi del parco agricolo, mentre il 17 registrava a monte 0,8 microgrammi/litro del Pfas prodotto in esclusiva dalla multinazionale belga. 

Inoltre, non si sa a neppure perché il depuratore di Mariano Comense tratti il C6O4, se lo faccia a sua insaputa come sembra probabile o se questo sia a tutti gli effetti un rifiuto Solvay proveniente dal vicino centro di ricerca dell’azienda situato a Bollate, o dal sito di Spinetta.

Anche se è un prodotto esclusivo della multinazionale belga potrebbe essere stato affidato ad una azienda terza, mischiato con altre sostanze, buttato in discarica, percolato a causa della pioggia, raccolto e poi “depurato”. Contattato per un commento l’ente che gestisce il depuratore non ha saputo dare risposte. 

Sfugge ai depuratori

Quello che invece si sa con certezza è che si tratta di un composto talmente mobile, rispetto ad altri Pfas, da non essere trattenuto né dalle discariche né dai depuratori. 

Lo dimostra bene il caso di Mariano Comense, dove il C6O4 viene scaricato insieme ai reflui considerati depurati nella rete fognaria della città.

Per questo motivo «il fatto che sia stato trovato ripetutamente e in concentrazioni così elevate deve quanto meno spingere ad andare a misurarlo lì dove nessuno controlla, visto che il C6O4 è assorbito in misura maggiore proprio dalla vegetazione», dice Sara Valsecchi, ricercatrice del Cnr.

Non sarebbe la prima volta che un corso d’acqua utilizzato come scarico venga poi usato per l’agricoltura. In Veneto, ad esempio, il Fratta Gorzone è usato per irrigare mentre riceve i reflui provenienti dalla Miteni.

Dal punto di vista legislativo infatti, continua Valsecchi, «nonostante lo stesso corso d’acqua a monte ospiti uno scarico può essere ritenuto fonte irrigua a valle, perché sono considerate due cose distinte».

Stessa cosa  accade anche in Piemonte dove diverse aziende agricole utilizzano indirettamente attraverso pozzi o canali l’acqua della Bormida, il fiume in cui scarica il polo chimico di Spinetta Marengo. 

Il C6O4 ha gli stessi effetti del Pfoa – il Pfas che ha contaminato il Veneto – ma ha concentrazioni esterne maggiori: essendo una molecola più corta il nostro organismo la espelle più rapidamente.

Per cui bisogna essere esposti a dosi maggiori di C6O4 perché si possa accumulare a livello tale nel nostro corpo da avere gli stessi effetti del Pfoa. In questo senso preoccupa l’ampliamento concesso ad ottobre dalla provincia di Alessandria alla produzione fino a 60 tonnellate di questo composto nello stabilimento di Spinetta Marengo.

Come ha detto Marcos Orellana, il rappresentante dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani che sta indagando sul disastro ambientale provocato in Veneto, «ad Alessandria si rischia di innescare un inquinamento su larga scala peggiore di quello provocato dalla Miteni».

Peggiore perché oltre ad interessare l’area del bacino del Po, e quindi indirettamente la vita di circa 18 milioni di persone, l’ampliamento riguarda una molecola altamente persistente che non si riesce ad eliminare dal ciclo dei rifiuti.

Lo smaltimento

«Non esistono proprio le tecnologie», spiega Valsecchi. «Mentre è possibile bruciare negli inceneritori altri Pfas per eliminarli dall’ambiente, come nel caso del Pfoa o dei Pfos, nel caso invece del C6O4 parliamo di un composto che non dovrebbe neppure essere prodotto visto che non siamo in grado di smaltirlo». 

Arpa Lombardia, raggiunta per un commento, ha fatto sapere di aver compiuto diversi sopralluoghi presso il depuratore di Mariano Comense e di aver ampliato nel corso del 2021 il monitoraggio sugli impianti di depurazione delle acque reflue urbane ma non dei canali di irrigazione.

Ma al momento i dati sono ancora in corso di elaborazione e non saranno pronti prima della primavera del 2022. Inoltre, non risulta che Arpa abbia mai monitorato la presenza di questi composti nel cibo e nelle coltivazioni. 

L’assessore all’ambiente della città di Milano, Elena Grandi, ha fatto sapere di essere a conoscenza del problema dei Pfas in generale ma di non avere preso ancora provvedimenti.

Incalzata sulla presenza di C6O4 nella rete fognaria non ha saputo dare risposte affermando di non essere a conoscenza di questo particolare composto. La regione Lombardia, contattata ripetutamente, non ha ancora risposto per un commento.  

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