Il consumo di suolo continua ad essere una delle tante cenerentole d’Italia: resta ai margini dell’azione politica. Sotto i riflettori dei governi solo, e in parte, quando alluvioni e siccità travolgono persone, memorie, case, imprese, bestiame, raccolti e salute.

L’impatto sull’economia è significativo, considerando, per esempio, che secondo le stime dell’Ispra la perdita dei servizi ecosistemici legati al suolo, cioè dei benefici che il capitale naturale offre all’uomo – come materie prime, stoccaggio del carbonio, regolazione del clima - costa all’Italia 9 miliardi di euro ogni anno. E che il cambiamento climatico taglierà il Pil pro-capite del nostro paese dello 0,89 per cento nel 2030 e del 2,56 per cento nel 2050, in base alle stime del Cnr. Con buona pace delle generazioni che verranno.

Bilancio in rosso

Dal 2013 al 2023, l’Italia ha speso oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche e se dal 1944 a luglio 2023 si stimano danni prodotti da terremoti e dissesto idrogeologico per 358 miliardi di euro, solo per il dissesto idrogeologico la spesa è triplicata passando da una media di 1 miliardo all’anno tra il 1944 e il 2009 a 3,3 miliardi nel periodo dal 2010 al 2023, secondo una recente ricerca di Cresme e Ance.

Eppure, ad oggi, nonostante negli anni siano state presentate diverse proposte di legge, il Parlamento italiano non ha ancora approvato una legge sul consumo di suolo. Mentre – denuncia il rapporto Cresme – il governo Meloni ha tagliato i fondi per il rischio idrogeologico, passati, con la rimodulazione del Pnrr, da 2,5 miliardi di euro a 1,53 miliardi di cui 1,2 miliardi per l’alluvione dell’Emilia-Romagna. Lasciando alla prevenzione solo circa 300 milioni.

«Noi siamo davvero preoccupati dall'inerzia e anche dall'ambiguità che registriamo da parte della maggioranza e del Governo» sostiene Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera. «Del resto, le ragioni per le quali il nostro Paese ancora non riesce a dotarsi di una legge efficace vanno ricercate nelle posizioni di forze politiche che oggi hanno la responsabilità del Governo, che ancora negano l’esistenza e l'urgenza di far fronte ai cambiamenti climatici».

L’equilibrio del suolo – spiega Annalisa Corrado, ingegnera meccanica, ecologista e responsabile Ambiente del Pd – «è preziosissimo anche per rendere il territorio in grado di attenuare i danni degli eventi metereologici estremi dovuti alla crisi climatica. Stiamo pianificando diverse iniziative che coinvolgeranno esperte ed esperti di rilievo nazionale, associazioni di settore, amministratori regionali e locali. La prima è in programma per il 20 febbraio, ed avrà come oggetto il dissesto idrogeologico, tra siccità, crisi dei suoli e eventi estremi».

Parlamento inerte

Nella legislatura in corso sono state presentate circa dieci proposte di legge: quattro del M5S, cinque del Pd, una di Avs. Il 3 ottobre 2023 la commissione Ambiente della Camera ha iniziato l’esame della proposta di legge 1179 presentata dal Pd. Prima firmataria è Chiara Braga (tra gli altri firmatari anche Elly Schlein).

«Il testo che ho ripresentato in questa legislatura ha degli obiettivi precisi: una legge di princìpi che possa essere agevolmente attuata dalle regioni, con un regime transitorio efficace», sostiene la deputata. «Il percorso della transizione ecologica – spiega Braga – passa anche da una legge che contrasti il consumo di suolo e da una nuova legislazione urbanistica».

Durante la scorsa legislatura, le commissioni riunite Agricoltura e Territorio del Senato hanno esaminato 12 disegni di legge sul consumo di suolo. Tutti progetti che, non avendo concluso l’iter prescritto, sono decaduti a causa della chiusura anticipata della legislatura.

«Di una legge per contrastare il consumo di suolo si parla da almeno tre legislature», sostiene Rossella Muroni, presidente di Nuove RiGenerazioni - associazione nata nel 2019 per promuovere la cultura di un nuovo modello di sviluppo urbano - ex presidente nazionale di Legambiente e ex vicepresidente della commissione ambiente della Camera dei Deputati. «È un tema molto dibattuto, che vede molti remare contro: pensano che frenerebbe l’economia legata all’edilizia. Ma non capiscono che l’edilizia di oggi e del futuro è legata soprattutto all’efficientamento energetico, al miglioramento della qualità abitativa, alla rigenerazione, non certo al nuovo consumo di suolo».

Rossella Muroni è stata prima firmataria nel 2018 della proposta di legge 279. «La mia proposta di legge per fermare il consumo di suolo – ci dice – aveva come obiettivo l’introduzione di un limite all’impermeabilizzazione del territorio e il monitoraggio del fenomeno, insieme a misure per la tutela e la valorizzazione del suolo agricolo e dell’agricoltura mediterranea. Inoltre indicava alcune priorità per il riuso del patrimonio edilizio esistente e misure di incentivazione per facilitare la rigenerazione urbana. Per dare una risposta efficace in chiave di prevenzione, tutela ambientale e sicurezza, anziché di emergenza».

Riforma urbanistica

E allora quali sono nel nostro paese gli ostacoli da rimuovere per fare una legge sul suolo? Per Damiano Di Simine - responsabile scientifico di Legambiente Lombardia - «Non sono ostacoli italiani, ma generalizzati: nemmeno l’Europa è riuscita finora nell’impresa di dotarsi una direttiva sul suolo. Il problema del suolo rispetto agli altri comparti ambientali è che esso è solido e immobile: come tale, delimitato rigidamente da confini di proprietà, di giurisdizione, di sovranità, di rendita fondiaria, istituti con cui è difficile negoziare».

Secondo Di Simine le proposte di legge sono cresciute al punto che fare una valutazione comparata è opera assai ardua. «Sarebbe bene che divenissero un elemento propulsivo della riforma urbanistica, argomento tabù: ricordiamo che in Italia la disciplina urbanistica ha un impianto che risale al lontano 1942».

Su questo tema, continua Di Simine, è urgente una legge nazionale che «deve aprire sentieri percorribili per offrire ai bisogni insediativi risposte diverse da quelle che comportano consumo di suolo, da un lato sbarrandogli la strada, e dall'altro incentivando e agevolando proceduralmente i processi di recupero a partire dalle dismissioni e dal ripensamento degli insediamenti obsoleti».

Si pensi, per esempio, a come si è modificata la struttura e la composizione delle famiglie e, di conseguenza, osserva Di Simine, «la tipologia abitativa richiesta rispetto a quella reperibile sul mercato, che in gran parte fa ancora riferimento al modello della famiglia allargata di impianto patriarcale, o agli anni del baby boom».

La risposta alla crisi climatica e ai danni della perdita di suolo non può essere un patchwork di norme regionali. Ma leggi nazionali, che diano la bussola. A cominciare da quelle sul suolo e sul governo del territorio. E fuori da una logica di emergenza. Leggi non più rinviabili.

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