«Non imbrattiamo i muri oggi», dice il volantino di Ultima generazione, una frase nella quale «oggi» va letto con una particolare enfasi. «Oggi» (sabato 22 aprile ndr) i membri del movimento che a Padova è addirittura accusato di essere una associazione a delinquere fanno i bravi, negoziano ogni passaggio con questura e Digos e mostrano la loro faccia allegra.

L’hanno chiamata Festa della fine del mondo, è la loro manifestazione per la Giornata della Terra, dentro una coalizione chiamata Non paghiamo il fossile. In pratica è una via di mezzo tra un lungo corteo politico, un rave autorizzato e una colorata street parade sul modello aspirazionale di quelle di Zurigo e Berlino.

Per Ultima generazione è un esperimento comunicativo ed estetico: uscire fuori dalla zona di comfort abituale delle azioni impacchettate per i media e i Tg, andare oltre la cupezza del loro linguaggio fondato sulla paura e costruire nuove alleanze politiche e sociali. È un sabato di fine aprile ma a Roma fa caldo come se fosse giugno, al concentramento mattutino di piazzale Ostiense si vede anche il leader di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, alla ricerca quasi sentimentale di uno degli ultimi contenitori di conflitto in Italia.

Dice: «Nel rispetto dei reciproci ruoli, vogliamo essere un punto di riferimento per questi attivisti, contro la repressione del governo ma anche contro l’ipocrisia perbenista degli altri partiti, questi ragazzi ci ricordano che a sinistra non si può fare politica senza conflitto». Poi si allontana prima che il corteo parta, per «precedenti impegni».

Un sabato qualunque

Fuori dalla metropolitana Simone Ficicchia, vent’anni, distribuisce volantini e parla con ogni passante che abbia voglia di fermarsi. A inizio anno, con i presidi contro la richiesta di sorveglianza speciale (respinta) nei suoi confronti, questo studente di storia dai modi impacciati è diventato l’attivista più noto del movimento, i volantini che distribuisce hanno la sua faccia sopra, lo fa notare lui stesso con imbarazzo.

Spiega così le ragioni della giornata: «Abbiamo organizzato una manifestazione autorizzata per coinvolgere le persone che non se la sentono di fare disobbedienza civile ma sono attente alla causa, abbiamo scelto il filo della cultura del rave per il suo significato ecologista».

Ultima generazione che fa un rave per le vie di Roma sembra in effetti un pacchetto costruito per toccare tutti i bottoni che possano far arrabbiare il governo Meloni. L’attenzione però è distolta dalle polemiche sul 25 aprile, il sabato romano e la Giornata della Terra scorrono tutto sommato indifferenti all’evento, gli unici a fermarsi, provare a capire e scattare foto sembrano essere i turisti, il giorno dopo è difficile trovare traccia della protesta anche sulle cronache locali.

È anche un effetto della scelta di Ultima generazione di alzare così tanto, in così poco tempo, l’asticella del conflitto: dopo le incredibili scene che hanno offerto in questi mesi è difficile farsi notare con uno dei tanti cortei che attraversano Roma ogni giorno.

Un esperimento

La Festa della fine del mondo infatti riesce a metà, si aspettavano una partecipazione nell'ordine di qualche migliaio di persone, ne arrivano qualche centinaia, ma la giornata vale appunto come esperimento, per capire cosa è, cosa crede di essere e cosa vuole diventare quello che nel giro di pochi mesi è diventato il movimento ambientalista più noto e discusso d’Italia.

Sono una piccola organizzazione di pochissime persone che, con un’ingegneria comunicativa che sarà studiata per anni, è riuscita a proiettare sulla società italiana un’ombra molto più vasta delle sue reali dimensioni. Hanno fatto tanto con poco, ora hanno raggiunto un limite di crescita, quello che arriva con le domande: cosa viene dopo? E cosa potremmo fare se fossimo molti di più? E così il rave romano serve a provare un’operazione più difficile che usare i media a proprio vantaggio, cosa su cui sono stati obiettivamente imbattibili: diventare l’architrave di un movimento più ampio che abbia ecologia e clima al suo centro.

In tanti ci hanno provato negli ultimi anni, ma tutti hanno imparato che la cultura politica italiana, fondata sul litigio, l’orticello e la discussione sull’infinitesimale, non è il campo ideale per l’intersezionalità delle cause. Per Ultima generazione non è facile nemmeno stare nel campo della sinistra a sinistra dei partiti: per i centri sociali sono troppo poco anticapitalisti, per gli anarchici sono troppo strutturati e verticali, per i collettivi sono troppo individualisti.

Le grandi organizzazioni ambientaliste storiche li ignorano (e un po’ li temono), non c’è nemmeno Fridays for Future, impegnato in questa fase nella sua assemblea nazionale e alla ricerca di un nuovo ruolo, ora che hanno smesso di essere la novità. E così oggi Ultima generazione è un’avanguardia senza un vero fronte popolare dietro.

Extinction Rebellion

È una fase che stanno affrontando molti movimenti per il clima. Negli stessi giorni Extinction Rebellion nel Regno Unito sta attuando la sua metamorfosi: niente più blocchi stradali o ostinata ricerca del conflitto, ma allargamento di alleanze.

A Londra sono riusciti a raccogliere 200 organizzazioni ambientaliste e politiche, a portare in piazza 60mila persone davanti a Westminster, incluse celebrità come la scrittrice Zadie Smith, il musicista Brian Eno e Bianca Jagger.

In Italia Ultima generazione ha strappato qualche endorsement da talk show, incluso quello a sorpresa di Morgan a Cartabianca, ma poi in piazza e alle azioni sono sempre da soli. La via di Extinction Rebellion per tornare a portare le masse in strada è stata dire: «We quit», cioè, okay, la smettiamo, non di lottare contro la crisi climatica, ma di farlo nel modo in cui lo abbiamo fatto finora, tutto alla ricerca dello strappo e del disagio.

Per Ultima generazione il messaggio chiave invece è «il coraggio di non piacere». Era la risposta a Carlo Calenda che gli aveva dato degli imbecilli, ma vale come strategia generale: «Non cerchiamo consensi, piacervi non rientra tra i nostri obiettivi». Sono strategie diverse in risposta allo stesso dilemma: come comunicare a chi è fuori dalla bolla dell'ambientalismo, come trasformare l’ansia climatica in partecipazione politica.

In questo momento per Ultima generazione il costo in termini legali e personali delle azioni degli ultimi mesi è stato certo – tra denunce, fermi, indagini, fogli di via – ma è difficile misurare i risultati. Nella distrazione del discorso pubblico italiano hanno avuto il merito di tenere vivo il tema, di aver portato la causa del clima e della lotta ai combustibili fossili lì dove non era mai arrivata prima.

Un linguaggio nuovo

Loro sono soddisfatti del corteo e dei risultati della strategia. Maggio sarà intenso, hanno lasciato Roma con la promessa di fare una serie di nuove azioni. Come dice Alice Toietta «all’inizio tutto il dibattito su di noi era sulla domanda: è giusto o sbagliato protestare così? Oggi invece è slittato su: hanno ragione o hanno torto? Per noi è un cambiamento politico importantissimo, è la direzione giusta. Per questo continueremo a fare quello che stiamo facendo, la ripetizione funziona». La scommessa della loro politica dell’ostinazione continua a essere: se le persone vedranno quanto siamo disposti a mettere in gioco, forse ascolteranno quello che abbiamo da dire.

Quindi la notizia del piccolo rave romano per la Giornata della Terra è che Ultima generazione sta provando a costruire una rete politica su quel capitale comunicativo costruito con i blocchi stradali e la vernice su statue e opere d’arte, ma intanto non ha intenzione di smettere con quelle stesse azioni. E sta cercando parole nuove, un linguaggio più efficace per comunicare tutto questo.

Chloe Bertini, l’attivista che ha colorato di nero la Barcaccia, al corteo ha parlato di gioia, vita, musica come cura. Il corteo è scivolato per ore senza problemi, si è fermato per un sit-in al Colosseo e ha chiuso in piazza San Giovanni. Uno degli organizzatori ha spiegato che la piazza storica della sinistra era già occupata dal cantiere del concerto del primo maggio, quindi loro avrebbero dovuto provare a ritagliarsi un piccolo spazio su un prato più laterale per concludere festa e manifestazione: per chi ama le metafore politiche, qui ce n’è una pronta all’uso. 

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