A causa del riscaldamento globale indotto dall’uomo che sta interessando l’intero pianeta, è ormai evidente il fatto che uragani, tifoni e cicloni siano diventati sempre più intensi e, là dove colpiscono le aree abitate, più mortali. Lo studio è stato pubblicato da ricercatori dell’Università del Wisconsin, Madison, e della National oceanic and atmospheric administration (Noaa).

La ricerca ha preso in esame quasi quarant’anni di dati satellitari di tempeste di ogni genere che si sono avute a livello globale. Attraverso l’analisi dei dati, il gruppo di lavoro ha scoperto che la probabilità che le tempeste riescano a raggiungere lo stato di uragano molto violento o, in altre parole, di categoria 3 o superiore sulla scala Saffir-Simpson (che varia da 1 a 5) con venti superiori a 160 chilometri all’ora o più, è aumentata di molto negli ultimi decenni. Stando a Jim Kossin, autore principale della ricerca, il cambiamento registrato porta a sostenere che per ogni uragano che si forma esiste l’8 per cento in più di probabilità, per ogni decennio che passa, di superare la categoria 3 rispetto al decennio precedente.

Fino a pochi anni fa non si aveva la certezza che il fenomeno potesse essere imputato al riscaldamento indotto dall’uomo perché i dati temporali non erano sufficienti, ma ora, con i risultati che hanno permesso di aggiungere altri undici anni di dati, si riesce ad avere un quadro molto più significativo per comprendere le tendenze in maniera statistica.

Phil Klotzbach, climatologo specialista in uragani della Colorado State University, ha commentato lo studio: «I segnali che affermano che le condizioni climatiche stanno peggiorando sono adesso evidenti, in quanto abbiamo dati che ci portano fino a quarant’anni fa, mentre gli studi precedenti si fermavano a venticinque anni. Avere quarant’anni di dati ci permette di capire se c’è una variabilità climatica oppure se c’è un’induzione dell’uomo».

Diventando sempre più potenti e distruttive, queste tempeste possono produrre una quantità elevata di danni e morti. «I danni e la mortalità causati dagli uragani, ovviamente, sono legati a quelli di categoria oltre la 3. L’aumento della probabilità di avere un uragano di questo tipo, o maggiore, provoca di conseguenza l’aumento del rischio di danni e morti», ha spiegato Kossin.

Lo studio rivela che il riscaldamento globale sta facendo aumentare le temperatura superficiali degli oceani, luoghi in cui si formano i cicloni tropicali. Questo aumento, combinato con le variazioni delle condizioni atmosferiche, permette alle tempeste di raggiungere più facilmente intensità più elevate. Le prove dei risultati della ricerca sono numerosi. Gli scienziati riportano come esempio quel che sta avvenendo nella Baia del Bengala, dove il super ciclone Amphan ha raggiunto il valore massimo della scala Saffir-Simpson, con venti equivalenti alla categoria 5. Al suo passaggio i venti hanno raggiunto i 270 chilometri orari, velocità che porta l’uragano a essere il più forte mai registrato da quando si raccolgono i dati nel Golfo del Bengala, stando al Joint Typhoon Warning Center degli Stati Uniti.

«Non c’è dubbio sul fatto che le temperature superficiali del mare del Golfo del Bengala siano aumentate rispetto al passato e ciò, stando a quanto affermato dalla ricerca, è uno dei motivi fondamentali per interpretare l’aumento osservato della forza delle tempeste», spiega Klotzbach.

Anche il meterologo Ryan Maue ha spiegato come sino a pochi anni fa risultati simili non fossero possibili, perché a livello globale si osservava una forte mancanza di dati e, anche se presenti, erano spesso incoerenti tra loro. Da vari anni i modelli climatici avevano previsto un incremento nella forza degli uragani a causa del riscaldamento globale indotto dall’uomo, ma proprio per la mancanza di dati statisticamente significativi non si riusciva a trovare una correlazione con la realtà. Ora, secondo il meteorologo, sulla base dei modelli climatici attuali, nel prossimo futuro gli uragani potrebbero diventare ancora più violenti.

Va comunque sottolineato che, anche se il fenomeno ha come causa l’azione dell’uomo, non va esclusa l’azione dei cicli naturali che, variando in base al luogo e di anno in anno, possono aumentare o diminuire la frequenza delle tempeste e la loro intensità, come dimostrano El Niño e La Niña. Ancora Kossin: «È fondamentale tener presente che per tutti gli aspetti climatici c’è sempre un elemento naturale che può giocare un ruolo importante, oltre all’impatto dell’uomo. E purtroppo nel nostro studio non siamo riusciti a capire quanto l’aumento dell’intensità degli uragani sia da imputare all’uno o all’altro, anche se sembra certo che sia dovuto a una combinazione di entrambi i fattori». Pur con queste complessità, la ricerca aumenta di molto la fiducia nei modelli climatici e conferma che, se il riscaldamento globale (causato o meno dall’uomo) continuerà, aumenterà ancora l’intensità dei cicloni tropicali con conseguenze drammatiche là dove essi si abbattono.

La Nasa ci riporterà sulla Luna

È passato mezzo secolo da quando gli astronauti hanno camminato per l’ultima volta sulla Luna (era il 1972), lasciando impronte di stivali nella sua polvere e catturando viste iconiche della Terra. Se la Nasa realizzerà quanto ha nei suoi piani, presto dovrebbe riportare «la prima donna e il primo uomo di colore» sul nostro satellite naturale. Il programma Artemis infatti, quest’anno prevede un primo test del razzo in grado di raggiunere la Luna, chiamato Sls (Space launch system), che culminerà in una missione umana nell’inesplorata regione polare meridionale nel 2025. Sarà la prima volta che le persone metteranno piede sulla Luna da quando il programma Apollo della Nasa è terminato.

Artemis prende il nome dalla sorella gemella del dio greco Apollo, da cui prese il nome il progetto lunare degli anni Sessanta e Settanta.

Il mondo della scienza è entusiasta. Attraverso l’esplorazione umana della Luna è infatti possibile rispondere a una ricca gamma di domande che gli scienziati si sono posti dopo aver analizzato le rocce e i dati delle missioni precedenti. Ad esempio: quanta acqua è congelata nei crateri ombrosi vicino ai suoi poli e come si è formato il sistema Terra-Luna che sembra essere nato da un’antica collisione cosmica? C’è davvero tanto Elio-3 da far funzionare per secoli le centrali a fusione nucleare del futuro?

Dalla fine dell’Apollo, la Nasa ha lottato per riguadagnare slancio nel volo spaziale umano. Fatti salvi i capricci del cambiamento delle amministrazioni presidenziali e del Congresso, ha inviato dozzine di astronauti sulla Stazione spaziale internazionale, ma non ha più oltrepassato l’orbita terrestre per inviare astronauti nello spazio profondo. Nel frattempo, nessun altro paese ha inviato persone sulla Luna.

Per raggiungere la Luna non ci sono solo le difficoltà legate al razzo. La Nasa deve costruire tute spaziali di nuova generazione in grado di proteggere gli astronauti dalle gelide temperature del Polo sud lunare, e un’altra incognita è il tipo di navicella spaziale che trasporterà gli astronauti nell’ultima tappa del loro viaggio, fino alla superficie lunare, quello che durante le missioni Apollo veniva chiamato Lem (Lunar excursion module). La navicella non verrà questa volta costruita dalla Nasa, ma da una società privata, la SpaceX, con sede a Hawthorne, in California, responsabile della progettazione e della costruzione del lander Artemis.

I costi

Risolvere questi problemi richiederà ingenti somme di denaro. Si stima che ciascuno dei primi quattro lanci di Artemis, che includono tre voli con equipaggio, costerà 4,1 miliardi di dollari, mentre, secondo un rapporto dell’ufficio dell’ispettore generale della Nasa, il costo totale di Artemis fino alla metà degli anni Venti è stimato attorno ai 93 miliardi di dollari. La somma, enorme, è paragonabile al programma Apollo, che includeva sei sbarchi sulla Luna con equipaggio e costò 25,8 miliardi di dollari, circa 257 miliardi di dollari nel 2020.

Si potrebbe obiettare che la Nasa non dovrebbe continuare a costruire razzi incredibilmente costosi per ripetere un’impresa così costosa e già avvenuta. Il suo programma Moon-rocket è in ritardo di anni e decine di miliardi di dollari oltre il budget. Perché premiare tale inefficienza, soprattutto quando società private come SpaceX stanno sviluppando i propri razzi per lo spazio profondo? La risposta è che la Nasa ha la conoscenza, la stabilità e la “missione” di agenzia finanziata con fondi pubblici per aprire la strada allo spazio profondo. Inoltre, l’esplorazione spaziale umana è uno sforzo globale e Artemis è uno sforzo internazionale, con l’Agenzia spaziale europea che fornisce una parte fondamentale della navicella spaziale, la Orion, che trasporterà gli equipaggi attorno alla Luna.

Negli ultimi giorni il Giappone ha proposto a Biden di accettare la propria collaborazione al fine di portare il primo giapponese sul suolo lunare. L’invito è stato accolto con entusiasmo e il Giappone potrà non solo vedere propri astronauti sulla Luna ma anche attorno a essa, a bordo della stazione spaziale lunare Gatway. Anche la Cina sta attualmente lavorando per portare gli astronauti sulla superficie lunare (indipendentemente dagli Usa) e una serie di nazioni e società private prevedono di lanciare presto missioni senza equipaggio.

Tuttavia, il finanziamento di Artemis è ancora lontano dall’essere garantito.

La Nasa ha finanziato alcune parti del programma, come il prossimo volo di prova senza equipaggio, dal suo budget annuale di 24 miliardi di dollari, ma ora chiede al Congresso più di 7 miliardi di dollari per il secondo volo con equipaggio che dovrebbe avvenire nel 2023, per poi prepararsi allo sbarco sulla Luna.

Come altre nazioni, gli Stati Uniti devono affrontare una serie di sfide – dalla pandemia alla guerra in Ucraina ai cambiamenti climatici – che richiedono attenzione e mettono a dura prova le finanze pubbliche. Ma non c’è dubbio che tornare sulla Luna per aprire la strada a Marte è un elemento unico per dimostrare al mondo la supremazia tecnologica, e difficilmente in questo periodo gli Stati Uniti non lo sfrutteranno a proprio favore.

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