Gorgoli di bolle sotto l’acqua e versi di balenottere azzurre hanno accompagnato i passeggeri dei mezzi pubblici di Nizza dove, dal 9 al 13 giugno, si è svolta la Conferenza delle Nazioni unite sugli oceani (Unoc), co-ospitata da Francia e Costa Rica.

Impossibile non immergersi nei discorsi sulla tutela del mare anche solo passeggiando vicino a dove quasi 200 paesi si sono riuniti per decidere come proteggere congiuntamente gli oceani. Ma esperti e ong pensano che le misure non siano ancora sufficienti.

L’obiettivo più atteso era quello di ottenere la ratifica del Trattato sull’alto mare, il “High Seas Treaty”. Alcune zone infatti, tra le più ricche di biodiversità, spesso non appartengono geograficamente a nessuno stato. E questo produce un vuoto legale.

Qualche speranza

A Nizza le firme sono arrivate a 50 e diversi paesi hanno promesso una ratifica nei prossimi mesi, permettendo di raggiungere le 60 necessarie per l’entrata in vigore.

Se sarà approvato si potranno creare delle nuove Aree marine protette (Amp) anche in acque internazionali. Le aree marine protette sono state al centro delle giornate francesi. Oggi, nel mondo, sono l’8,4 per cento. L’obiettivo è raggiungere il 30 per cento entro il 2030.

Se dopo le diverse Cop il morale era basso, la Unoc ha offerto qualche segnale di speranza. Samoa, Polinesia Francese, Colombia, Tanzania, Spagna, Sao Tomé e Principe hanno annunciato nuove Amp e la Grecia due nuovi parchi marini. Anche la Germania si è mossa in questa direzione e ha stanziato 20 milioni di euro a sostegno delle Amp nei paesi del cosiddetto Sud globale lanciando un fondo per la conservazione marina del valore di 400 milioni di euro.

La Francia ha dichiarato che, entro la fine del 2026, il 4 per cento delle acque metropolitane sarà sottoposto a «forte protezione», rispetto all’attuale 0,1 per cento. Sulla carta la misura appare forte ma Greenpeace e altre associazioni hanno denunciato che, nei fatti, il passaggio dallo 0,1 per cento al 4 per cento non cambierà molto per le attività di pesca. Lo stesso governo francese ha confermato che le nuove zone con protezione forte coinciderebbero, in parte, con quelle dove la pesca a strascico è già vietata.

La situazione italiana

In Italia, secondo il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase), oggi le aree marine protette sono 30 su 52 previste dalla legge quadro, per un totale di 11,62 per cento di superficie tutelata. Secondo Greenpeace la superficie realmente protetta, in realtà, è lo 0,9 per cento.

Nel calcolo del ministero, infatti, rientra anche il Santuario dei Cetacei Pelagos che, da solo, copre il 62 per cento del totale. Il Santuario tocca le acque italiane, francesi e del principato di Monaco. Durante i giorni della Conferenza, i tre paesi hanno firmato un accordo multilaterale per rafforzare la protezione di quest’area.

Si tratta di un triangolo tra Monaco, Genova e Nizza dove, «fino a 40 anni fa, la pressione di oltre 600 navi e le reti navali pelagiche decimava stenelle, capodogli, tartarughe» ricorda Giuseppe Notarbartolo di Sciara, propositore, nel 1991, del Santuario.

Ma all’interno dell’area non ci sono divieti in vigore, industrie come la pesca intensiva e il settore dei trasporti marittimi agiscono, eventualmente, in forma volontaria. «A livello di divieti magari se ne discuterà, ma per ora ci stiamo concentrando sui traguardi raggiunti», dice Silvia Sartori, consulente ambientale e portavoce del ministero dell'Ambiente. Una buona notizia è arrivata con lo stanziamento italiano di 6,5 milioni di euro per rafforzare la sorveglianza nelle Amp, e in particolare gli sversamenti di petrolio.

Areale

Green ma non troppo

A proposito di industrie fossili, tra i 13 stand tematici spiccava quello sul Gnl, gas naturale liquefatto, della CMA-CGM, la terza compagnia di trasporto marittimo al mondo e tra i finanziatori del summit. «Stiamo agendo per il pianeta» si leggeva nello spazio realizzato nella cosiddetta “green zone”, la parte della conferenza aperta al pubblico.

Molti studi, negli ultimi anni, hanno lanciato allarmi sul falso potenziale “green” del Gnl, soffermandosi sui pericoli per l’ambiente che porta con sé come le perdite di metano che, solo nel 2022, secondo i rilevamenti dell’Agenzia internazionale per l’energia, sono state 3 milioni di tonnellate.

«Come posso credere a quello che viene detto in un meeting del genere se a finanziarlo è una delle compagnie più inquinanti?», ha commentato Guillaume Picard, che ha lavorato per oltre quarant’anni come comandante delle navi e oggi è un attivista. Il media francese Reporterre sostiene che il finanziamento della compagnia alla conferenza sia stato di due milioni.

Questo articolo è stato realizzato nell'ambito del programma di fellowship Unoc 2025 organizzato dall’Earth Journalism Network di Internews.

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