Poco più di sessanta milioni di tedeschi sono chiamati al voto per eleggere i componenti del Bundestag, il parlamento tedesco. Le donne superano, di circa due milioni, gli uomini, mentre quasi tre milioni parteciperanno per la prima volta a un’elezione federale. Nelle scorse settimane gli aventi diritto hanno ricevuto una comunicazione con la quale li si avvisa di dove recarsi a votare il 26 settembre.

Viene anche proposto e incoraggiato il voto postale, che negli anni si è andato affermando (nel 2013 era poco più del ventiquattro percento, nel 2017 poco più del ventotto, con tuttavia sensibili differenze tra i vari Stati federali) e che potrebbe aumentare ulteriormente anche vista la pandemia.

Come si vota: primo e secondo voto

Le modalità di voto sono abbastanza semplici. Gli elettori ricevono una sola scheda su cui possono apporre due voti: le cosiddette Erststimme e Zweitstimme, rispettivamente primo e secondo voto. Qualcuno potrebbe essere sorpreso dalla lunghezza della scheda, un vero “lenzuolo”, per via dei tanti partiti che partecipano al voto. Tuttavia, la scheda non ha caratteristiche particolari, nemmeno per garantirne l’anonimato, e si vota con normali penne.

La scheda è divisa in due colonne. Nella parte di sinistra, gli elettori troveranno i candidati al Bundestag per la propria circoscrizione collegati ad un partito: entra in parlamento chi tra i candidati della circoscrizione ottiene più voti. Qui si registrano a volta anche sfide dirette tra i vari leader che cercano di vincere nella propria circoscrizione: a Potsdam, ad esempio, c’è la sfida tra Annalena Baerbock, candidata alla cancelleria dei Verdi e Olaf Scholz, suo concorrente socialdemocratico. Tutta la Germania è divisa in 299 circoscrizioni dove vengono eletti i primi 299 componenti del Bundestag. A determinare le candidature sono i partiti che, tramite i congressi, stabiliscono chi guiderà la contesa elettorale in ogni circoscrizione.

C’è poi la colonna di destra, di un colore diverso dalla prima, che è un elenco di partiti, e qui gli elettori hanno la loro Zweitstimme, il secondo voto, che a dispetto del nome è quello decisivo. Ammessi alle elezioni sono in totale ben quarantasette partiti, ma appena undici sono rappresentati in tutti e sedici gli stati federali (ad esempio la Cdu non è presente in Baviera, dove si presenta la Csu, e i Verdi non sono riusciti a presentare la lista nel Saarland).

In questo caso gli elettori mettono una croce sul partito che intendono votare, collegato a una lista di persone stampata sulla scheda. Queste persone e, soprattutto il loro ordine di presentazione, è stabilito da ogni singolo partito nel corso dei congressi locali. La lista è quindi “bloccata” ed è fondamentale per capire chi entrerà o meno al Bundestag: le scelte dei dirigenti sono ancora rilevantissime.

La Zweitstimme è quella decisiva perché esprime il consenso ottenuto da ogni singolo partito e, quindi, la ripartizione dei seggi in senso proporzionale. Partecipano all’attribuzione dei seggi tutti i partiti che superano la soglia del cinque per cento: ognuno di essi ottiene un numero di seggi proporzionale ai voti ricevuti ed eletti sulla base dell’ordine indicato dalla lista sulla scheda elettorale.

Ai 299 eletti nelle circoscrizioni con la Erststimme se ne affiancano altri 299 dalle liste: complessivamente dovrebbe essere rispettata la ripartizione proporzionale dei seggi stabilita dal voto popolare e così il parlamento dovrebbe contare 598 membri. Qui, però, si pone un problema: può capitare che un partito ottenga, con il primo voto, più eletti di quanti non abbia diritto secondo la ripartizione proporzionale.

Questi eletti in più sono i cosiddetti Überhangmandate, che di solito favoriscono i partiti più forti e che con la riunificazione del 1990 sono andati aumentando. Da qui l’esigenza di intervenire legislativamente per evitare un’eccessiva penalizzazione dei partiti più piccoli. Perché la ripartizione degli eletti rispecchi sempre la proporzione dei voti ottenuti dai partiti occorre aumentare il numero degli eletti anche per gli altri partiti: si tratta dei cosiddetti Ausgleichsmandate, introdotti a partire dalle elezioni federali del 2013, dopo l’intervento del Tribunale costituzionale federale.

Questo rende particolarmente altalenante il numero dei componenti del Bundestag: sono stati necessari anche interventi legislativi degli ultimi anni per evitare che il loro numero aumenti eccessivamente. Nell’ultima legislatura erano 709 e 631 in quella precedente.

Dopo le elezioni: le trattative per il governo

Il parlamento dovrà riunirsi al più tardi entro un mese dalle elezioni ma già la notte delle elezioni dovrebbe essere possibile capire quale sarà il partito che avrà raccolto il maggior numero di voti, più precisamente di Zweitstimmen, e che avrà il compito di guidare le trattative con gli altri per formare una maggioranza al Bundestag ed eleggere il prossimo cancelliere federale.

Non è detto però che il cancelliere sia necessariamente espressione del partito che ha ottenuto più voti: l’intesa alla fine va raggiunta in parlamento e, visti i sondaggi, una maggioranza potrebbe essere individuata anche tenendo fuori il partito più forte.

Un’altra novità di queste elezioni è che potrebbero produrre le condizioni per il primo governo a tre gambe, cioè sostenuto da tre forze politiche, della storia della repubblica federale. In Germania le coalizioni prendono i nomi dei colori dei partiti con i quali vengono costituite: a partire dal nero dei conservatori e dal rosso dei socialdemocratici sono possibili diverse soluzioni sulla base dei possibili partner di governo. Il giallo dei liberali, il verde dei Grünen e nuovamente il rosso, stavolta della Linke.

Le trattative per la formazione del nuovo governo e la firma del patto di coalizione richiedono diverse settimane: Willy Brandt giurò poco meno di un mese dopo le lezioni del 1969 guidando una nuova coalizione tra Spd e liberali della Fdp. Nel 1998, quando Spd e Verdi proposero agli elettori un’alternativa alla coalizione tra conservatori e liberali, le trattative durarono poche settimane: le elezioni si tennero il 27 settembre e il socialdemocratico Gerhard Schröder giurò esattamente un mese dopo.

Ma negli ultimi anni le cose si sono complicate, anche per via di esiti elettorali inattesi: una prima, breve, fase è dedicata a verificare l’intesa sui punti principali, dopodiché, se c’è consenso, si convocano tavoli tematici per entrare nei dettagli e stendere il patto di coalizione che poi non è altro che il programma di governo.

Se questa fase procede senza intoppi il patto viene presentato e di solito approvato dagli organismi interni dei partiti, tramite un congresso ad hoc o addirittura il voto degli iscritti (la Spd ha fatto così, ad esempio, sia nel 2013 che nel 2018 con la rilevante contrarietà degli Jusos, la formazione giovanile).

Angela Merkel ha avuto bisogno di poco più di due mesi nel 2005 per giurare da cancelliera con un governo di grande coalizione (che non aveva in mente e al quale fu costretta dall’esito elettorale), mentre le è bastato appena un mese nel 2009 per trovare un accordo con i liberali per una nuova coalizione giallo nero.

Nel 2013 una nuova grande coalizione è riuscita a insediarsi solo a metà dicembre mentre nel 2017 Merkel aveva tentato prima delle trattative per formare un governo con Verdi e liberali, ma il presidente della Fdp dichiarò il 19 novembre che il suo partito le considerava ormai  fallite. Merkel è stata a quel punto costretta ad avviare nuove trattative con i socialdemocratici ed è riuscita a far insediare il nuovo governo solo a metà marzo 2018, sei mesi dopo le elezioni. Un vero record.

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