Questa settimana il gruppo Arvedi ha ultimato l’acquisto dell’Acciai Speciali Terni (Ast) diventando così il più grande gruppo dell’acciaio italiano, con circa 6.500 dipendenti, un fatturato potenzialmente pari 7,5 miliardi di euro e circa 5,5 milioni di tonnellate di acciaio prodotte in un anno.

Il contratto di acquisto è stato firmato nella serata di lunedì tra i rappresentati della Thyssen Krupp, la società tedesca che controllava Ast, e quelli di Arvedi: il presidente Giovanni Arvedi, l’84enne presidente della società, e l’amministratore delegato Mario Arvedi Caldonazzo, figlio della sorella ed erede designato alla guida del gruppo familiare.

I protagonisti: i cremonesi

Il gruppo Arvedi è stato fondato dall’omonima famiglia, impegnata da generazioni nella lavorazione del ferro. La svolta nei loro affari arriva tra gli anni Settanta e Ottanta, sotto la guida dell’attuale presidente, Giovanni Arvedi. In quel periodo, la famiglia fa parte dei cosiddetti “bresciani” o "tondinari”, che producevano acciaio fondendo rottami ferrosi nei forni elettrici per farne prodotti poveri, come i bresciani Riva e Lucchini.

Questi imprenditori erano l’altra faccia della produzione di acciaio italiana, contrapposti alle grandi acciaierie pubbliche gestite dall’Iri, come l’Ilva di Taranto, che producevano acciaio partendo dal minerale ferroso, un metodo che richiede investimenti e impianti molto più consistenti, ma che produce anche lavorati di maggiore qualità.

Con le privatizzazioni degli anni Novanta, i gruppi Lucchini e Riva sono entrati nel business delle grandi acciaierie con grandi successi per i primi anni. Errori strategici e la concorrenza delle industrie di Cina ed India hanno portato all’estinzione le loro dinastie imprenditoriali nei due decenni successivi.

Il gruppo cremonese ha avuto una storia diversa. Arvedi, ha scritto su Domani Giorgio Meletti, «è rimasto fedele ai suoi forni elettrici di Cremona, ha sviluppato tecnologie precocemente verdi, adesso compra la Terni (nel frattempo passata a ThyssenKrupp) che vale meno della metà del suo gruppo. Risolta la questione della successione affidando l’azienda al suo unico erede Mario Caldonazzo, figlio di sua sorella e dall’inizio dell’anno presidente e amministratore delegato del gruppo, Arvedi adesso pensa a quotarsi in Borsa per dare al gruppo un futuro più manageriale e meno familiare».

I protagonisti: la prima acciaieria d’Italia

Fondata nel 1884, Acciai Speciali Terni è la prima moderna acciaieria italiana. Creata inizialmente per produrre acciaio per le corazzate chieste dalla marina militare, era una società formalmente privata, ma di fatto dipendente dalle commesse pubbliche. Alla fine del decennio, l’acciaieria di Terni produceva la metà di tutto l’acciaio italiano.

Dopo la crisi del 1929, l’Ast entra nell’Iri, il grande “contenitore” di società pubbliche creato dal regime fascista. Inizia così la sua lunga avventura all’interno del sistema pubblico che si concluderà con la privatizzazione del 1994 e l’arrivo delle quote di controllo alla tedesca Thyssen Krupp.

Matrimonio d’acciaio

Oggi il gruppo Arvedi produce 4,5 milioni di prodotti in acciaio al carbonio e inossidabile l’anno, ha 4.300 dipendenti e un fatturato che nel 2020 ammontava a 2,7 miliardi di euro. Ast produce circa un milione di tonnellate l’anno, con 2.300 dipendenti e un fatturato che nel 2020 ammontava a circa 2 miliardi di euro. 

Nel comunicato del gruppo Arvedi viene precisato anche che il capostipite degli Arvedi, Giovanni, è stato nominato presidente di Ast e suo nipote Mario Arvedi Caldonazzo amministratore delegato. Rimangono invece al loro posto Mariano Pizzorno e Dimitri Menicali, che sono stati confermati rispettivamente cfo e direttore di stabilimento.


 

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