La visita del governo in Algeria non poteva essere rimandata, dopo l’intesa sottoscritta ad aprile tra Eni e Sonatrach per aumentare subito i flussi di gas di 3 miliardi di metri cubi e la decisione annunciata da Sonatrach, ieri, giusto alla vigilia del viaggio di Draghi, di un altro rialzo a sei miliardi di metri cubi, fino alla fine del 2022, del flusso di gas diretto al nostro paese. Il sorpasso dell’Algeria sulla Russia come primo fornitore di gas all’Italia e all’Europa del sud, era stato segnato già a inizio anno, ora il peso di Algeri continua progressivamente ad aumentare.

I due paesi negli scorsi mesi hanno intensificato i contatti a suggellare il nuovo rapporto privilegiato – o di dipendenza, che dir si voglia – con Algeri. Che gradualmente dovrebbe aumentare. Nel 2023 i metri cubi di gas algerino dovrebbero triplicare a nove miliardi e mettere in sicurezza le forniture per riscaldare le nostre case e tenere aperte le nostre fabbriche. A maggio c’è già stata una visita del presidente algerino Abdelmadjid Tebboune in Italia e ad aprile Draghi, mentre si firmavano i contratti sul gas, aveva annunciato per il 18 e 19 luglio un vertice intergovernativo di livello politico e natura strategica, simile a quello messo in piedi con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Ad accompagnare Draghi sei ministri, Luigi Di Maio, Enrico Giovannini, Luciana Lamorgese, Marta Cartabia, Roberto Cingolani ed Elena Bonetti. A latere è previsto un incontro dedicato all’approfondimento dei rapporti economici, a cui parteciperanno, tra le altre, Enel, Eni e Cassa depositi e prestiti, queste ultime due azioniste di Saipem, che potrebbe avvantaggiarsi dei progetti di nuovi gasdotti che l’Algeria sogna attraverso il Sahara.

Un giorno in meno

La crisi di governo, però, ha costretto Draghi a ridurre il tempo della visita nel paese da cui dipende una fetta della tenuta della nostra economia. Ieri nelle stesse ore in cui filtrava da palazzo Chigi il cambio di programma e il ritorno del premier a Roma già nella serata di lunedì, Banca d’Italia informava che l’eventuale stop dei flussi di gas dalla Russia avrebbe come conseguenza «interruzioni produttive di alcune attività industriali» e brucerebbe oltre due punti di Pil «al netto di possibili risposte di politica economica» ci sprofonderebbe in recessione a partire dal 2023.

Le crisi

Lo slalom tra la crisi politica ed energetica, non è semplice, ma l’ordine di gravità è inverso. Anche perché quella energetica trascina con sé una profondissima crisi sociale. Ieri sempre Banca d’Italia ha stimato che i provvedimento finora presi dal governo, tra taglio delle accise e bonus sociale, abbiano calmierato l’inflazione riducendola di circa 1,5 punti sulla media dell’anno.

L’effetto dell’inflazione resta pesantissimo sulle famiglie meno abbienti, si mangia il 12 per cento dei percettori di reddito dell’ultimo quinto, ma senza interventi avrebbe bruciato il 20 per cento. E per questo secondo gli economisti di via Nazionale il bonus sociale progressivo resta il miglior intervento da mettere in campo, «il più efficiente nel combattere la disuguaglianza».

Ieri il presidente di Arera, l’autorità per l’energia, Stefano Besseghini, presentando la relazione annuale dell’authority che certifica tra le altre cose il calo della produzione da rinnovabili, ha chiesto che i bonus vengano potenziati a carico, però, della fiscalità generale, quindi dalle tasche di tutti, perché caricarli sulle bollette degli altri utenti renderebbe la situazione «insostenibile». Qualsiasi cosa succeda sul fronte politico, nei prossimi mesi bisognerà prendere scelte su a chi far pagare questa crisi.

L’agenda delle emergenze

A Bruxelles, la gravità della situazione sembra più chiara che a Roma. Proprio mercoledì, nel giorno in cui sono previste le comunicazioni di Draghi al parlamento e quindi il chiarimento sulle sue intenzioni a proposito del governo, la Commissione presenterà le sue indicazioni agli Stati membri sull’austerità energetica.

Il giorno dopo, invece, la Bce dovrebbe presentare lo scudo anti spread, pensato dopo la fiammata di inizio giugno del differenziale tra titoli italiani e titoli tedeschi. Ovviamente la crisi politica complicano le cose a Francoforte. Al momento il rischio si concentra soprattutto su quelli a breve scadenza e la possibilità di prosecuzione dell’esecutivo, la durata media del debito a otto anni e un sistema bancario più solido, contribuisce a mitigare l’effetto.

Ieri lo spread ha chiuso a 212 punti base. Gli analisti ipotizzano che il voto anticipato possa portarlo fino a 300. Secondo Banca d’Italia considerando i fondamentali economici il differenziale dovrebbe essere di soli 150 punti. La miopia dei partiti rischia di farci pagare ben di più, ma la verità è che al momento abbiamo crisi più gravi da affrontare.

 

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