Un interessante articolo apparso qualche giorno fa sul Financial Times evidenzia uno dei tanti paradossi che si trova a dover affrontare l’Unione Europea. L’articolo è apparentemente tecnico e rivolto agli addetti ai lavori, ma pone in realtà un problema politico per l’Europa, attore globale che si ostina a non dotarsi degli strumenti per svolgere pienamente il proprio ruolo. Gli autori notano che per la prima volta nella sua storia, principalmente a causa del programma Next Generation EU, l’Unione europea emette oggi un debito di dimensioni significative, che raggiungerà i 900 miliardi di euro nel 2026 (nel 2020 erano appena 50 miliardi). Questo avviene per la prima volta, dicevamo, perché l’Unione europea ha tra i pilastri del proprio bilancio il principio d’equilibrio: contrariamente agli Stati, in condizioni normali l’UE deve avere il bilancio in pareggio. L’emissione di debito da parte dell’Unione, quindi deve sempre passare “fuori bilancio”, attraverso veicoli finanziari costituiti per scopi specifici ed eccezionali. Fino alla pandemia, e alla creazione di Next Generation EU, questo era stato fatto per cifre trascurabili, e sui mercati circolava poco debito propriamente europeo.

Un debito non appetibile

Il debito legato a Next Generation EU è stato inizialmente plebiscitato dai mercati, che si sono litigati le prime emissioni a tassi zero o negativi; ma, nota il Financial Times, ormai il debito europeo è meno desiderato di quello di alcuni paesi membri: i tassi di interesse a dieci anni dell’UE, un debitore con il rating massimo (AAA), sono superiori a quelli tedeschi, ma anche a quelli della Francia, che ha un rating più basso (AA). Per quale motivo i mercati sono più propensi ad acquistare titoli di un debitore relativamente più rischioso come la Francia che quelli emessi dall’Unione europea? La spiegazione risiede nel fatto spesso dimenticato che anche la liquidità, vale a dire la facilità con cui un titolo può essere scambiato, contribuisce insieme al rischio a determinare l’appetibilità di un titolo. E un titolo è liquido, facilmente scambiabile, se ad ogni momento esistono acquirenti per chi vuole vendere, e venditori per chi vuole comprare. È proprio questo il problema del debito europeo oggi: certo, oggi la quantità di titoli emessi è significante, soprattutto se comparata a qualche anno fa. Ma cosa garantisce ai mercati che le emissioni di debito continueranno anche dopo il 2026, quando saranno messi sul mercato gli ultimi titoli del Next Generation EU? In altre parole, una volta chiusa questa fase, continuerà ad esistere un mercato per i titoli europei?

Insomma, gli investitori sono scettici (purtroppo a ragione) e non riescono a capire se il programma Next Generation EU è una misura isolata, figlia dell’emergenza del Covid, o se può divenire una sorta di modello per finanziare in futuro i colossali programmi di investimento necessari per la doppia transizione ecologica e digitale. Anche i mercati, insomma, cercano di prevedere se in un futuro più o meno prossimo si potrebbe materializzare una capacità di bilancio europea: un’agenzia che agendo come una sorta di ministro delle finanze sia capace di spendere e di reperire risorse, anche emettendo debito europeo.

L’urgenza di creare una capacità di bilancio europea

I lettori del Diario Europeo sanno che in questi mesi si discute della riforma della governance economica europea. Proprio nei giorni scorsi i ministri delle Finanze della zona euro hanno ribadito l’intenzione di approvare entro una regola che sostituisca il vetusto e ormai non più credibile Patto di Stabilità. Come abbiamo argomentato su queste colonne (27 agosto 2023), per essere approvata in tempi brevi la riforma sarà probabilmente un compromesso al ribasso. È probabile che il nuovo Patto di Stabilità non sarà troppo diverso dal vecchio, e non consentirà agli Stati di finanziare adeguatamente beni pubblici, politiche industriali e investimento pubblico.

Se così sarà, diventa urgente rimettere al centro della discussione sull’assetto istituzionale europeo la creazione di una capacità di bilancio centrale. Il tema è sempre stato presente sottotraccia ma fatica ad imporsi nell’agenda delle riforme europee. Si può argomentare in modo convincente (lo fa l’ex capo di Gabinetto del Commissario Gentiloni Marco Buti, in un articolo scritto con Marcello Messori) che la creazione di una capacità di bilancio centrale consentirebbe di provvedere alla stabilizzazione economica e a finanziare i beni pubblici europei con maggiore efficacia e costi minori rispetto alle politiche nazionali. Essa inoltre renderebbe più facile e più stabile il finanziamento di progetti di investimento transnazionali, anche in questo caso con un guadagno di efficienza rispetto al modello Next Generation, con il quale si cerca di ottenere la coerenza tra i piani nazionali (i PNRR) tramite condizioni sulla destinazione dei fondi.

Non solo vantaggi macroeconomici

Le (modeste) difficoltà di piazzamento delle emissioni di debito europeo vengono ad aggiungere un motivo ulteriore a favore della creazione di una capacità di bilancio centrale. Non solo essa avrebbe ovvi benefici macroeconomici e strutturali, ma contribuirebbe anche a stabilizzare i mercati finanziari. In primo luogo perché, come detto in precedenza, fornirebbe stabilmente un attivo liquido e appetibile ai mercati, riducendo i costi di finanziamento per l’UE. Poi, perché il finanziamento europeo di una parte delle politiche pubbliche consentirebbe di alleggerire il peso che grava sulle spalle dei Paesi membri, che potrebbero più facilmente tenere sotto controllo il debito. La segmentazione dei mercati finanziari europei sarebbe così ridotta e il costo del debito calerebbe per tutti. In terzo luogo, perché l’esistenza di un debito europeo permetterebbe alla BCE di vendere e acquistare titoli per regolare la liquidità del sistema senza doversi barcamenare per detenere i titoli dei diversi paesi in proporzione al loro peso economico. Infine, perché l’esistenza di un debito europeo consentirebbe di consolidare il ruolo dell’euro come una delle valute di riserva internazionali, ancora una volta garantendo stabilità e sostenibilità.

Purtroppo, dicevamo, la creazione di una capacità di bilancio centralizzata oggi non si impone come un tema urgente. Intanto perché occorrerebbe cambiare i trattati per liberarsi del principio di equilibrio che, come dicevamo, è oggi incastonato nel bilancio europeo. Inoltre, la creazione della capacità di spendere, tassare e indebitarsi a livello centrale, mentre la responsabilità elettorale di fronte agli elettori rimane a livello dei governi nazionali, richiederebbe un complesso sistema di checks and balances volti ad assicurare che non emerga un ulteriore deficit democratico europeo (che aprirebbe praterie a sovranisti ed euroscettici di estrazione varia). Sarà quindi difficile costruire il consenso su una proposta così complessa e innovativa, tra paesi europei fiaccati dalle crisi e sempre più ripiegati su sé stessi. Insomma, è un cantiere complesso, e proprio per questo va aperto urgentemente.

© Riproduzione riservata