L’aveva già detto prima della crisi di governo. Nell’ultima conferenza stampa prima della fiducia sul decreto Aiuti, Mario Draghi aveva ricordato l’importanza dei rinnovi contrattuali come pilastro del modello italiano di relazioni industriali e aveva aggiunto una postilla di inusuale indignazione: «Non è accettabile che alcuni contratti sia scaduti da tre anni, alcuni addirittura da nove anni». Ieri, calibrando ancora di più le parole, è tornato sull’argomento nel suo discorso più atteso, quello al Senato: «Occorre anche spingere il rinnovo dei contratti collettivi. Molti, tra cui quelli del commercio e dei servizi, sono scaduti da troppi anni».

Rinnovi e no

Tra un discorso e l’altro il panorama si è smosso, ma non più di tanto. I contratti di lavoro depositati al Cnel sono 959, di cui 942 nel settore privato. Di questi 550, pari al 58 per cento, scadono tra il 2021 e il 2022.

A metà giugno all’Aran è stata raggiunta la pre-intesa per l’enorme comparto della sanità pubblica che attendeva il rinnovo dalla fase pre-Covid: era scaduto nel 2018. E sempre a metà giugno è stato rinnovato il contratto chimica-farmaceutica, con aumenti medi di 204 euro, contratto su cui pure si era appuntato un mese fa l’occhio di Draghi.

Nel tessile le varie associazioni confindustriali, che raggruppano 64 mila imprese per un fatturato complessivo di 97 miliardi e 575 mila addetti, hanno tutte rinnovato i loro vari contratti. A metà luglio anche il settore minerario si è aggiunto alla lista dei rinnovi con circa 200 euro di aumento per lavoratore. Nelle ultime ore è stata poi raggiunta l’intesa per i circa 60 mila elettrici, con aumenti medi nel triennio pari a 243 euro e un incremento complessivo superiore al 9 per cento.

Sei milioni indietro

È dunque nella distribuzione, nel commercio e nei servizi, incluso il turismo, che non si riesce ad uscire dalla morta gora. Lo ha accennato Draghi e lo conferma la Banca d’Italia. È in questi settori - turismo e commercio - che si concentra la maggior parte dei circa sei milioni di lavoratori digiuni da tempo di aumenti contrattuali.

Gli ultimi ritocchi della busta paga, in media di 80 euro lordi, facevano riferimento alla situazione congiunturale del 2016 e depurata dalla componente energetica allora poco rilevante, spalmati a partire dal 2018 nel triennio successivo. Il che significa che al momento questi lavoratori perdono circa il 10 per cento delle retribuzione. E si tratta di stipendi già molto bassi, in maggior parte con part-time involontario.

Il caso più emblematico è quello del contratto vigilanza privata della Confesercenti che, scaduto nel 2015, giace fermo da sette anni. Sicuramente non è il più utilizzato tra i 550 mila dipendenti con contratti siglati da Confesercenti ma è così antico che si può pensare sia diventato fantasma.

Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini in un dibattito di questa torrida estate ha detto che «un contratto che risale al 2013 o 2015 non rinnovato praticamente non esiste più». «Sì la Cgil ci rinfaccia spesso questo contratto della vigilanza, prossimamente avvieremo il rinnovo, non ci piace non rispettare le scadenze», ci dice Mauro Bussoni, segretario generale della Confesercenti. Però non è l’unico contratto a non aver visto più la luce del rinnovo per questa organizzazione datoriale, incluso il terziario-distribuzione, il più grande, datato 2019 è quello del turismo, settore con tutti e gli otto i contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi scaduti. Bussoni spiega che il terziario sta ancora scontando le “pendenze” degli ultimi due anni pandemici, «quando la maggior parte dei dipendenti era in cassaintegrazione e tutto si è fermato».

L’incognita cuneo fiscale

«L’obiettivo è un rinnovo che tenga conto dell’inflazione che grava sui salari, ma sempre con un occhio attentissimo alle imprese in questa fase di guerra e esplosione dei costi energetici, trovando un equilibrio. Inoltre stiamo anche aspettando di capire se e quanto sarà l’inusuale intervento del governo in termini di taglio del cuneo fiscale», spiega Bussoni. Mancato rinnovo come effetto indiretto della crisi di governo.

Secondo l’ultimo bollettino della Banca d’Italia, ancora fresco di stampa, le ragioni dei mancati rinnovi contrattuali sono da ricercare nel tentativo dei datori di lavoro di ritardare al massimo gli adeguamenti in virtù dell’incertezza del quadro economico di medio periodo e nonostante i margini di profitto si siano in larga parte ristabiliti su livelli pre Covid e pre guerra. Banca d’Italia ricorda come ancora a maggio il 40 per cento dei dipendenti privati aveva il contratto scaduto.

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