Negli ultimi giorni, un numero sempre maggiore di studentesse e studenti ha deciso di protestare contro il costo degli affitti per gli universitari. Per farlo, si sono accampati nelle tende di fronte alle sedi delle università. La prima è stata una studentessa del Politecnico di Milano, seguita poi da altri, per esempio alla Sapienza di Roma.

Gli studenti chiedono risposte, e fanno bene, ma la soluzione al caro affitti non è così semplice. Innanzitutto: c’è davvero un problema?

Guardando ai dati Istat, sembra in effetti che nelle città universitarie i prezzi crescano più rapidamente che nel resto del paese. Dal 2018 a oggi, il prezzo medio degli affitti è aumentato del 7,5 per cento a Milano e del 5,1 per cento a Bologna, contro un +3,6 per cento a livello nazionale.

In fondo, però, la situazione non sembrerebbe così grave: non sembra assurdo che città che attirano così tante persone ogni anno sperimentino un aumento degli affitti superiore rispetto al resto del paese. Inoltre, questo dato non si riscontra in tutte le città universitarie: a Roma, per esempio, i prezzi sono addirittura scesi dello 0,3 per cento negli ultimi cinque anni.

I veri aumenti

I dati Istat, però, si limitano alle sole province. Quella di Roma si sviluppa su un territorio molto più ampio e comprende anche zone molto meno appetibili e mal collegate. Anche in province più “ristrette” come Milano, comunque, la variabilità delle zone è molto ampia. Meglio quindi concentrarsi su quelle più centrali.

Utilizzando i dati offerti dalla piattaforma Immobiliare.it, è possibile capire di quanto si siano alzati i prezzi al metro quadro nelle aree più affollate dagli studenti.

Con questa prospettiva, la situazione diventa decisamente più preoccupante: dal 2018 a oggi, gli affitti nel centro di Milano sono cresciuti del 34 per cento in media. A Bologna centro, la crescita media dei prezzi al metro quadro ha raggiunto il 55 per cento. La situazione a Roma rimane moderata: più 5 per cento in cinque anni.

Le radici del problema

Il caro affitti ha riguardato la maggior parte delle città universitarie, soprattutto dopo la pandemia. Quelle in cui la situazione è peggiorata di più, però, hanno delle caratteristiche in comune: stanno diventando sempre più zone in cui si accentra l’attività economica dell’area di appartenenza (è il caso di Milano per la Lombardia e l’Italia in generale, ma anche, per esempio, di Napoli per il Mezzogiorno) e sono città fortemente turistiche. Alla sempre maggiore presenza di studenti fuorisede, infatti, si è aggiunto il problema degli affitti brevi, decisamente più redditizi e con meno rischi di danno e usura dell’immobile per i proprietari.

Tutti i paesi avanzati stanno subendo un processo di accentramento verso le grandi città. In un mondo sempre più globale, è normale che i centri più piccoli si svuotino e le grandi città subiscano pressioni demografiche non indifferenti. Allo stesso modo, è normale che i padroni di casa cerchino la soluzione più semplice e redditizia per far fruttare i propri appartamenti.

Trovare un bilanciamento tra i diritti dei proprietari e quelli dei fuorisede – sia studenti sia lavoratori – non è semplice: non siamo l’unico paese ad avere questo problema e non siamo gli unici a ritrovarci impotenti di fronte alla situazione.

Possibili soluzioni

Come già raccontato in altri articoli, però, siamo tra i pochi Paesi a offrire un regime fiscale molto generoso ai proprietari di casa (cedolare secca e sostanziale assenza di imposte patrimoniali) e a rifiutare di aggiornare i valori catastali degli immobili, in modo da tassare adeguatamente le rendite. Non è raro trovare monolocali sui Navigli a Milano che hanno una rendita catastale inferiore a 300 euro e che vengono affittati a più di mille euro al mese, per esempio.

La soluzione semplice non esiste, ma per trovarne una complessa bisognerebbe partire da alcuni paletti. Innanzitutto, gli affitti brevi non dovrebbero godere della stessa tassazione agevolata degli alloggi affittati a studenti universitari. Il regime fiscale da applicare agli affitti, poi, dovrebbe favorire chi mantiene i prezzi al livello della rendita catastale, aumentando l’aliquota a chi la supera per disincentivare i proprietari a speculare. Per farlo, infine, occorre aggiornare il catasto, i cui valori non vengono rivisti da decenni.

Non si tratta di soluzioni senza controindicazioni: senza tassazione agevolata, aumenteranno gli affitti in nero (ma probabilmente non diminuirà il gettito fiscale), la revisione del catasto avrà un contraccolpo negativo sul patrimonio immobiliare dei proprietari, la maggiore tassazione sugli affitti brevi aumenterebbe probabilmente i prezzi per le case vacanza. Se si vuole trovare una soluzione, però, bisogna decidere se favorire chi ha bisogno di una mano o chi gode di qualche privilegio di troppo.

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