Da alcuni mesi siamo stati costretti a diventare familiari con un nuovo termine del lessico del coronavirus: varianti. Abbiamo imparato che una variante è una mutazione del ceppo originario di un virus e che alcune varianti rendono il virus originale più letale, contagioso o resistente alle immunità. Oppure tutte e tre le cose insieme.

L’Istituto superiore di sanità ha avvertito che in Italia quasi un nuovo caso di Covid-19 ogni cinque è causato dalla variante inglese B117 (che fino al 50 per cento più contagiosa del normale coronavirus). «C’è una circolazione sostenuta della variante, che probabilmente è destinata a diventare quella prevalente nei prossimi mesi», scrive l’Iss nello studio, basato sull’analisi di un campione di 3.500 tamponi, da quale è risultato che il 17,8 per cento dei casi appartiene alla nuova variante. 

Le varianti preoccupano medici e scienziati per la loro capacità di creare una “pandemia nella pandemia” poiché in alcune circostanza possono superare le difese che abbiamo messo in piedi in questo anno, dall’immunità naturale acquisita dalle persone che hanno contratto la malattia e quella garantita dai vaccini, facendoci così ritornare ai mesi della prima ondata, quando le nostre difese erano al minimo.

Come ha riassunto pochi giorni fa il direttore dell’Oms in Europa Hans Kluge, le nuove varianti «ci ricordano in modo crudele che in questa battaglia il virus è ancora in vantaggio sugli esseri umani».

Da dove arrivano?

Quando un virus entra in una cellula ospite utilizza i meccanismi della cellula per produrre copie di sé stesso. Si tratta di un meccanismo imperfetto e nel corso del processo di copia la cellula può commettere degli errori.

Le copie sfornate quindi non sempre sono identiche all’originale. La maggior parte degli errori non producono mutazioni degne di nota, oppure ne producono di dannose, che rendono il virus meno abile a replicarsi e presto portano all’estinzione del ceppo mutante.

Ma una minuscola minoranza di queste mutazioni sono invece “utili” al virus, perché ad esempio lo aiutano a diffondersi con maggiore efficacia. Quando sono particolarmente “di successo”, queste mutazioni possono arrivare a rimpiazzare la popolazione originale del virus.

La frequenza con cui nascono nuove varianti è strettamente legata al numero di infezioni. Più il virus circola liberamente, più è facile che si produca una mutazione utile alla sua diffusione. Altri fattori potrebbero contribuire all’incremento. La pressione esercitata sul virus dalla presenza di vaccini (soprattutto quelli con un’efficacia bassa) e di cure con anticorpi, possono contribuire alla nascita di nuove varianti immuni alle cure.

I pericoli

Ci sono cinque modi diversi in cui queste mutazioni possono rendere il virus più pericoloso: possono renderlo più letale, più contagioso, resistente alle immunità naturali, a quelle garantite dai vaccini e alle cure a base di anticorpi.

Ad occhio, le più preoccupanti dovrebbero essere le mutazioni che rendono il virus più letale, ma in realtà sono molto più preoccupanti le varianti che rendono il virus più contagioso, poiché infettando più persone causano comunque un aumento dei decessi. Inoltre, il maggior numero di contagiati mette sotto pressione i sistemi sanitari.

Una mutazione può anche rendere meno efficaci le immunità acquisite naturalmente dopo aver contratto la malattia da un altro ceppo di coronavirus e lo stesso meccanismo può rendere meno efficaci i vaccini studiati per altre varianti. Infine, l’ultimo pericolo è quello di rendere meno utili le cure a base di anticorpi monoclonali.

Al momento sono tre le varianti che preoccupano gli scienziati. La prima a essere scoperta, la cosiddetta britannica, è quella che desta la preoccupazione più immediata in Europa, anche se appare meno pericolosa rispetto alle altre due. La cosiddetta sudafricana appare simile a quella britannica, ma mostra una maggiore resistenza ad alcuni vaccini. La brasiliana, infine, è quella che c’è stata meno tempo di studiare. Per il momento sembra più contagiosa del ceppo standard e molto efficace nel superare l’immunità naturale acquisita.

B117, l’inglese

Delle tre nuove varianti più pericolose, la B117, chiamata spesso “inglese”, è stata la prima a essere identificata ed è attualmente la più conosciuta. Secondo gli studi, sarebbe comparsa per la prima volta nell’Inghilterra meridionale alla fine di settembre ed è stata identificata poco prima della fine dell’anno.

La variante B117 è caratterizzata da numerose mutazioni, le più importanti delle quali sono quelle che riguardano le proteine spike (le punte che formano la “corona” che dà il nome al virus). Grazie a questa mutazione, il virus riesce a entrare più facilmente all’interno delle cellule dell’ospite, diventando così fino al 50 per cento più contagioso. Per il momento solo alcuni studi preliminari indicano anche una maggiore letalità.

Nell’Inghilterra meridionale, dove la variante è più diffusa, B117 ha impiegato circa 7-8 settimane per passare dal 10 all’80 per cento dei casi. Nello stesso periodo, tra i primi dicembre e gennaio, il numero di nuovi casi nel paese è sestuplicato, minacciando di sommergere il sistema sanitario e costringendo il governo ad adottare un nuovo lockdown con chiusura delle scuole.

La variante è ormai diffusa in tutta Europa (e in più di 70 paesi in tutto il mondo) e il timore è che presto la sua diffusione costringa i governi continentali ad adottare nuovi lockdown o a prorogare quelli già in corso.

Tra i paesi dove è più diffusa c’è il Portogallo, dove è ritenuta responsabile di circa il 60 per cento dei nuovi casi e dove ha contribuito un aumento improvviso dei casi. Alcuni test a campione indicano che circa il 74 per cento dei nuovi casi in Slovacchia sarebbe causato dalla variante.

L’Italia potrebbe presto aggiungersi alla lista. Secondo le stime diffuse questa settimana dall’Iss, la variante è presente nel 20 per cento dei nuovi casi nel nostro paese. Si tratta di una percentuale simile, tra il 15-20 per cento, di quella individuata negli altri paesi che hanno fatto test simili, come Germania, Francia e Danimarca.

Questo che significa che nel giro di poche settimane questi paesi potrebbe trovarsi nella stessa situazione del Regno Unito un mese fa, con decine di migliaia di nuovi casi al giorno e il lockdown completo come unica soluzione.

B1351, la sudafricana

La variante B1351 è apparsa per la prima volta lo scorso ottobre in Sudafrica e ha iniziato immediatamente a diffondersi con grande velocità. Oggi, è responsabile di circa il 90 per cento di casi nel paese. Singoli casi della variante sono stati identificati in circa una trentina di paesi, ma al momento è meno diffusa di B117.

A livello molecolare, questa variante condivide con quella inglese la mutazione delle proteine spike, che la rende più contagiosa. Ma ne contiene anche altre, tra queste la cosiddetta “E484K”, particolarmente pericolosa poiché aiuta il virus a rendersi invisibili agli anticorpi.

Questa mutazione è probabilmente responsabile della bassa efficacia che il vaccino AstraZeneca sembra avere nei confronti di B1351. Secondo uno studio eseguito su circa duemila persone, il vaccino garantisce una protezione “minima” contro forme lievi e moderate della malattia (non si conosce l’efficacia sulle forme più gravi poiché nel test sono stati inclusi soltanto soggetti relativamente giovani). In risposta, il governo sudafricano ha messo in pausa la distribuzione del vaccino AstraZeneca in attesa di ulteriori conferme della sua efficacia.

Per il momento gli altri vaccini, Pfizer-Biontech, Novavax e Johnson & Johnson (questi ultimi due ancora in fase di test) sembrano soltanto relativamente meno efficaci contro B1351, ma nuovi studi saranno necessari prima di avere certezze.

P1, la brasiliana

È la più recente e meno diffusa delle tre principali varianti del coronavirus. È stata identificata per la prima volta in gennaio, in un gruppo di turisti provenienti dal Brasile. Per il momento, la variante è stata identificata in una decina di paesi ed è ritenuta prevalente soltanto nello stato di Amazonas, in Brasile.

Non ci sono ancora molti studi su P1, ma vista la somiglia delle sue proteine spike con quelle delle altre due varianti, si suppone che sia almeno altrettanto trasmissibile. Inoltre, P1 possiede la mutazione E484K, la stessa che aiuta la variante sudafricana ad aggirare l’immunità garantita dai vaccini.

Non ci sono ancora studi importanti sull’effetto di P1 sulle persone vaccinate, ma gli scienziati discutono molto di un indizio indiretto di questa sua capacità. Nelle ultime settimane, la variante ha imperversato nella città di Manaus, capitale dell’Amazonas, causando decine di migliaia di casi e centinaia di morti.

Ma la popolazione di Manaus era già stata colpita duramente nella prima ondata. Secondo alcune stime, fino all’80 per cento della sua popolazione avrebbe contratto il coronavirus e quindi avrebbe dovuto sviluppare qualche forma di immunità nei confronti del ceppo originale. Il fatto che P1 sia tornato a colpire con questa forza la città fa pensare il virus sia capace, come P1351, di superare l’immunità naturale prodotta dal ceppo originario.

Possiamo difenderci?

Per proteggerci da queste varianti sono gli stessi che si utilizzano contro il ceppo originale. Distanziamento e misure di contenimento come i lockdown possono aiutare a rallentare la trasmissione del virus, mentre i vaccini possono essere “aggiornati” per renderli più efficaci contro le varianti.

Paesi come Germania e Danimarca hanno scelto la strada del contenimento e si trovano in lockdown da oltre un mese. La speranza è che così facendo si riesca a rallentare l’arrivo di un nuovo picco dell’epidemia, così che nel frattempo sia possibile espandere la campagna vaccinale e garantire una protezione almeno parziale alla percentuale più vasta possibile della popolazione.

Ma il problema dell’arrivo di nuove varianti non sarà mai risolto fino a che la diffusione del virus non sarà sostanzialmente ridotta in tutto il mondo. Anche se l’intera Europa riuscisse a vaccinarsi nei prossimi mesi, infatti, il virus continuerebbe a circolare nel resto del pianeta e, prima o poi, da qualche parte, una nuova variante capace di aggirare l’immunità da vaccino sarebbe destinata ad emergere.

 

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