Guardare ai prossimi mesi con un mix di apprensione e fiducia. L’Italia avverte i sommovimenti di una ripresa e, al contempo, sente il peso di zavorre, fragilità, scogli e complessità. A livello internazionale, secondo l’indice globale di fiducia dei consumatori di Ipsos, presentato a Washington il 20 agosto, il trend di fiducia è in rallentamento negli Usa (sceso, in agosto, di 2,3 punti rispetto a luglio) e in Cina (-1,7 punti rispetto a luglio).

La frenata delle due locomotive non sembra invertire il quadro globale di ripresa. I paesi che hanno un indice nazionale superiore a 50 restano nove con la Cina in testa (71,6), seguita da Arabia Saudita (64,5), Svezia (59,7), Stati Uniti (59,7), Germania (58,5), Gran Bretagna (55,8), Australia (54,9), Canada (54,4) e India (52,9).

L’Italia ha fatto registrare un netto miglioramento nel corso dell’ultimo anno. Ad agosto 2020 l’indice nazionale era a 37 punti. Oggi è a 46,4, quasi 10 punti in più rispetto a un anno fa e 5,5 punti in più rispetto al gennaio 2020, alla fase pre-pandemica. Un dato in netto miglioramento che fa sfiorare all’Italia la soglia dei 50 punti, avvicinandola ai paesi che stanno decisamente accendendo i motori della ripresa.

La paura per il lavoro

Nonostante il miglioramento delle prospettive, il quadro italico si presenta con numerose variabili e con chiari segnali di incertezza. Al primo posto c’è la paura di perdere il lavoro. A livello globale i paesi in vetta alla classifica dell’apprensione occupazionale sono tre: Sud Africa (64 per cento), Spagna (56 per cento) e Italia (53 per cento). In altri paesi, come la Germania, il livello di paura per il lavoro è al 10 per cento. In Gran Bretagna è al 16 per cento, negli Usa al 18 per cento e in Francia è al 22 per cento.

La grande paura che nelle imprese si preparino processi di ristrutturazione e, in qualche caso, selvaggi licenziamenti, è il grande ostacolo alla ripresa italica. I casi recenti di società che hanno licenziato via mail i propri dipendenti, alimentano le paure e la percezione che, almeno una parte del mondo imprenditoriale, non sia disposto a usare il guanto di velluto con i propri dipendenti.

Sensazioni che hanno ricadute sullo stato d’animo delle persone e sul loro sguardo al futuro. Il 50 per cento degli italiani ritiene incerta la propria qualità della vita; il 48 per cento sente il proprio livello di reddito instabile, mentre il 42 per cento valuta come decisamente incerta la propria condizione professionale o lavorativa. In termini di mood, il primo sentimento che ha lasciato un anno di pandemia è la sfiducia (42 per cento). Seguito dalla propensione alla riflessività (36 per cento) e accompagnato dalla sensazione di fragilità (30 per cento).

La preoccupazione per il lavoro e la sensazione di essere sulla via della ripresa sono i due poli di oscillazione del pendolo percettivo del nostro paese. Se il primo genera sentimenti di incertezza e tensione, il secondo sospinge a rimboccarsi le maniche e a mettercela tutta per ripartire. Così il 71 per cento degli italiani si dice pronto a impegnarsi sempre di più per cambiare le cose, ma al contempo solo il 38 per cento avverte la propria condizione economica in miglioramento.

Non solo Recovery

Le sfide per l’Italia, nei prossimi mesi, non coinvolgono solo il governo Draghi, ma anche il mondo delle imprese e del lavoro. Non basta il Recovery fund, occorre un paese che si riconosce come una comunità coesa, che cerca unione e non divisione o fratture, in cui ciascuno è pronto a rinunciare a qualcosa per rimettere in moto l’economia e la società. Occorre un paese che sappia contenere gli “animal spirits” che qua e là aleggiano nel mondo imprenditoriale, propendendo per una ripartenza equa e coinvolgente.

La partita, ovviamente, non si gioca sul mantenimento in vita di aziende decotte, ma sul duplice processo di sostegno alla nascita di nuove imprese (per generare nuovi e buoni posti di lavoro) e sulla capacità di calmierare forme deregolamentate nei licenziamenti. Per uscire dalla crisi, non basta l’impegno di un governo, ci vuole senso di responsabilità da parte di tutti, ci vogliono anche imprese responsabili in senso complessivo e non solo nelle tracce scritte dei loro purpose.

© Riproduzione riservata