Lo sguardo sulla ripresa post vacanze estive è lambito da molteplici segni di preoccupazione e apprensione. Il paese avverte che il clima economico e quello sociale sono in una fase di costante, anche se non dirompente, deterioramento.

Pensando alla stagione che si sta dischiudendo, a fine luglio, l’opinione pubblica si suddivideva tra quanti, la maggioranza, riteneva che il paese stesse andando nella direzione sbagliata (51 per cento) e quanti, invece, ritengono che il paese sia incamminato sulla via economica giusta (28 per cento). Il 54 per cento avverte una sensazione di crisi e sui prossimi sei mesi il 31 per cento prevede un ulteriore peggioramento e il 26 per cento un miglioramento.

Tre gruppi

Complessivamente, di fronte all’autunno, il paese si suddivide in tre distinte branche. Il 21 per cento si sente ottimista e prevede una situazione di crescita. Il 36 per cento prevede una fase stagnazione e il 30 per cento si colloca sul fronte dei pessimisti e pensa che si stia aprendo un periodo di recessione.

La maggioranza del paese, il 66 per cento, è avvolto in una nebulosa dalle passioni tristi, in cui si sovrappongono il caro vita e le difficoltà esistenziali conseguenti; la paura di perdere il proprio lavoro e la difficoltà a fare progetti di medio o lungo periodo; la sensazione che la coperta dell’economia familiare sia sempre più corta e la percezione di un futuro precarizzato.

Questione di classe

Il confronto tra pessimisti e ottimisti è anche una contrapposizione di classe. A fronte del 21 per cento di ottimisti rilevato nella media nazionale, nel ceto medio il dato sale al 32 per cento (nel ceto dirigente sfiora addirittura il 40 per cento), mentre i pessimisti crollano, in questo segmento sociale, al 17 per cento.

Dinamica inversa nelle classi popolari. Quel 30 per cento di media di pessimisti vola in questo segmento al 48 per cento, mentre gli ottimisti si riducono al 9 per cento.

Lo sguardo dell’opinione pubblica al futuro prossimo è marcato da alcune esigenze ben definite che ruotano in gran parte intorno a due macro temi: il lavoro e il reddito per le famiglie. Per il 75 per cento degli italiani il primo problema, il più grave e urgente dell’Italia, è quello dell’occupazione e dell’economia. Segue, per il 47 per cento, il tema del welfare e, per il 26 per cento, da attenzionare sono ambiente e immigrazione. 

In crescita anche le preoccupazioni per la sicurezza che passano dall’8 per cento di dicembre 2022 al 19 per cento di luglio 2023. Nell’agenda economica al primo posto c’è la crescente domanda di aumento degli stipendi (49 per cento). Un dato che sale al 57 per cento nei ceti popolari, al 52 tra gli operai e al 57 tra le casalinghe.

Dietro questa richiesta c’è anche la consapevolezza che molte imprese, in questi anni, hanno macinato profitti e che ai lavoratori di tutto questo sono arrivate solo le briciole. Non a caso al secondo posto, nella scala dell’agenda setting economica del paese, c’è l’esigenza di ridurre il divario tra ricchi e poveri (35,2 per cento di media e 52 per cento nei ceti popolari).

A ruota segue la richiesta di introdurre il salario minimo (35,1 per cento). Il tema interessa in primo luogo la generazione Z (42), chi vive nelle periferie urbane (38), i lavoratori dipendenti (40) e i disoccupati (43). Sempre nell’ambito lavorativo si colloca il quarto tema d’agenda e riguarda la richiesta di vietare i contratti precari per dare stabilità esistenziale ai giovani e alle persone (32 per cento).

Al quinto posto troviamo la richiesta di aiutare le famiglie ad affrontare lo scatto inflattivo incrementando gli sgravi fiscali per i figli (29 per cento) e al sesto posto (sempre al 29 per cento) c’è la richiesta di detassare le imprese che assumono a tempo indeterminato.

Nell’agenda economica degli italiani per l’autunno c’è anche il sempre verde taglio della casta e dei suoi privilegi (27 per cento), nonché l’esigenza di investire sulla formazione e la conoscenza, specie per i giovani (24 per cento).

Scenario complesso

L’autunno si presenta complesso. L’agenda del paese mostra l’esigenza di intervenire in modo deciso e non solo con dei palliativi sul fronte del lavoro (reddito, stabilità, de-precarizzazione) e dell’economia delle famiglie, nella consapevolezza che è necessario recuperare parte del divario che si è accumulato negli anni tra la minoranza dei benestanti e la maggioranza delle persone che è rimasta al palo o regredita.

La necessità è quella di una reale strategia di crescita complessiva del paese, nella consapevolezza che con famiglie piegate dall’inflazione e con l’aumento delle povertà e della precarizzazione lavorativa non si fa né crescita del paese, né ripresa economica.

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