A sinistra latita uno spirito collaborativo, e una vera e propria coalizione alternativa alla destra è di là da venire. Le ruggini politiche e personali degli ultimi anni non sono state scrostate. I due cardini dell’opposizione, Pd e M5s, continuano a diffidare l’uno dell’altro.

Poi ci sono i piccoli gruppi, a sinistra e a destra – da Sinistra italiana e Verdi, a +Europa e Azione – che rendono l’equazione dell’alternativa ancora più complessa. Ogni diverbio tra i vari partiti innesca una serie di reazioni a catena, e le reciproche ostilità dispiegano un tale potenziale distruttivo da poter incendiare l’atmosfera dell’opposizione.

Questo clima è stato recentemente rasserenato dall’intesa sul salario minimo. Ma è un oasi in un deserto. Allo stato dei fatti, l’opposizione condivide solo una visione comune sulla difesa dei diritti civili e dei principi costituzionali. Adotta un posizionamento difensivo, da trincea, senza prospettive di assalto. Un atteggiamento puramente reattivo.

Per conquistare terreno non basta incalzare la maggioranza sulle sue pur numerose debolezze. Vanno avanzate proposte, condivise. Il Pd, in qualità di partito naturale di governo (e stupisce che qualcuno non veda più questo suo imprinting), e disponendo una fitta schiera di esperti su ogni terreno, non ha certo difficoltà a tracciare la rotta di una politica alternativa.

Anzi, semmai si aggroviglia nel tentativo di conciliare una abbondanza di progetti, tutte di qualità seppure con accenti diversi. A ogni modo, pur ammettendo che la segreteria Schlein sia in grado di comporre i diversi input al proprio interno, rimane il problema della condivisione con gli altri partiti, a iniziare dai Cinque stelle. Il M5s rimane tuttora un oggetto misterioso.

A parte il reddito di cittadinanza, non dispiega altri progetti bandiera identificativi. Il sito istituzionale dei pentastellati deborda di proposte che però rimangono confinate nel loro ambiente, non diventano temi di intervento politico per cui, oltre alle prese di posizione di Giuseppe Conte, rimane un alone di mistero su cosa voglia fare.

Eppure gli elettori hanno una idea precisa del profilo politico del leader dei Cinque stelle. Le ricerche condotte dal gruppo Itanes sulle ultime elezioni indicano in Conte «il leader più gradito agli elettori preoccupati da tematiche tradizionalmente appannaggio delle forze di sinistra (disoccupazione, sanità, evasione fiscale e cambiamento climatico) oltre che da temi più trasversali quali la crescita economica e la corruzione».

In sostanza, l’ex premier era considerato l’autentico e più affidabile portaparola degli interessi sociali – mentre Meloni interpretava le preferenze tradizionaliste e di law and order. E il leader del Pd non riusciva ad essere attrattivo su nessun tema.

Con Schlein il Pd ha recuperato una collocazione più tradizionalmente di sinistra e questo, se da un lato aumenta la sintonia con i Cinque stelle, dall’altro acuisce la competizione perché entrambi agiscono su un medesimo territorio di caccia. In linea di principio, la sovrapposizione rende difficile la convivenza.

Tuttavia vale anche il contrario: un elettore genericamente orientato a sinistra, ma non identificato con nessun partito in particolare, può essere portato al voto più facilmente, e indotto a rimanere nell’ambito della sinistra, grazie all’offerta di un ventaglio articolato di posizioni.

Così come a destra gli elettori non fanno gli schizzinosi e si spostano tranquillamente sui vari partiti della coalizione perché tanto si tratta di sfumature, altrettanto la sinistra dovrebbe abbandonare l’ossessione per le rispettive identità e favorire la creazione di un minimo comun denominatore. Che, oltretutto, necessita di temi mobilitanti. Non si vive di solo salario minimo.

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