La riduzione dello spreco alimentare, una sfida allo stesso tempo economica, sociale, etica e ambientale, è entrata a pieno titolo nell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile: l’obiettivo dichiarato è dimezzarlo a livello globale entro dieci anni. La riduzione e soprattutto la prevenzione, l’agire a monte, sono azioni che rientrano pienamente nella visione di sostenibilità ambientale e sociale e di circolarità dell’economia, come dimostrano le iniziative della Campagna Spreco Zero promossa a partire dal 2010 da Last Minute Market, spin off accademico dell’università di Bologna.

Trattare lo spreco alimentare nell’attuale fase pandemica ha un valore in più e assume una valenza strategica per il futuro, per la rigenerazione di una società più equa, sostenibile e solidale.

Per questo, e in prospettiva sia nazionale che internazionale, è stato lanciato, in collaborazione con Ipsos, l’Osservatorio Waste Watcher International. L’intento è quello di realizzare il primo strumento globale per analizzare e affrontare alla radice, in primis nei paesi del G20, lo spreco alimentare, con particolare riferimento al consumo domestico: nelle economie sviluppate, infatti, oltre la metà del cibo che si getta via ancora buono sta proprio nelle nostre case. Il che genera quantità di rifiuti che devono essere smaltiti: un paradosso molto costoso dal punto di vista economico, ambientale e sociale.

Covid e coscienza globale

La pandemia ha generato, in molti paesi, un aumento dei livelli di coscienza rispetto all’interconnessione dei modelli di vita e una crescita dell’importanza di assumere comportamenti sostenibili e più giusti per il nostro pianeta.

L’80 per cento degli abitanti di Cina, India e Messico, ad esempio, sono convinti che, a lungo termine, il cambiamento climatico condurrà a una crisi grave quanto il Covid-19. Una valutazione condivisa da oltre il 70 per cento dei cittadini di Francia, Spagna, Giappone, Italia, Brasile e dai due terzi di tedeschi, russi e inglesi (fonte: Ipsos Global Advisor, Earth day 2020).

A livello globale cresce anche la consapevolezza della necessità di una maggior responsabilità individuale delle persone. Quasi la metà dei cittadini di Italia, Russia, Canada, Gran Bretagna, Australia, Usa e quasi il 60 per cento di quelli di Francia e Spagna, si dicono disposti a impegnarsi nella lotta contro i cambiamenti climatici e per la protezione dell’ambiente (fonte: Ipsos Global Advisor).

Il buon esempio italiano

I primi dati che emergono dal nostro paese sono confortanti. In Italia abbiamo assistito, nel corso dell’anno pandemico, sia a una riduzione delle quantità di cibo sprecate (si è passati dai 600 etti la settimana dell’anno pre-pandemia ai 529 grammi: con un calo di 3,6 kg e un risparmio di 6 euro pro capite, ovvero 376 milioni di euro a livello nazionale), sia a un aumento dei livelli di coscienza delle persone intorno al tema dello spreco alimentare.

Tra gli italiani l’atto di gettare cibo nei rifiuti è sempre più percepito come un gesto deleterio per la società, per le persone e per il futuro dell’ambiente. Esso è vissuto come uno spreco inutile di denaro per le famiglie (85 per cento); un atto diseducativo per i giovani (84 per cento); un’abitudine immorale (83 per cento) e uno spreco di risorse vitali (80 per cento).

Per le persone gettare cibo aumenta, inoltre, l’inquinamento (77 per cento), produce perniciose conseguenze economiche e sociali (76 per cento), ha gravi conseguenze ambientali (76 per cento), alimenta le disuguaglianze tra paesi ricchi e poveri (72 per cento) e contribuisce al riscaldamento globale (69 per cento).

Acquisti e cibo

I tassi alti e positivi di consapevolezza registrati nell’indagine Waste Watcher International 2021 portano con sé anche alcuni mutamenti nei comportamenti su gestione del cibo e strategia della spesa. Dal punto di vista delle abitudini tra i fornelli si stanno insediando alcune consuetudine come quelle di mangiare o cucinare prima il cibo deperibile (89 per cento); di controllare la commestibilità dei prodotti scaduti da solo un giorno (87 per cento); di congelare cibi che non si possono mangiare a breve (87 per cento); di conservare per il riuso il cibo avanzato (86 per cento), di valutare attentamente, prima di cucinare, le quantità necessarie (84 per cento); di mantenere dispensa, frigorifero e freezer ben organizzati (84 per cento); di fare sempre una precisa lista della spesa per calmierare gli acquisti d’impulso e/o indotti da offerte commerciali (83 per cento).

Quest’ultimo dato evidenzia anche un altro significativo aspetto: le persone stanno cercando di mutare i propri comportamenti di acquisto. Oltre il 40 per cento delle famiglie, infatti, opta per strategie di spesa differenziate, comprando periodicamente i prodotti a lunga scadenza e intensificando la frequenza di acquisto per i prodotti freschi. Il 37 per cento degli italiani, inoltre, preferisce le piccole confezioni, mentre il 26 per cento acquista grandi quantità, per poi suddividerle in piccole porzioni da surgelare. Il 33 per cento, infine, privilegia l’acquisto di prodotti a lunga conservazione.

Il cambio di paradigma

Nel suo libro Collasso, il biologo e fisiologo statunitense Jared Diamond sottolineava che «la gran parte di noi occidentali può permettersi di condurre un’esistenza piena di sprechi. Ma in questo modo dimentichiamo che le nostre condizioni sono soggette a fluttuazioni e che potremmo non essere in grado di anticipare quando il vento cambierà. A quel punto saremo ormai troppo abituati a uno stile di vita dispendioso, per cui le uniche vie d’uscita potranno essere una drastica riduzione del nostro tenore di vita o la bancarotta».

L’osservatorio Waste Watcher International mostra che il terreno, per migliorare la coscienza dello spreco alimentare e motivare scelte consapevoli, sta diventando sempre più fertile. Una consapevolezza che fornisce un potente mezzo per rafforzare e aumentare l’efficienza dei sistemi alimentari, nonché per sostenere l’adozione di modelli di business innovativi e sostenibili. I dati della ricerca evidenziano, inoltre, la necessità di cambiare passo.

Nonostante i segnali di miglioramento, le tonnellate di cibo sprecato restano tante ed è indispensabile generare nel consumatore un mutamento di paradigma, in grado di rendere operativa, nei comportamenti quotidiani, la coscienza che i beni acquistati sono stati prodotti consumando o sottraendo risorse (limitate) al nostro pianeta. Beni comuni di cui occorre avere cura e riguardo. Solo così al gesto sprezzante del gettare via, si potrà sostituire una dimensione comportamentale basata sul principio delle 7 «R»: Rispetto, Responsabilità, Riduzione, Riutilizzo, Riparazione, Riciclo, Reliance.

Il Recovery food

Nell’incrocio fra esperienze nazionali, dove l’Italia ha assunto le vesti di capofila, e internazionali in occasione dell’VIII Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare nell’ambito della Campagna Spreco Zero di Last Minute Market-università di Bologna è nata la proposta di lanciare in Italia un Recovery food.

Si tratta di un programma volto a: migliorare l’efficienza del sistema agroalimentare riducendone l'impatto ambientale anche attraverso la riduzione di perdite e sprechi alimentari (sostenibilità); incrementare il recupero delle eccedenze a fini caritativi (solidarietà); promuovere attraverso l’educazione alimentare e ambientale l’adozione di diete alimentari salutari (salute). Adottare il Recovery Food consentirebbe un passo «triplo», verso la sostenibilità del nostro paese.

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